martedì 19 settembre 2017

092 luciopicca

092 luciopicca

sono cresciuto...


Sono cresciuto sul mare e la povertà mi è stata fastosa, poi ho perduto il
mare, tutti i lussi mi sono sembrati grigi, la miseria intollerabile. Da allora
aspetto. Aspetto le navi del ritorno, la casa delle acque, il giorno limpido.
Paziento, cerco con tutte le forze di essere gentile. Mi si vede passare per
belle strade dotte, ammiro i paesaggi, applaudo come tutti, porgo la mano,
non sono io che parlo. Mi lodano, sto un po’ soprappensiero, mi offendono,
mi stupisco un po’. Poi dimentico e sorrido a chi mi oltraggia, o saluto
troppo cortesemente chi amo. Che posso farci se ho memoria per una sola
immagine? Finalmente mi ingiungono di dire chi sono. «Niente ancora,
niente…»

IL MARE DA PIÙ VICINO
Giornale di bordo
Albert Camus

lunedì 18 settembre 2017

091 luciopicca

091 luciopicca

Racconto-emblema di Paul Valéry



 Racconto-emblema di Paul Valéry:

“Una mattina, all’indomani di una pesca molto fruttuosa in cui erano stati
presi centinaia di tonni, andavo al mare per il bagno. Avanzai dapprima
lungo un piccolo molo, per godere della magnifica luce. Improvvisamente,
abbassando lo sguardo, scorsi a qualche passo da me, sotto l’acqua
meravigliosamente piatta e trasparente, un orrido e splendido caos che mi
fece rabbrividire. Delle cose di un rossore ributtante, masse di un rosa
delicato o di un porpora profondo e sinistro giacevano colà… Riconobbi
con orrore l’ammasso raccapricciante delle viscere e delle entragne di tutto il
branco di Nettuno rigettato in mare dai pescatori. Non potevo fuggire né
sopportare ciò che guardavo, perché il disgusto che mi provocava quel
carnaio rivaleggiava dentro di me con la sensazione di reale e singolare
bellezza di quel disordine di colori organici, di quegli ignobili trofei di
ghiandole, da cui sfuggivano fumi sanguinolenti e sacche pallide e
tremolanti trattenute da non so quali fili sotto la velatura dell’acqua così
chiara, intanto che l’onda infinitamente lenta cullava, nel limpido spessore,
su tutta quella carneficina, un fremito d’oro impercettibile.”

venerdì 15 settembre 2017

L'esilio di Elena


Albert Camus

L'esilio di Elena


Tratto da: Albert Camus, L' été, dalla edizione italiana "Saggi letterari",( II ed. 1960) Edizioni Bombiani, traduzione di Sergio Morando.



ll Mediterraneo ha la propria tragicità solare che non è quella delle nebbie. Certe sere, sul mare, ai piedi delle montagne, cade la notte sulla curva perfetta d'una piccola baia e allora sale dalle acque silenziose un angosciante senso di pienezza. In questi luoghi si può capire come i Greci abbiano sempre parlato della disperazione solo attraverso la bellezza e quanto essa ha di opprimente. In questa infelicità dorata la tragedia giunge al sommo. Invece la nostra epoca ha nutrito la propria disperazione nella, bruttezza e nelle convulsioni. Ecco perché l'Europa sarebbe ignobile, se mai il dolore potesse esserlo.

Noi abbiamo esiliato la bellezza, i Greci per essa han preso le armi. È la prima differenza, ma risale molto addietro. Il pensiero greco si è sempre trincerato nell'idea di limite. Non ha spinto nulla all'estremo, nè il sacro, nè la ragione, perché non ha negato nulla, né il sacro, né la ragione. Ha tenuto conto di tutto, equilibrando l'ombra con la luce. Invece la nostra Europa, lanciata alla conquista della totalità, è figlia della dismisura. Essa nega la bellezza come nega tutto quello che non esalta. E, per quanto in modo diverso, esalta una sola cosa: l'impero futuro della ragione. Nella sua follia, essa allontana i limiti eterni e, nello stesso istante, oscure Erinni le si avventano sopra e la straziano. Vecchia Nemesi, dea della misura, non della vendetta. Chi supera il limite, ne è castigato senza pietà.

I Greci, che per secoli si sono interrogati su che cosa sia giusto, non potrebbero capir nulla della nostra idea di giustizia. Per loro l'equità supponeva un limite mentre tutto il nostro continente spasima alla ricerca di una giustizia che vuole totale. Già all'aurora del pensiero greco, Eraclito immaginava che la giustizia ponga limiti allo stesso universo fisico. <<Il sole non oltrepasserà i suoi limiti, altrimenti le Erinni, custodi della giustizia, sapranno scoprirlo. >> Noi, che abbiamo scardinato l'universo e lo spirito, ridiamo di quella minaccia. Accendiamo in un cielo ebbro i soli che vogliamo. Ma questo non toglie che i limiti esistano, e noi lo sappiamo. All'estremo delle nostre demenze, fantastichiamo di un equilibrio che ci siamo lasciati alle spalle e che ingenuamente crediamo di ritrovare in fondo ai nostri errori. Presunzione puerile che giustifica come popoli infantili, eredi delle nostre follie, guidino oggi la storia.

Un frammento, attribuito sempre a Eraclito, enuncia semplicemente: <<Presunzione, regresso del progresso. >> E molti secoli dopo il filosofo di Efeso, davanti alla minaccia di una condanna a morte, Socrate non si riconosceva altra . superiorità che questa: non credeva di sapere quello che ignorava. La vita e il pensiero più. esemplari di quei secoli terminano con una fiera ammissione di ignoranza. Dimenticandolo, abbiamo dimenticato la nostra virilità. Abbiamo preferito la potenza che scimmiotta la grandezza, prima Alessandro e poi i conquistatori romani che, con incomparabile bassezza d'animo, gli autori dei nostri manuali ci insegnano ad ammirare. Anche noi, a nostra volta, abbiamo conquistato, spostato limiti, dominato cielo e terra. La nostra ragione ha fatto il vuoto. Finalmente soli, portiamo a compimento il nostro dominio su un deserto. Come. potremmo dunque immaginare quel superiore equilibrio in cui la natura bilanciava la storia, la bellezza il bene, e che portava la musica dei numeri fin nella tragedia del sangue? Noi voltiamo le spalle alla natura, ci vergogniamo della bellezza. Le nostre miserevoli tragedie si trascinano dietro un odore di scrivania e il sangue di cui grondano ha il colore dell'inchiostro grasso.

Perciò oggi è indecente proclamare che siamo figli della Grecia. Oppure ne siamo i figli rinnegati. Mettendo la storia sul trono di Dio, andiamo verso la teocrazia, come quelli che i Greci chiamavano barbari, combattendoli a morte nelle acque di Salamina. Per afferrare bene la differenza bisogna ricorrere a quello fra i nostri filosofi che è il vero rivale di Platone. <<Solo la città moderna>> osa scrivere Hegel, <<offre allo spirito il terreno in cui può prendere coscienza di sé>>. Cosi noi viviamo l'epoca delle grandi città. Il mondo è stato deliberatamente amputato di ciò che ne costituisce la permanenza: la natura, il mare, la collina, la meditazione serale. C'è coscienza ormai solo nelle strade, perché c'è storia solo nelle strade, questo è il decreto. E in quella scia, le nostre opere più significative attestano lo stesso partito preso. Dopo Dostoevskij, si cercano invano i paesaggi nella grande letteratura europea. La storia non spiega ne l'universo naturale che c'era prima, ne la bellezza che sta sopra alla storia. Quindi ha scelto di ignorare l'uno e l'altra. Mentre Platone comprendeva tutto in sé, l'assurdo, la ragione e il mito, i nostri filosofi, che hanno chiuso gli occhi sul resto, non contengono che l'assurdo o la ragione. La talpa medita.

Ha cominciato il cristianesimo a sostituire alla contemplazione del mondo la tragedia dell'anima. Ma almeno si riferiva ad una natura spirituale, e, mediante quella, manteneva una certa fissità. Morto Dio, non rimane altro che la storia e la potenza. Da molto tempo ogni sforzo dei nostri filosofi non mira ad altro che a sostituire alla nozione di natura umana quella di situazione, e all'armonia antica l'impeto disordinato del caso o il moto spietato della ragione. Mentre i Greci ponevano alla volontà i limiti della ragione, noi, per finire, abbiamo messo la spinta della volontà al centro della ragione, che ne è diventata micidiale. Per i Greci i valori preesistevano ad ogni azione e ne segnavano esattamente i limiti. La filosofia moderna colloca i propri valori al termine dell'azione. I valori non sono, divengono, e li conosceremo interamente solo aI compiersi della storia. Coi valori, sparisce il limite, e dal momento che le concezioni differiscono su quel ch'essi saranno, dal momento che non c'è lotta che, senza il freno di quegli stessi valori, non si estenda all'infinito, oggi i messianismi si affrontano e i loro clamori si fondono nell'urto degli imperi. Secondo Eraclito, la dismisura è un incendio. L'incendio avanza, Nietzsche è superato. L'Europa non filosofeggia più a colpi di martello, ma di cannone.

Però la natura è sempre lì. Alla follia degli uomini contrappone i cieli calmi e le proprie ragioni. Fino a che anche l'atomo prenda fuoco e la storia si compia col trionfo della ragione e l'agonia della specie. Ma i Greci non hanno mai detto che il limite non poteva essere varcato. Hanno detto che esisteva e che veniva colpito senza pietà chi osava oltrepassarlo. Nella storia di oggi non c'è nulla che li possa contraddire.

Lo storico e l'artista vogliono entrambi rifare il mondo. Ma l'artista, costrettovi dalla propria natura, conosce i suoi limiti e lo storico li disconosce. Perciò il fine di quest'ultimo è la tirannia, mentre la passione del primo è la libertà. Tutti coloro che oggi lottano per la libertà combattono in ultima analisi per la bellezza. Non si tratta, beninteso, di difendere la bellezza per se stessa. La bellezza non può fare a meno dell'uomo; ma solo seguendo la nostra epoca nella sua sventura noi le daremo grandezza e serenità. Non saremo mai più solitari. Ma è altrettanto vero che l'uomo non può fare a meno della bellezza e la nostra epoca finge di volerlo ignorare. Essa s'irrigidisce per raggiungere l'assoluto e il dominio, vuole trasfigurare il mondo prima di averlo esaurito, ordinario prima d'averlo capito. Per quanto dica, essa diserta da questo mondo.

Nell'isola di Calipso, Ulisse può scegliere fra l'immortalità e la terra della patria. Sceglie la terra, e insieme la morte. Oggi una grandezza cosi semplice ci è estranea. Altri dirà che manchiamo d'umiltà. Ma, tutto considerato, la parola è ambigua. Simili ai buffoni di Dostoevskij che si vantano di tutto, salgono alle stelle e finiscono con l'esibire la propria vergogna nel primo locale pubblico, noi manchiamo di quella fierezza dell'uomo che è fedeltà ai propri limiti, amore chiaroveggente della propria condizione.

<<Odio il mio tempo,>> scriveva Saint-Exupéry prima di morire, per ragioni che non sono molto lontane da quelle di cui ho parlato. Ma, per quanto conturbante sia questo grido che viene da chi aveva amato gli uomini in quel che hanno di ammirevole, noi non lo faremo nostro. Eppure, in certi momenti, che tentazione di abbandonare questo mondo triste e scarno! Ma questo tempo è il nostro, e noi non possiamo vivere odiandoci. L'uomo è caduto cosi in basso solo per l'eccesso delle sue virtù e per la grandezza dei suoi difetti. Lotteremo per quella fra le sue virtù che risale a tempi lontani. Quale? I cavalli di Patroclo piangono il loro padrone morto in battaglia.. Tutto è perduto. Ma il combattimento riprende con Achille e alla fine c'è la vittoria, perché l'amicizia è stata assassinata: l'amicizia è una virtù.

Ammettere l'ignoranza, rifiutare il fanatismo, por limiti al mondo e all'uomo, il viso amato, la bellezza insomma, è questo il terreno su cui ci ricongiungeremo ai Greci. Il senso della storia di domani non è in certo modo quel che si crede. Esso è nella lotta fra creazione e inquisizione. Nonostante il prezzo che agli artisti costeranno le loro mani vuote, si può sperare nella loro vittoria. Sopra il mare scintillante ancora una volta si dissiperà la filosofia delle tenebre. O pensiero meridiano, la guerra di Troia viene combattuta lontano dai campi di battaglia! Anche questa volta le terribili mura della città moderna cadranno, per darci, <<anima serena come la calma dei mari>>, la bellezza di Elena.

(1948)


Meridiano

Vita semplice e frugale
Pensiero Meridiano.
Il modello di uomo mediterraneo, contrapposto all'uomo delle grandi metropoli europee.
Individuo privo delle raffinatezze e delle astuzie sociali: ossia, il rispetto delle convenzioni, la capacità di dissimulare e ordire intrighi, lo spirito di adattamento e le ambizioni legate al potere, alla gloria, alla ricchezza.
Albert Camus
Coscienza dei limiti.
Bellezza.
Rifiuto del fanatismo.
I limiti del mondo e dell'Uomo.
l volto amato, la bellezza.
L'onestà di ammettere i propri errori.
Camus diffidava dalla priorità di un'idea, qualsiasi idea, sulla vita umana.
-L'esilio di Elena (L'estate e altri saggi solari)

venerdì 1 settembre 2017

0002 luciopicca

0002 luciopicca

luciopicca (22)

luciopicca (22)

luciopicca (21)

luciopicca (21)

luciopicca (20)

luciopicca (20)

luciopicca (19)

luciopicca (19)

luciopicca (18)

luciopicca (18)

frida

frida

079 luciopicca

079 luciopicca

078 bis luciopicca

078 bis luciopicca

078 luciopicca

078 luciopicca

077 luciopicca

077 luciopicca

076 luciopicca

076 luciopicca

075 luciopicca

075 luciopicca

074 luciopicca

074 luciopicca

073 luciopicca

073 luciopicca

072 luciopicca

072 luciopicca

071 luciopicca

071 luciopicca

070 luciopicca

070 luciopicca

069 bis luciopicca

069 bis luciopicca