giovedì 19 maggio 2022

non abbiamo tempo

 La storia del giardino e della città

non interessa. Non abbiamo tempo

per disegnare le foglie e gli insetti

o sedere alla luce candida

lunghe ore a lavorare.

F. Fortini, Gli alberi

Enrico Testa

 viviamo senza capirne niente

fingendo, alcuni, di capirne tutto

dei giorni in fila trascorsi nel trastullo

con i nostri hobby horse da strapazzo:

liti manie credenze

ruote da pavoncelli sediziosi

riti d’elevazione o d’abiezione

scongiuri voci impositive

oltraggi all’umiltà.

A poco servono teologi da festival

che ne sanno ancor meno

delle beghine di paese

bistrattate da poeti tracotanti;

e augusti filosofi verbigeranti

sotto il segno del mito o della moda;

e iene maculate dai denti gialli

che ringhiano, a loro tornaconto,

spirito di servizio o senso d’appartenenza.

Se ne può, di tutti -state certi-

Fare anche senza.

Alla fine, il conto è zero:

la nostra sola scienza.


Enrico Testa


 

FINESTRE ALTE

 

PHILIP LARKIN


FINESTRE ALTE

Quando vedo una coppia di ragazzi
e penso che lui se la scopa e che lei
prende la pillola o si mette il diaframma,
so che questo è il paradiso

che ogni vecchio ha sognato per tutta la vita –
legami e gesti messi da parte
come una mietitrebbia arrugginita,
e ogni giovane che va giù per lo scivolo

di una felicità senza fine. Chissà
se qualcuno osservandomi, quarant’anni fa,
ha pensato: Quella sarà la vita;
non più Dio, non più sudore e paura la notte

per l’inferno e per tutto il resto, non più
il dovere di nascondere quello che pensi del prete.
Lui e quelli come lui tutti giù per lo scivolo
come maledetti uccelli liberi. E all’improvviso

non una parola viene, ma il pensiero di finestre alte:
il vetro che assorbe il sole,
e, al di là, l’aria azzurra e profonda, che non mostra
nulla, che non è da nessuna parte, che non ha fine.

HIGH WINDOWS

When I see a couple of kids
And guess he’s fucking her and she’s
Taking pills or wearing a diaphragm
I know this is paradise

Everyone old has dreamed of all their lives –
Bonds and gestures pushed to one side
Like an outdated combine harvester,
And everyone young going down the long slide

To happiness, endlessy, I wonder if
Anyone looked at me, forty years back,
And tought: That’ll be the life;
No God any more, or sweating in the dark

About hell and that, or having to hide
What you think of the priest. He
And his lot will all go down the long side
Like free bloody birds. And immediately

Rather than words comes the tought of high windows:
the sun-comprehendig glass,
And beyond it, the deep blue air, that shows
Nothing, and is nowhere, and is endless.

This Be The Verse

 

This Be The Verse

They fuck you up, your mum and dad.
They may not mean to, but they do.
They fill you with the faults they had
and add some extra, just for you.

But they were fucked up in their turn
by fools in old-style hats and coats,
who half the time were soppy-stern
and half at one another’s throats.

Man hands on misery to man.
It deepens like a coastal shelf.
Get out as early as you can,
and don’t have any kids yourself.

Questo sia il verso

Ti inculano, tua mamma e tuo papà.
Forse non vogliono, ma lo fanno.
Ti riempiono delle colpe che hanno
e aggiungono un extra, solo per te.

Ma sono stati inculati anche loro
da idioti con cappelli fuori moda
per la metà del tempo amore-odio
e per l’altra metà mani alla gola.

Di mano in mano passa la pena.
Si assesta nell’uomo come una faglia.
Fatti da parte prima che puoi
e non avere bambini tuoi.


Philip Larkin

Philip Larkin

 

Philip Larkin


Fili

 

I grandi pascoli hanno recinti elettrici
perché le bestie vecchie stanno buone,
ma i manzi giovani fiutano sempre acqua più pura
da qualche parte altrove. Ciò che sta oltre i fili

 

li manda a massacrarsi contro i fili,
contro la scossa che gli strappa i muscoli.
I manzi giovani invecchiano da quel giorno
barriere elettriche ai loro sensi immensi.

 

Wires

 

The widest prairies have electric fences,
For though old cattle know they must not stray
Young steers are always scenting purer water
Not here but anywhere. Beyond the wires

 

Leads them to blunder up against the wires
Whose muscle-shredding violence gives no quarter.
Young steers become old cattle from that day,
Electric limits to their widest senses.

 

 

Sia questo il verso

 

Mamma e papà ti rovinano la vita.
Non vorrebbero, magari, ma lo fanno.
Prima ti riempiono dei difetti che hanno loro,
poi ne inventano altri, per te solo.

 

Ma loro stessi sono stati rovinati
da imbecilli con cappotti e cappelli fuori moda
che passavano metà del tempo a far moine
e l’altra metà cercando di strozzarsi.

 

L’infelicità passa di mano in mano.
Sempre più a fondo, come una scogliera.
Tu togliti dai piedi appena puoi,
e non mettere al mondo dei bambini.

 

This Be The Verse

 

They fuck you up, your mum and dad.
They may not mean to, but they do.
They fill you with the faults they had
And add some extra, just for you.

 

But they were fucked up in their turn
By fools in old-style hats and coats,
Who half the time were soppy-stern
And half at one another’s throats.

 

Man hands on misery to man.
It deepens like a coastal shelf.
Get out as early as you can,
And don’t have any kids yourself.

 

Le nozze di Pentecoste

 

Quella Pentecoste ero partito in ritardo:
soltanto verso
l’una e venti di quel sabato di sole
il mio treno, vuoto per tre quarti, si era mosso,
i finestrini giù, i cuscini caldi, ogni sensazione
di aver fretta spenta. Andammo
costeggiando il retro delle case, traversammo una strada
piena di parabrezza accecanti, annusammo il molo
dei pescatori, poi
il fiume cominciò ad allargarsi,
dove il cielo e il Lincolnshire e l’acqua si ritrovano.

 

L’intero pomeriggio, nel caldo intenso che sonnecchiava
per miglia all’interno,
facemmo una lenta, singhiozzante curva verso sud.
Corsero via le grandi fattorie, le ombre corte del bestiame,
le scorie chimiche e le schiume nei canali;
brillò solitaria una serra: siepi affondarono
e affiorarono di nuovo; qua e là un odore d’erba
prendeva il posto del tanfo della carrozza ferroviaria,
finché la città dopo, nuova e indifferente,
si annunciava con ettari d’auto rottamate.

 

All’inizio non notai il rumore
che facevano i matrimoni
a ogni sosta in stazione: il sole uccide
l’interesse per ciò che accade nell’ombra,
e le grida e gli schiamazzi che venivano dalle banchine
pensai fossero i facchini coi loro sacchi della posta.
Avevo continuato a leggere. Una volta partiti, però,
ce le trovammo di fronte, sogghignanti e impomatate, ragazze
che copiavano la moda, con tacchi e veli,
tutte in posa, guardandoci passare,

 

come, alla fine di qualcosa,
si saluta con la mano
ciò che è sopravvissuto. Colpito, mi affacciai
più svelto, alla stazione dopo, più curioso,
e vidi la stessa cosa in forma differente:
i padri con cinture larghe sotto i vestiti
e fronti rugose; madri chiassose e grasse;
uno zio che urlava oscenità; e poi le permanenti fatte in casa,
i guanti di nylon ed i gioielli finti,
e le tinte limone, malva, ocra che

 

facevano risaltare le ragazze in mezzo agli altri.
Sì, dai caffè,
dalle sale per banchetti, dai saloni degli alberghi
addobbati a festa, la stagione delle nozze
stava arrivando alla fine. Lungo tutta la linea ferroviaria
giovani coppie salivano a bordo, mentre gli altri restavano in gruppo;
si lanciarono gli ultimi coriandoli e gli ultimi consigli,
e, mentre ci muovevamo, ogni viso sembrava imitare
quello che vedeva andando via: i bambini col broncio
per qualcosa che non capivano; i padri che non avevano mai conosciuto

 

un successo così grande e farsesco;
le donne che condividevano
il loro segreto come un lieto funerale;
mentre le ragazze, stringendo forte le borse, contemplavano
la ferita consacrata. Finalmente liberi,
e carichi di tutto ciò che esse avevano visto,
ci affrettammo verso Londra, tra fiotti di vapore.
Ora i campi erano terreni edificabili, i pioppi stampavano
lunghe ombre sopra grandi strade, e per
circa cinquanta minuti, che bastarono appena

 

per sistemare i cappelli e dire
«Tra un po’ morivo….»,
una dozzina di matrimoni prese il largo.
Guardavano il paesaggio, seduti fianco a fianco
– un teatro passò, una torre di raffreddamento,
giocatori di cricket che lanciavano la palla – e nessuno
fece più caso agli altri, che non avrebbe più incontrato,
o a come le loro vite avrebbero tutte contenuto quest’ora.
Pensai a Londra allungata nel sole,
i suoi distretti postali come cubi di frumento:

 

lì eravamo diretti. E mentre correvamo attraverso
i lucidi nodi dei binari,
sorpassando i vagoni in sosta, muri neri di muffa
ci vennero incontro, ed era quasi finita, questa fragile
coincidenza di viaggio; e ciò che racchiudeva in sé
era ormai pronto per essere perduto, con tutta la forza
che può dare l’essere cambiati. Rallentammo ancora,
e mentre i freni mordevano fu come sentir crescere
la coscienza di un crollo, come uno sciame di frecce
lanciato fuori vista, che da qualche parte diventava pioggia.

 

The Whitsun Weddings

 

That Whitsun, I was late getting away:
Not till about
One-twenty on the sunlit Saturday
Did my three-quarters-empty train pull out,
All windows down, all cushions hot, all sense
Of being in a hurry gone. We ran
Behind the backs of houses, crossed a street
Of blinding windscreens, smelt the fish-dock; thence
The river’s level drifting breadth began,
Where sky and Lincolnshire and water meet.

 

All afternoon, through the tall heat that slept
For miles inland,
A slow and stopping curve southwards we kept.
Wide farms went by, short-shadowed cattle, and
Canals with floatings of industrial froth;
A hothouse flashed uniquely: hedges dipped
And rose: and now and then a smell of grass
Displaced the reek of buttoned carriage-cloth
Until the next town, new and nondescript,
Approached with acres of dismantled cars.

 

At first, I didn’t notice what a noise
The weddings made
Each station that we stopped at: sun destroys
The interest of what’s happening in the shade,
And down the long cool platforms whoops and skirls
I took for porters larking with the mails,
And went on reading. Once we started, though,
We passed them, grinning and pomaded, girls
In parodies of fashion, heels and veils,
All posed irresolutely, watching us go,

 

As if out on the end of an event
Waving goodbye
To something that survived it. Struck, I leant
More promptly out next time, more curiously,
And saw it all again in different terms:
The fathers with broad belts under their suits
And seamy foreheads; mothers loud and fat;
An uncle shouting smut; and then the perms,
The nylon gloves and jewellery-substitutes,
The lemons, mauves, and olive-ochres that

 

Marked off the girls unreally from the rest.
Yes, from cafes
And banquet-halls up yards, and bunting-dressed
Coach-party annexes, the wedding-days
Were coming to an end. All down the line
Fresh couples climbed aboard: the rest stood round;
The last confetti and advice were thrown,
And, as we moved, each face seemed to define
Just what it saw departing: children frowned
At something dull; fathers had never known

 

Success so huge and wholly farcical;
The women shared
The secret like a happy funeral;
While girls, gripping their handbags tighter, stared
At a religious wounding. Free at last,
And loaded with the sum of all they saw,
We hurried towards London, shuffling gouts of steam.
Now fields were building-plots and poplars cast
Long shadows over major roads, and for
Some fifty minutes, that in time would seem

 

Just long enough to settle hats and say
I nearly died,
A dozen marriages got under way.
They watched the landscape, sitting side by side
– An Odeon went past, a cooling tower,
And someone running up to bowl – and none
Thought of the others they would never meet
Or how their lives would all contain this hour.
I thought of London spread out in the sun,
Its postal districts packed like squares of wheat:

 

There we were aimed. And as we raced across
Bright knots of rail
Past standing Pullmans, walls of blackened moss
Came close, and it was nearly done, this frail
Travelling coincidence; and what it held
Stood ready to be loosed with all the power
That being changed can give. We slowed again,
And as the tightened brakes took hold, there swelled
A sense of falling, like an arrow-shower
Sent out of sight, somewhere becoming rain.

 

Continuare a vivere

 

Continuare a vivere – cioè ripetere
un’abitudine che serve a procacciarsi il necessario –
vuol dire quasi sempre perdere, o far senza.
…..Dipende.

 

Questa perdita d’interesse, capelli, e iniziativa
ah, se il gioco fosse poker, sì,
uno potrebbe scartarli, e fare full!
…..Invece è scacchi.

 

E una volta che hai percorso la lunghezza della tua mente, ciò
su cui hai il controllo è chiaro come una bolla di carico:
nient’altro, per te, devi pensare che
esista.

 

E qual è il vantaggio? Soltanto che, col tempo,
ci sembra di riconoscere la cieca impronta
dei nostri modi di fare, ne vediamo l’origine.
…..Ma confessare,

 

nella verde sera in cui comincia la nostra morte,
soltanto ciò che fu, non può bastare,
perché riguarda un solo uomo alla volta,
…..e quell’uomo muore.

 

Continuing To Live

 

Continuing to live — that is, repeat
A habit formed to get necessaries —
Is nearly always losing, or going without.
…..It varies.

 

This loss of interest, hair, and enterprise —
Ah, if the game were poker, yes,
You might discard them, draw a full house!
…..But it’s chess.

 

And once you have walked the length of your mind, what
You command is clear as a lading-list.
Anything else must not, for you, be thought
…..To exist.

 

And what’s the profit? Only that, in time,
We half-identify the blind impress
All our behavings bear, may trace it home.
…..But to confess,

 

On that green evening when our death begins,
Just what it was, is hardly satisfying,
Since it applied only to one man once,
…..And that one dying.

venerdì 13 maggio 2022

Innocenza

 Innocenza, innocenza, condizione del cielo!

Solo nell’ignoto saremo

festeggiati, nutriti. Ritualmente. L’ignoto,

rifugio a cui ci scagliamo. Perché

seppure, privi di paracadute, saremo

piatti contro la terra, non sarà più la stessa terra

che lasciammo per il volo. Cercando che? Non c’era nulla

lassù. Né è più l’ignoto, ora. Eppure mai

conoscemmo la terra come abbattuti, rotti

contro di lei. Dall’alto noi cadiamo, innocenti,

verso le nostre morti.


William Carlos Williams

Cerca il nulla

 Cerca il nulla

sbaraglia tutto


l’N di tutte le

equazioni


quella roccia, il vuoto,

che la sostiene


una volta strappato via –

la roccia è


la loro caduta. Cerca

quel nulla


che sta oltre ogni

visione


la morte di ogni cosa

che sta oltre


ogni essere

…La memoria è una specie

di realizzazione

una specie di rinnovamento

e anche

un’iniziazione, giacché gli spazi da lei aperti sono

nuove terre

abitate da orde

prima inavvertite,

di nuove specie –

…un mondo perduto

un mondo insospettato

accenna a nuove terre

né v’è bianchezza (perduta) tanto bianco quanto

il ricordo della bianchezza.


William Carlos Williams

Contatti

 Contatti - Umberto Fiori


Lo vedi come sono

storto, contratto? Lo vedi questo piede,

quando mi siedo, come lo metto?

È tutto per lo sforzo, in tanti anni,

di non urtare le persone. Stretto

contro un sedile, dentro l’autobus pieno,

stare a posto, evitare

coi miei vicini

persino il minimo contatto.

Sulle panchine delle sale d’aspetto

o in treno, in corridoio, era una pena

ogni momento sentire sfiorarsi il buio

del mio ginocchio e del loro.

Ore e ore, giornate intere:

uno di fianco all’altro

stavamo, come i gusti del gelato

nel bar della stazione.

Di vero tra noi, di giusto,

lo spazio di due dita

era rimasto.


(da Tutti, 1998)

Di guardia - Umberto Fiori

 Di guardia - Umberto Fiori


Mi conoscono bene, hanno ragione:

io sono come un cane,

una di quelle bestie nere che dormono

intorno ai capannoni industriali

e se passi, si avventano di colpo

sulla rete metallica

e più gli dici “Buono!”, più si sgolano.

Adesso, chi li consola?

Finché non hai girato l’angolo

gli bolle il sangue. Tirano tutti sordi.

Scoprono i denti, mordono

anche il filo spinato; ma sono gli occhi

che fanno più paura: sereni

e puri come quelli di un neonato

o di una statua.

Hanno imparato il compito: questo recinto

tenerlo sgombro. Sia senso del dovere

o invece solo istinto, non ti commuove

almeno per un attimo

la scena che -loro- sempre, tutta la vita,

li fa smaniare, li esalta

e li avvelena?

Io, per me, lo capisco

meglio di tutti gli altri che ho mai sentito,

questo discorso.

La riconosco bene la voce

fanatica, che sbraita per difendere

-così, alla cieca, per pura gelosia-

l’angolo dove l’hanno incatenata.

Tu non sai che cos’è, stare di guardia,

in ogni odore

sentire una minaccia

a quei tre metri di terreno,

urlare in faccia al mondo intero

fino a perdere il fiato, e non sapere

cosa c’è da salvare, a che cosa

veramente si tiene.


(da Chiarimenti, 1995)

Apparizione

 Umberto Fiori


Apparizione


Alte sopra la tangenziale, chiare,

due case con in mezzo un capannone.

È questa l’apparizione,

ma non c’è niente da annunciare.


Eppure solo a vederli

là fermi, diritti davanti al sole,

i muri ti consolano

più di qualsiasi parola.


Cancellate, ringhiere,

scale, colonne, cornicioni:

ha l’aria, tutto, come se qualcuno

dovesse veramente rimanere.

giovedì 12 maggio 2022

Mars

 Mars

          salut printemps
         en fleurs nous nous ruinerons
comme vieillard couché dans son lit d’enfance
la chambre et la nuit répéteront sa tombe
en train de rédiger un poème à l’imitation de soi
au matin les tulipes ouvertes
j’ai donné mes biens 
ne hante plus la femme
j’attends le mieux,
finir ses jours

Jude StefanÀ la vieille Parque précédé de Libères, poésie (Gallimard, 1989).

Marzo

salve primavera
in fiore noi ci rovineremo
come un vecchio disteso nel suo letto d’infanzia
la camera e la notte ripeteranno la sua tomba
redigendo un poema a imitazione di sé
al mattino i tulipani aperti
ho donato i miei beni
la donna più non ossessiona
attendo il meglio,
finire i propri giorni

(tr.. it. di. Italo Testa)

ed è mio il silenzio, mia questa paura

 ed è mio il silenzio, mia questa paura,

tu non tremi, tu ti offri, ti esponi
a questo aspettare, a labbra aperte
sempre più mio il taglio, sempre più pura
la ferita si allarga, non è violenta
la voglio così, la voglio tutta,
portala come un ricamo di sangue
come la luce stampata sui balconi:
e poi saranno gli altri a contarci, a dire
che bastava guardarsi, aver taciuto
nel momento esatto, fermi a ripetere
mentalmente il canto, l’elenco dei vivi:
ma tu ti muovi, non lasci scampo, offri
tutto con un solo gesto, senza rete
provi ogni passo, tenti ogni cosa e ancora
è mio il silenzio, è mia questa paura.

Italo Testa (Castell’Arquato, 1972), da La divisione della gioia (Transeuropa, 2010)


venerdì 6 maggio 2022

arrivano ad uno ad uno

 

arrivano ad uno ad uno
— chi in macchina extralusso
e chi lentamente a piedi —
i compagni per la cena di classe
al ristorante sulla piazzetta.
È un incontro evitato per anni.

Riconoscibili e irriconoscibili
mutati nel corpo e nei suoi danni
e identici nel demone privato
che ci agitava, ognuno, da ragazzi,
ci annusiamo prima dei saluti
come animali in campo aperto.
Siamo quello che siamo.
Non è piú possibile cambiare.

Durante la serata
c’è chi si accartoccia muto sullo sfondo
chi chiede frettoloso d’andare
e chi, verboso, estrae dalla manica
il solito stlletto
per farlo risplendere tra le tendine scure
e i cristalli del tavolo.
Si fa la classifica dei successi e delle sventure.
Qualcuno mostra la foto dei figli già grandi
qualcun’altro la foto di gruppo del ’75
e fa il confronto tra ora ed allora
o conta gli assenti e i dispersi.

Che cosa proviamo ad incontrarci?
Gioia no, forse dolore…
Non è una sensazione sola.
Un dolceamaro sapore
ci corre giú nella gola

Enrico Testa (Genova, 1956), da Ablativo (Einaudi, 2013)

 

giovedì 5 maggio 2022

guido mazzoni


 

ossessioni

 


faut être


 

ore


 

cosa


 

giardino


 

le cose


 

metafisica

 


tu lo sai

 


fiaba

 Fiaba


L’eterno era una festa di paese

e io ero bambino da millenni.

Non lo sapevo che non ero nato

né morto, né vissuto. Solamente

scrivevo su un quaderno a righe che

tu eri proprio bella, a quella festa

che respirava ovunque.


Aldo Nove