martedì 30 aprile 2024

La Biblioteca di Babele - Jorge Luis Borges

JORGE LUIS BORGES

La Biblioteca di Babele

L'universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d'un numero indefinito, e forse

infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, orlati di

basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori,

interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile.

Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno;

la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d'una

biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un'altra

galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due

gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l'altro di soddisfare le

necessità fecali. Di qui passa la scala spirale, che s'inabissa e s'innalza nel remoto.

Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini

sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente

fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?); io preferisco sognare che queste

superfici ar-gentate figurino e promettano l'infinito... La luce procede da frutti sferici

che hanno il nome di lampade. Ve ne sono due per esa-gono, su una traversa. La luce

che emettono è insufficiente, incessante.

Come tutti gli uomini della Biblioteca, in gioventú io ho viag-giato; ho peregrinato in

cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi; ora che i miei occhi quasi non

possono decifrare ciò che scrivo, mi preparo a morire a poche leghe dall'esagono in

cui nacqui. Morto, non mancheranno mani pietose che mi gettino fuori della

ringhiera; mia sepoltura sarà l'aria insondabile: il mio corpo affonderà lungamente e

si corromperà e dissolverà nel vento generato dalla caduta, che è infinita. Io affermo

che la Biblioteca è interminabile. Gli idealisti argomentano che le sale esagonali sono

una forma necessaria dello spazio assoluto o, per lo meno, della nostra intuizione

dello spazio. Ragionano che è inconcepibile una sala triangolare o pentagonale. (I

mistici pretendono di avere, nell'estasi, la rivelazione d'una camera circolare con un

gran libro circolare dalla costola continua, che fa il giro completo delle pareti; ma la

loro testimonianza è sospetta; le loro parole, oscure. Questo libro ciclico è Dio). Mi

basti, per ora, ripetere la sentenza classica: «La Biblioteca è una sfera il cui centro

esatto è qualsiasi esagono, e la cui circonferenza è inaccessibile».

A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale

contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci

pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga, di quaranta lettere di colore

nero. Vi sono anche delle lettere sulla costola di ciascun libro; non, però, che

indichino o prefigurino ciò che diranno le pagine. So che questa incoerenza, un

tempo, parve misteriosa. Prima d'accennare alla soluzione (la cui scoperta, a

prescindere dalle sue tragiche proiezioni, è forse il fatto capitale della storia) voglio

rammentare alcuni assiomi.

Primo: La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui corollario immediato è

l'eternità futura del mondo, nessuna mente ragionevole può dubitare. L'uomo, questo

imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi malevoli;

l'universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili

scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non può essere che

l'opera di un dio. Per avvertire la distanza che c'è tra il divino e l'umano, basta

paragonare questi rozzi, tremuli simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla

copertina d'un libro, con le lettere organiche dell'interno: puntuali, delicate, nerissime,

inimitabilmente simmetriche.

Secondo: Il numero dei simboli ortografici è di venticinque (1). Questa constatazione

permise, or sono tre secoli, di formulare una teoria generale della Biblioteca e di

risolvere soddisfacentemente il problema che nessuna congettura aveva permesso di

decifrare: la natura informe e caotica di quasi tutti i libri. Uno di questi, che mio

padre vide nell'esagono del circuito quindici novantaquattro, constava delle lettere

MCV, perversamente ripetute dalla prima all'ultima riga. Un altro (molto consultato

in questa zona) è un mero labirinto di lettere, ma l'ultima pagina dice Oh tempo le tue

piramidi. È ormai risaputo: per una riga ragionevole, per una notizia corretta, vi sono

leghe di insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze. (So d'una regione

barbarica i cui bibliotecari ripudiano la superstiziosa e vana abitudine di cercare un

senso nei libri, e la paragonano a quella di cercare un senso nei sogni o nelle linee

caotiche della mano... Ammettono che gli inventori della scrittura imitarono i

venticinque simboli naturali, ma sostengono che questa applicazione è casuale, e che

i libri non significano nulla di per sé. Questa affermazione, lo vedremo, non è del

tutto erronea).

Per molto tempo si credette che questi libri impenetrabili corrispondessero a lingue

preferite o remote. Ora, è vero che gli uomini piú antichi, i primi bibliotecari,

parlavano una lingua molto diversa da quella che noi parliamo oggi; è vero che poche

miglia a destra la lingua è già dialettale, e novanta piani piú sopra è incomprensibile.

Tutto questo, lo ripeto, è vero, ma quattrocentodieci pagine di inalterabili MCV non

possono corrispondere ad alcun idioma, per dialettale o rudimentale che sia. Alcuni

insinuarono che ogni lettera poteva influire sulla seguente, e che il valore di MCV

nella terza riga della pagina 71 non era lo stesso di quello che la medesima serie

poteva avere in altra riga di altra pagina; ma questa vaga tesi non prosperò. Altri

pensarono a una crittografia; quest'ipotesi è stata universalmente accettata, ma non

nel senso in cui la formularono i suoi inventori.

Cinquecento anni fa, il capo d'un esagono superiore (2) trovò un libro tanto confuso

come gli altri, ma in cui v'erano quasi due pagine di scrittura omogenea,

verosimilmente leggibile. Mostrò la sua scoperta a un decifratore ambulante, e questi

gli disse che erano scritte in portoghese; altri gli assicurò che erano scritte in yiddish.

Poté infine stabilirsi, dopo ricerche che durarono quasi un secolo, che si trattava d'un

dialetto samoiedo-lituano del guaraní, con inflessioni di arabo classico. Si decifrò

anche il contenuto: nozioni di analisi combinatoria, illustrate con esempi di

permutazioni a ripetizione illimitata. Questi esempi permisero a un bibliotecario di

genio di scoprire la legge fondamentale della Biblioteca.

Questo pensatore osservò che tutti i libri, per diversi che fossero, constavano di

elementi uguali: lo spazio, il punto, la virgola, le ventidue lettere dell'alfabeto. Stabili,

inoltre, un fatto che tutti i viaggiatori hanno confermato: non vi sono, nella vasta

Biblioteca, due soli libri identici. Da queste premesse incontrovertibili dedusse che la

Biblioteca è totale, e che i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei

venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto

ciò ch'è dato di esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell'avvenire,

le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia

di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione

del catalogo falso, l'evangelo gnostico di Basilide, il commento di questo evangelo, il

commento del commento di questo evangelo, il resoconto veridico della tua morte, la

traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri.

Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione

fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentirono padroni di un tesoro intatto e

segreto. Non v'era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non

esistesse: in un qualche esagono. L'universo era giustificato, l'universo attingeva

bruscamente le dimensioni illimitate della speranza. A quel tempo si parlò molto delle

Vendicazioni: libri di apologia e di profezia che giustificavano per sempre gli atti di

ciascun uomo dell'universo e serbavano arcani prodigiosi per il suo futuro. Migliaia

di ambiziosi abbandonarono il dolce esagono natale e si lanciarono su per le scale,

spinti dal vano proposito di trovare la propria Vendicazione.

Questi pellegrini s'accapigliavano negli stretti corridoi, profferivano oscure minacce,

si strangolavano per le scale divine, scagliavano i libri ingannevoli nei pozzi senza

fondo, vi morivano essi stessi, precipitativi dagli uomini di regioni remote. Molti

impazzirono. Le Vendicazioni esistono (io ne ho viste due, che si riferiscono a

persone da venire, e forse non immaginarie), ma quei ricercatori dimenticavano che

la possibilità che un uomo trovi la sua, o qualche perfida variante della sua, è

sostanzialmente zero.

Anche si sperò, a quel tempo, nella spiegazione dei misteri fondamentali

dell'umanità: l'origine della Biblioteca e del tempo. È verosimile che di questi gravi

misteri possa darsi una spiegazione in parole: se il linguaggio dei filosofi non basta,

la multiforme Biblioteca avrà prodotto essa stessa l'inaudito idioma necessario, e i

vocabolari e la grammatica di questa lingua. Già da quattro secoli gli uomini

affaticano gli esagoni... Vi sono cercatori ufficiali, inquisitori. Li ho visti

nell'esercizio della loro funzione: arrivano sempre scoraggiati; parlano di scale senza

un gradino, dove per poco non s'ammazzarono; parlano di scale e di gallerie con il

bibliotecario; ogni tanto, prendono il libro piú vicino e lo sfogliano, in cerca di parole

infami. Nessuno, visibilmente, s'aspetta di trovare nulla.

Alla speranza smodata, com'è naturale, successe un'eccessiva depressione. La

certezza che un qualche scaffale d'un qualche esagono celava libri preziosi, che questi

libri preziosi erano inaccessibili, parve quasi intollerabile. Una setta blasfema suggerí

che s'interrompessero le ricerche e che tutti gli uomini si dessero a mescolare lettere e

simboli, fino a costruire, per un improbabile dono del caso, questi libri canonici. Le

autorità si videro obbligate a promulgare ordinanze severe. La setta sparí, ma nella

mia fanciullezza ho visto vecchi uomini che lungamente s'occultavano nelle latrine,

con dischetti di metallo in un bossolo proibito, e debolmente rimediavano al divino

disordine.

Altri, per contro, credettero che l'importante fosse di sbarazzarsi delle opere inutili.

Invadevano gli esagoni, esibivano credenziali non sempre false, sfogliavano

stizzosamente un volume e condannavano scaffali interi: al loro furore igienico,

ascetico, si deve l'insensata distruzione di milioni di libri. Il loro nome è esecrato, ma

chi si dispera per i « tesori » che la frenesia di coloro distrusse, trascura due fatti

evidenti. Primo: la Biblioteca è cosí enorme che ogni riduzione d'origine umana

risulta infinitesima. Secondo: ogni esemplare è unico, insostituibile, ma (poiché la

Biblioteca è totale) restano sempre varie centinaia di migliaia di facsimili imperfetti,

cioè di opere che non differiscono che per una lettera o per una virgola.

Contrariamente all'opinione generale, credo dunque che le conseguenze delle

depredazioni commesse dai Purificatori siano state esagerate a causa dell'orrore che

quei fanatici ispirarono. Li sospingeva l'idea delirante di conquistare i libri

dell'Esagono Cremisi: libri di formato minore dei normali, onnipotenti, illustrati e

magici.

Sappiamo anche di un'altra superstizione di quel tempo: quella dell'Uomo del Libro.

In un certo scaffale d'un certo esagono (ragionarono gli uomini) deve esistere un libro

che sia la chiave e il compendio perfetto di tutti gli altri: un bibliotecario l'ha letto, ed

è simile a un dio. Nel linguaggio di questa zona si conservano alcune tracce del culto

di quel funzionario remoto. Molti peregrinarono in cerca di Lui, si spinsero invano

nelle piú lontane gallerie. Come localizzare il venerando esagono segreto che

l'ospitava? Qualcuno propose un metodo regressivo: per localizzare il libro A,

consultare previamente il libro B; per localizzare il libro B, consultare previamente il

libro C; e cosí all'infinito... In avventure come queste ho prodigato e consumato i

miei anni.

Non mi sembra inverosimile che in un certo scaffale dell'universo esista un libro

totale (3); prego gli dèi ignoti che un uomo - uno solo, e sia pure da migliaia d'anni! -

l'abbia trovato e l'abbia letto. Se l'onore e la sapienza e la felicità non sono per me,

che siano per altri. Che il cielo esista, anche se il mio posto è all'inferno. Ch'io sia

oltraggiato e annientato, ma che per un istante, in un essere, la Tua enorme Biblioteca

si giustifichi.

Affermano gli empì che il nonsenso è normale nella Bíblioteca, e che il ragionevole

(come anche l'umile e semplice coerenza) vi è una quasi miracolosa eccezione.

Parlano (lo so) della «Bíblioteca febbrile, i cui casuali volumi corrono il rischio

incessante di mutarsi in altri, e tutto affermano, negano e confondono come una

divinità in delirio». Queste parole, che non solo denunciano il disordine, ma lo

illustrano, testimoniano generalmente del pessimo gusto e della disperata ignoranza

di chi le pronuncia. In realtà, la Biblioteca include tutte le strutture verbali, tutte le

variazioni permesse dai venticinque simboli ortografici, ma non un solo nonsenso

assoluto. Inutile osservarmi che il miglior volume dei molti esagoni che amministro

s'intitola Tuono pettinato, un altro Il crampo di gesso e un altro Axaxaxas mlö. Queste

proposizioni, a prima vista incoerenti, sono indubbiamente suscettibili d'una

giustificazione crittografica o allegorica; questa giustificazione è verbale, e però, ex

hypothesi, già figura nella Biblioteca. Non posso immaginare alcuna combinazione di

caratteri

dhcmrlchtdj

che la divina Biblioteca non abbia previsto, e che in alcuna delle sue lingue segrete

non racchiuda un terribile significato. Nessuno può articolare una sillaba che non sia

piena di tenerezze e di terrori; che non sia, in uno di quei linguaggi, il nome poderoso

di un dio. Parlare è incorrere in tautologie. Questa epistola inutile e verbosa già esiste

in uno dei trenta volumi dei cinque scaffali di uno degli innumerabili esagoni - e cosí

pure la sua confutazione. (Un numero n di lingue possibili usa lo stesso vocabolario;

in alcune, il simbolo biblioteca ammette la definizione corretta dl sistema duraturo e

ubiquitario di gallerie esagonali, ma biblioteca sta qui per pane, o per piramide, o per

qualsiasi altra cosa, e per altre cose stanno le sette parole che la definiscono. Tu, che

mi leggi, sei sicuro d'intendere la mia lingua?)

Lo scrivere metodico mi distrae dalla presente condizione degli uomini, cui la

certezza di ciò, che tutto sta scritto, annienta o istupidisce. So di distretti in cui i

giovani si prosternano dinanzi ai libri e ne baciano con barbarie le pagine, ma non

sanno decifrare una sola lettera. Le epidemie, le discordie eretiche, le peregrinazioni

che inevitabilmente degenerano in banditismo, hanno decimato la popolazione. Credo

di aver già accennato ai suicidi, ogni anno piú frequenti. M'inganneranno, forse, la

vecchiezza e il timore, ma sospetto che la specie umana - l'unica - stia per estinguersi,

e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile,

armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.

Aggiungo: infinita. Non introduco quest'aggettivo per un'abitudine retorica; dico che

non è illogico pensare che il mondo sia infinito. Chi lo giudica limitato, suppone che

in qualche luogo remoto i corridoi e le scale e gli esagoni possano inconcepibilmente

cessare; ciò che è assurdo. Chi lo immagina senza limiti, dimentica che è limitato il

numero possibile dei libri. Io m'arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca

è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione

qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello

stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l'Ordine). Questa elegante speranza

rallegra la mia solitudine (4).

1941, Mar della Plata

(1) II manoscritto originale non contiene cifre né maiuscole. La punteggiatura è

limitata alla virgola e al punto. Questi due segni, lo spazio, e le ventidue lettere

d'alfabeto, sono i venticinque simboli sufficienti che enumera lo sconosciuto [N.d.E.].

(2) Prima, per ogni tre esagoni c'era un uomo. Il suicidio e le malattie polmonari

hanno distrutto questa proporzione. Fatto indicibilmente malinconico: a volte ho

viaggiato molte notti per corridoi e scale levigate senza trovare un solo bibliotecario.

(3) Ripeto: perché un libro esista, basta che sia possibile. Solo l'impossibile è escluso.

Per esempio: nessun libro è anche una scala, sebbene esistano sicuramente dei libri

che discutono, che negano, che dimostrano questa possibilità, e altri la cui struttura

corrisponde a quella d'una scala.

(4) Letizia Alvarez de Toledo ha osservato che la vasta Biblioteca è inutile; a rigore,

basterebbe un solo volume, di formato comune, stampato in corpo nove o in corpo

dieci, e composto d'un numero infinito di fogli infinitamente sottili. (Cavalieri, al

principio del secolo xvii, affermò che ogni corpo solido è la sovrapposizione d'un

numero infinito di piani). Il maneggio di questo serico vademecum non sarebbe

comodo: ogni foglio apparente si sdoppierebbe in altri simili; l'inconcepibile foglio

centrale non avrebbe rovescio.