mercoledì 28 dicembre 2016

...preferirei non dire


Tiziano Scarpa

Se frale in tutto e vile

Canti:

 
"Natura umana, or come

Se frale in tutto e vile,

Se polve ed ombra sei, tant’alto senti?"


Come è possibile, in questa condizione di finitudine,

di fragilità, in questa esposizione al declino, al vuoto,

il sentire alto?


Giacomo Leopardi

Zibaldone, 7 Giugno 1820

Zibaldone, 7 Giugno 1820


[...]

"la nostra rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo l’intiero e l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura".







Giacomo Leopardi

VAR & ROE


Il guizzo di un’idea, che cerco di ingabbiare – aspetta non fuggire, lasciami qualche brandello – via di corsa sulla tastiera – notepad e picchiettio confuso e veloce per fermare i frammenti, scritti male, senza una corretta ortografia. Serviranno da schema per qualcosa che non si può incasellare:

 

racconto dul nonno / la caccia / rurare / contadino  contrada via / poca conoscenza i suoi occhi /

mio nonno costruì la sua casa con i sassi / la relatrice di sinistra, giornalista / mostra la grammitica, la non grammatica di pisolini / passione / mostra pasolino come un babino / la banalita del male / l'articolo per repubblica / trno in ufficio / il var il roe / che palle / telefonata

 

Mi piace che rurale sia diventato rurare. E’ divertente che Pasolini sia diventato pisolini/pasolino, ha conservato la sua natura di babino, scusate volevo di bambino.

 

 

 

 

VAR & ROE (luciopicca)

Value at Risk & Return on Equity

 

Non tutto è valutabile, menomale che esistono i rischi.
Il ritorno non è mai equo – corre sopra, sotto le righe – Prova a prenderlo?

 

 

 

Mi alzo, la sveglia: drin, drin, drin.

Non fa proprio così.

È un suono elettronico, è una radio sveglia nera a led rossi, bello il colore rosso!

 

Mi ronzano frammenti di idee, parole, stati d’animo.

Come’è il mio animo?

 

Il nonno, mio nonno lo chiamavano Adolfo. Il suo vero nome era Dante.

Era del 1905, nato nel mese di  gennaio, nella vigna, voglio dire in campagna, sui colli albani, nei Castelli Romani. Era un bacciante agricolo, possedeva un ettaro di terra e la vigna.

Coltivava, tra le altre cose, le viti, amava il vino.

 

Varie qualità di uva – moscato, bellone, malvasia – In un angolo della vigna aveva quattro viti di greco, per lui il greco era un frutto, era una qualità d’uva oltre ad essere una lingua.

Sapeva appena leggere e non scriveva mai, qualche firma.

 

Lavorava come bracciante e poi si ritirava nel suo vigneto, lo accarezzava con la zappa, con la vanga. Grattava il vialetto che divideva la vigna, gli toglieva le erbacce, diceva – bello il rasaletto , così lo chiamava nel suo dialetto.

Devo comprare del solfato di rame, contro i parassiti della vigna.

 

Per lui i parassiti si tenevano  a bada con il solfato di rame. Era il suo mondo, fatto di terra, uva, piante, attrezzi agricoli e stagioni. La sua vita era scandagliata dalle stagioni, il lavoro aveva il ritmo agricolo. Iniziava all’alba e finiva al tramonto. Coltivava, faceva crescere. Il sudore sulla  maglia, mentre vangava. Non  usava il “motore”, non gli piacevano i trattori, mi diceva – fanno rumore – l’uva si spaventa, non mi concede il suo nettere migliore , lo trattiene perché ha paura, la vigna non vuole rumore, vuole sussurri, carezze, qualche graffio leggero, fatto solamente dal suo contadino, non da altri. La terra è madre, è donna, ci vuole dedizione, abnegazione. Meglio la mia vanga, la mia zappa, il mio sguardo – guarda c’è questo acino che soffre, non è integro hai dei puntini, non è come gli altri ha delle difficoltà. Guardalo è diverso, è in difficoltà. Ebbene, lo aiuteremo, è in  grado di trattenere più zucchero.

Trasformerà per noi il sole in bevanda afrodisiaca.  

 

Non è vero, è una falsità. Lui diceva – Dobbiamo toglierlo!

Mi piace pensarla diversamente.

 

Del trattore era vero, non amava il rumore. Voleva sentire i suoi animali, il cane, il gatto, i suoi conigli, le galline.

Mi diceva vieni che facciamo un gioco.

 

Costruiva lui i giocattoli, con il legno, le bacchette degli ombrelli vecchi. Con un ramo, dritto, di sambuco mi costruiva la cerbottana, ero contento. Nella mia casa non esistevano questi giocattoli, i miei amici non aveveno giocattoli simili , nei negozi non li vendevano. Erano solo per me, costruiti su misura per me da mio nonno.

 

Grazie nonno!

 

Amava la caccia.

L’unico rumore che accettava era il –bum, del fucile.

Preparava lui stesso le munizioni, le cartuccie.

Faceva del male, uccideva degli uccellini. Il dolore era  presente, annientava delle vite. Era inserito nel suo contesto di contadino. Viveva non solo sulla ma anche nella terra. Seguiva il suo ritmo, era predato e predava.

 

Il signor Bacchini Tortore dava lavoro a mio nonno, lo sfruttava lo predava.

 

Cosa dire, ero un bambino di cinque anni, seguivo la sua mole. Mi faceva usare una piccola zappa – vai togli quell’erbaccia – mi diceva.

Ricordo i suoi occhi, celesti, profondi, erano finestre immense aperte su un mondo che non conoscevo, erano salti, piegamenti. Nonno mi sono fatto la pipì adosso, la mamma mi sgrida adesso. Non preoccuparti , vieni andiamo nel tinello a cambiare i calzoncini.

 

Perché mi alzo il mattino con questi pensieri, questa voglia di scriverli, perché?

Qual è il motivo?

 

Mi telefona Ombretta, un’amica di famiglia.

Ciao, come stai?

Stavi dormendo?

No, sto scrivendo.

-Arriva Cristina, sua figlia di cinque anni e dice – mamma le ciliegie sono mature!

 

Salto carpiato, la telefonata mi ha spezzato il pensiero.

Ricade, malconcio sulle mie dita, si, perchè i pensieri prendono corpo sulle mie dita.

Tic, tic, tic, tic.. non c’è  il tac.

E’ un ticchettio, della tastiera: I pensieri sono digitazione continua su quadrettini di plastica, all’interno di un rettangolo grigio.

Che bello!

Sul mio monitor appaiono le lettere e le parole, con qualche errore ortografico, digito troppo veloce e tralascio le lettere o le aggiungo, creo delle nuove parole, un’altra ortografia. Mi verebbe la voglia di non correggerle, lasciarle lì, come l’acino malato.

 

Ho perso il filo, la telefonata ha spezzato l’incanto.

 

Mi riapprorpio delle dita, dei muscoli delle mani e via ridecollo sopra , dentro, nel mio pensiero: sempre imprendibile: - il mio pensiero cammina un passo avanti a me – Vieni qui! Per favore.

 

 

La relatrice di sinistra, la giornalista.

 

Non ricordo il suo nome, mi sfugge. Mi ero iscritto ad un corso sulla grammatica filmica di Pier Paolo Pasolini. Una ragazza, simpatica, viva, vivace, decantava i films del bolognese: La ricotta, Accattone, Il vangelo secondo Matteo, Il decameron, Teorema, ecc, ecc...

 

Salò o le 120 giornate di Sodoma, mi rimase impresso. Fu un graffio sulla mia pelle.  

La banilità del male – questo era l’argomento -.

 

Assuefazione, parla proprio dell’assuefazione. L’uomo si abitua, si abitua a tutto.

Non vede l’enorme capacità che ha di distruggere, non dico decostruire ma distruggere.

 

Distruggiamo la capacità d’amare, non siamo più in grado, ci ubriachiamo di bisogni, di successi. Le nostre identità diventano potere che si scontra con altro potere, non multicultura.

Ci vorrebbero sinergie di identità.

 

Pasolini era sgrammaticato. I suoi films, volutamente, non rispettavano le regole filmiche – era un iconoclasta dell’immagine.

 

Pasolini percepì la solitudine, che oggi viviamo.

 

Non lo seguo fino in fondo, preferisco Italo Calvino.

 

Torno alla mie dita, ai miei ricordi, ai pensieri. La relatrice parlava, spiegava, mostrava spezzoni di films. I suoi occhi parlavano, erano finestre immense aperte sul mondo.

C’era passione vera, mischiava il suo sangue alle parole, i suoi muscoli mostravano direttamente  Pasolini, il video era un accessorio. Gli spezzoni dei film si potevano vedere nelle pieghe del suo viso, nell’inclinazione dello sguardo, sotto la sua pelle.

Ti trasportava, ti coinvolgeva nel suo viaggio, andavi in apnea.

Uhh! Che immersione!

 

La relatrice, coltivava Pasolini, come mio nonno la vigna.

 

Il giorno dopo vado in ufficio, sul mio desk dei report sul VAR (Value at Risk), delle analisi sul ROE (Return of Equity).

Il mio capo che dice: - Lucio devi praparare qualche slide per il meeting con le banche sudafricane. Vai e raccontagli due cazzate, poi gli offri un aperitivo e ti congedi.

 

Che palle!

Vado a prendermi un caffè e inizio a lavorare.

 

luciopicca

Passo, scalvalco, avvinghio il bordo

Francis Bacon – Study from the human body 1973-74


Passo, scalvalco, avvinghio il bordo
 
Seguendo il perimetro, a me sconosciuto.
Il muscolo è utile, nell’inutile scivolio
Ci vorrebbe, sistemerebbe …
Passo, scalvalco, avvinghio il bordo
Appeso all’interruttore di un motore, a me sconosciuto
Accendo, ne accendo…
Brusio di fondo, lampi controllati
Riflesso verde, porpora…
Confuso nelle linee, mantengo le curve
Mie curve, credo…
Appeso all’interruttore di un motore, non vorrei conoscere
Spengo, cerco di spegnere
Legato al brusio, schiavo
Scivolo, ne scivolo
Passo, scalvalco, avvinghio il bordo


luciopicca




Zora

Zora by Matt Kish


 

ZORA - Italo Calvino

Al di là di sei fiumi e tre catene di montagne sorge Zora, città che chi l'ha vista una volta non può più dimenticare. Ma non perché essa lasci come altre città memorabili un'immagine fuor del comune nei ricordi. Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre nelle case, pur non mostrando in esse bellezze o rarità particolari. Il suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare una sola nota. L'uomo che sa a memoria com'è fatta Zora, la notte quando non può dormire immagina di camminare per le sue vie e ricorda l'ordine in cui si succedono l'orologio di rame, la tenda a strisce del barbiere, lo zampillo dai nove schizzi, la torre di vetro dell'astronomo, la edicola del venditore di cocomeri, la statua dell'eremita e del leone, il bagno turco, il caffè all'angolo, la traversa che va al porto. Questa città che non si cancella dalla mente è come un'armatura o reticolo nelle cui caselle ognuno può disporre le cose che vuole ricordare: nomi di uomini illustri, virtù, numeri, classificazioni vegetali e minerali, date di battaglie, costellazioni, parti del discorso. Tra ogni nozione e ogni punto dell'itinerario potrà stabilire un nesso d'affinità o di contrasto che serva da richiamo istantaneo alla memoria. Cosicché gli uomini più sapienti del mondo sono quelli che sanno a mente Zora.
Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città: obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l'ha dimenticata.

Italo Calvino, Le città invisibili





domenica 25 dicembre 2016

Bicicletta

Bicicletta


Ho intenzione di fare un giro nella nebbia,    
ma questa mattina c'è il sole.


La bici è un disegno -strambo-,
ma ha un faro giallo acceso.


luciopicca

venerdì 23 dicembre 2016

Man next door


Nelle galassie oggi come oggi

Montanari – Nove – Scarpa
Giulio Einaudi
 
 
Esperimento in versi e musica per tre scrittori.
Raul Montanari
Sulle note di Man next door – Massive Attack
 
 
Massive Attack
Man next door
 
 
C’è questo tizio della scala accanto,
non l’ho mai visto in faccia, ma lo sento,
un’ombra, qualche volta, giù all’ingresso,
sempre di spalle, sarà solo un caso.
Non vuoi sederti? Cosa bevi? Dimmi.
Io niente. Ho già bevuto pure troppo.
Magari dopo....allora, ti dicevo,
c’è questo strano tipo, proprio dietro la parete,
- ci pensi all’ironia delle distanze?
a due metri da te, là, dietro il muro,
a un solo metro a volte, e lì magari
c’è un pazzo, un genio, l’uomo che aspettavi,
ma si, il tuo grande amore, una ragazza....
dico per me...comunque lui o lei
sono a due passi, e non li incontri mai.
Se è vero che la tua vita è un mistero,
lì c’è la soluzione, e non la vedi.
Ma non è questo il caso. Il mio vicino
lo sento far rumore, a volte piano,
a volte forte, di notte, di mattina,
solo di giorno non c’è mai... mi sembra.
Che belle scarpe hai. No, dico scarpe
Ma a me piacciono i piedi, delle donne.
Sì, ce ne sono tanti come me.
Chissà, anche lui magari...Ecco...lo senti?
I passi...sono i suoi. No, adesso è fermo,
non lo sentivi prima? Se si muove
ancora te lo dico, stacci attenta.
Be’, porterà in case le ragazze,
almeno credo... non so che età ha...
sento rumori di ogni tipo, musica,
risate, a volta grida soffocate,
sai quelle cose... non ti imbarazzare.
Non è che mi ossessioni, è come un hobby
questo vicino, questo strano uomo.
Come una porta che dà su un altro mondo.
Mi capita perfino di sognarlo.
Sì, lo vedo di spalle, in molti posti
diversi, che poi è sempre casa sua,
si gira piano, sai, come nei film,
ma io mi sveglio prima, per l’angoscia.
Ma no, dai, non è tardi, stiamo insieme
ancora un po’. Lo so che sei curiosa.
Mi sembra che lui faccia quello che
non posso fare io. Lo dico a tutte.
Che cosa? A tutti, ho detto. Sì, lo dico a tutti.
Per me lui sta in un mondo parallelo
fatto di questi passi, fatto di ombre,
di tutti i modi, di tutte le forme
in cui m’immagino la casa, casa sua.
L’ho anche disegnato. Tu ci pensi
al baratto del cazzo che facciamo
quando buttiamo via l’infanzia, a calci,
per la gran fretta di diventare grandi,
come corriamo sui mesi e sugli anni,
da veri scemi, e in cambio di che cosa?
A cinque anni, a otto, avevo mondi,
stagioni, oceani, anni come case,
case da abitare, leoni ed elefanti,
volevo andare in Africa, e i treni,
gli aeroplani su cui avrei volato,
e giorni, giorni come anni e anni come vite,
vite infinite in ogni direzione,
un giorno un’avventura, un giorno un’altra,
quattro in un giorno, quattro in un mattino,
avevo pure Dio, forse un po’ stronzo
ma dava un senso, mi capisci? Un ordine.
Mi teneva una rete sotto i piedi,
lui o la vita, o mio padre o mia madre,
non mi sarei mai fatto male, mai!
E tutto questo l’ho buttato via,
io come te, in cambio di che cosa?
Di qualche strillo, di qualche sospiro,
e tre secondi subito finiti,
un paradiso da strapazzo, no?
Il paradiso del mio cazzo. Ecco!...
Adesso non puoi non sentirlo. E’ lui...
Rimettiti seduta, per piacere,
STAI GIU’ SEDUTA!
No, guarda, scusa tanto,
stavo pulendo il cuore e mi è partito un colpo.
Oh, sì, ma adesso...adesso senti? Senti?
Vuoi toglierti le scarpe, ti dispiace?
Lo senti camminare in corridoio
Adesso esce.
Scende dalle scale.
Sale le nostre.
E’ fuori dalla porta.
Ti ho detto di levarti quelle scarpe.
O te le toglie lui? Mnh, sto scherzando.
No, non aver paura. Per favore.
Non farmi vedere che hai paura.
Non fare questo sbaglio anche tu,
non farmi vedere che hai paura.
Non farmi mai vedere che hai paura.


“cortesia dell’autore”
 

in mano

in mano
trasforma in merce ciò che prima era pubblico
ultraindividualismo
studiava gli oggetti curvi
la via di fuga attraverso cui il reale sfuggiva al suo destino di struttura
curvo incedere
sfuggire alla condanna di qualsiasi angolo
in uno spazio di cui vanamente cercano l’inizio
guardare uno sguardo inesistente, conquistati e vinti
èlite neofeudale
tutto trasformato in merce
idee, apparizioni provvisorie di infinito
volevano solo esistere
prendere posizione
liberator
echo chambers
post-truth, post verità
filter bubble, algoritmi che non ci esporrebbero a punti di vista conflittuali
gli spazi delle reti creano isolamento, assenza di confronto e una realtà post-fattuale
declino della fiducia
fake news
misinformation
troppe cose da conoscere in troppo poco tempo
la agricultura es la ciencia de las oportunidades
l'agricoltura è la scienza delle opportunità
mistero, assenza
epoca della presenza globale perpetua
nona ora, cattelan
una gigantesca rete che sta progressivamente imponendo il suo modello culturale e comunicativo
registrazione degli utenti, password d’accesso, filtri, cookies, tracciabilità dei contenuti
riducono la ricchezza posseduta dalla personalità di ciascun individuo a poche informazioni

luciopicca

abbondanza

abbondanza
era iperconnessa
io ridotto a maschera social
l’immagine mediatica e spettacolare
realismo dell’irrealtà
superiorità morale, elitaria e falsa
big pharma
rottura delle gabbie disciplinari
ibridazione interdisciplinare
bricoleur
narrazione
approccio pluridimensionale e intersemiotico
nulla ha successo come il successo
nulla fallisce come il fallimento
peso del mercato, si fa sentire sull’elaborazione
all’uomo piace costruire un confine difensivo intorno a sé
economia digitale
impresa, non è più un dispositivo di produzione ma un portafoglio di attività
isolato, atomizzato e schiacciato dalla razionalità astratta del sistema
logica di funzionamento neutrale
popolo versus élite
destrutturazione indotta dalla tecnologia
la vita assomiglia all’arredamento dell’ufficio e dell’abitazione
precariato cognitivo
disagio introiettato, si tenta di risolverlo a proprie spese
gabbia d’acciaio neoliberale
there is no alternative

luciopicca

Gabriele scrive

26 Dicembre 2015, Sabato – Ora di colazione.
(Gabriele scrive)
Mi hanno regalato, a Natale, l' Inquisitor.
E’ una macchina –Star Wars- che cammina sulla neve.
L’ Inquisitor conteneva un personaggio che si chiama: Inquisitore, era un cattivo e uccideva le persone.
Martedì scorso ho visto il film di Star Wars – Il risveglio della forza.
I personaggi che mi piacevano di più sono:
Kylo Ren, mi piaceva perché aveva la spada laser a tre punte;
Ian Solo, mi piaceva perché aveva costruito il –Millenium Falcon-;
Cubecca, mi piaceva perché era divertente, e era una specie di –Big Foot-.
Kylo Ren non mi piaceva, ma mi piaceva la spada.
Kylo Ren non mi piaceva perché aveva ucciso suo padre Ian Solo.
(…adesso mi distendo le dita, perché ho i crampi)
Mia mamma mangia pane, burro e marmellata, invece Francesca mangia pane, burro e marmellata e beve il latte.
Arriva Alice la bella, anzi la brutta addormentata nel bosco.
La zia Roberta è diventata vecchia, compie 48 anni. Zia è nata alle cinque meno venti, nel pomeriggio.
Io sono nato insieme a mia sorella Emma, che dice: “Sono nata prima io”.
Francesca assomiglia a… Boh!
Alice assomiglia a mamma.
Emma assomiglia ad Annalisa.
Gli animali che mi piacciono sono:
-l’Aquila Arpia,
-Il Condor,
-Il Falco.
L’animale che mi sta antipatico è la tracina.
L’animale buffo, che mi piace è il -pesce cappello-.
Pensiero su Anita:
Anita è una babbea, sembra un diavolo, è una bestia, fa pena, sembra un babbuino, non ha nessuno aspetto simpatico.
E’ cattiva, assomiglia all’animale “penoso”
Gli amici, che mi sono simpatici, sono:
-Matteo, perché siamo migliori amici;
-Riccardo, perché mi fido di lui;
-Andrea, perché mi è simpatico;
-Federico Maria, perché siamo migliori amici.
La maestra Rita, che insegna geografia e scienze, mi piace perché da pochi compiti, e perché non sgrida quasi mai.
Io mi chiamo Gabriele S., sono nato a Velletri il 21 Luglio 2007.
Abito a Velletri in Via P., numero civico 3..
Frequento la III C nella Scuola C. P. di Velletri.
Mi piace il purè
Non mi piace l’insalata
Mi piace il –Millenium Falcon- (astronave di Star Wars)
Non mi piace sporcarmi
Mi piace sentirmi felice
Non mi piace essere infelice
Mi piacciono i ragni (il ragno più grande che ho tenuto in mano, era grande come un numero della tombola)
Le formiche sono: “Scoccolose”.
Io e Emma andavamo ad uccidere le formiche con lo spruzzino.
Parole inventate, oggi invento delle parole:
-Acreteo, significa amaro
-Tendulum, significa pendolo
-Argofo, significa gufo
-Bonire, significa bere
-Agliat, significa tagliare
Zio Lucio dice: -Suffutufa!
Prova di descrizione.
Sul tavolo c’è un omino –Lego-
ha i guanti bianchi,
ha un “keep” bianco e nero,
ha una cintura,
ha dei pantaloni blu e neri,
ha un’armatura,
ha una camicia nera e una cravatta nera.
L’omino sta pensando di andare sul –Millenium Falcon-.
Adesso sono stanco e smetto di scrivere.
Tanti saluti da Gabriele.

luciopicca

Urlo!


Urlo

 

E poi la parola, ah, le parole! Bisogna stare attenti con le parole, bisogna trovare sempre la parolina giusta, quella in grado di dare la cifra esatta di quello che si vuole dire. Le parole sono una cosa delicata, il percorso che va dal cervello alla lingua è la distanza più lunga che si può percorrere. Ad esempio, io non capisco la parola «malessere», la parola «disagio». Sono parole cave, vuoti lemmi anestetizzati dall’uso. Malessere non vuol dire un cazzo, disagio non vuol dire un cazzo. Che cazzo vogliono dire? «Cucchiaio» vuol dire qualcosa, e anche «casa» vuol dire qualcosa. Tutti hanno un cucchiaio e sanno cosa vuol dire. Tutti hanno una casa o ne desiderano il concetto. Tutti hanno anche un malessere, ma il mio malessere è diverso dal tuo e pertanto non posso sapere come stai. Quindi quando trovo scritto, nelle recensioni o nelle quarte, che qualcosa o qualcuno «dà voce a un malessere» mi girano le palle. Se poi di questo malessere si dice pure che è «generazionale» divento una bestia. I ghiacciai che si sciolgono mentre parli non sono l’espressione di un disagio, sono un dolore di specie. E sono oltretutto una cosa terribile e terribilmente vera, che ci sopraffarà tutti (è di questi giorni la notizia che il Polo nord nel 2040 sarà un mare. Un mare, qualcuno se ne sta rendendo conto?, un mare: non ci saranno i ghiacciai, gli iceberg, gli animali di quelle terre. Non ci sarà un cazzo di niente, ci sarà un mare, e noi se saremo vivi nuoteremo nella nostra merda artica e penseremo che chi cazzo se ne frega degli orsi bianchi e dell’equilibro del sistema naturale, e delle specie, e delle possibilità di un futuro per tutti: «cosa racconteremo, ai figli che non avremo, di questi cazzo di anni zero»). Se penso a quello che succede, a come vanno le cose, a come sta il mondo, a come sto io.

(Tratto da: Andiamo a vedere Le luci della centrale elettrica di Andrea Tarabbia)

 

 

Fa bene urlare, esagerare, tingere di nero il grigio.

E’ una forma di reazione, si percepisce un disagio, non si sa come risolverlo:

Urla! Urliamo!

 

Si esagera.

Il mondo cambia, diviene, non è sempre un male.

Non sappiamo spiegarlo.

Abbiamo paura.

L’Ottocento ci donò lo slancio per capire, sembrava che potessimo chiudere il cerchio.

 Il Novecento ci donò la quantistica: - Uomo sei piccolo, piccolino, credevi di poter dominare, sei stato dominato.

Il CAOS è un brivido

  • corri, corri quel brivido non lo raggiungi-
     
    Posso iniziare la mia mattinata
    Bye
    Lucio

Risveglio

Lara Lucaccioni





Risveglio

Troppo calda l’acqua stamattina
mi svapora nei pensieri secchi
di domande all’amo che mi pasce.
Sto aggrappata e il labbro si rigonfia
spingo l’occhio a domandare tregue
dallo specchio che scartella albe di me.
Respiro e non controllo, chiudo rughe
a mastice rappreso. Chiedo al gatto
pareri sulle scarpe rosse. Ed esco.


Una Poesia

Azzurra D'Agostino

Non c’è una sola legge del mondo
che io conosca. Non saprei dire
cosa muove queste fronde perché la mela
cade come mai i colori cambiano
con che coraggio il ragno lancia
la sottile trama come fa a sapere
che da qualche parte quel suo bagliore
attraccherà. Il ragno chissà perché
più di me ha fiducia che il mondo esiste
e che sia un posto in cui può stare.
Non una sola legge al mondo invece
io conosco mi dispiace non mi è dato
di credere a nessuna spiegazione
perché così e così e questo e quello…
io non riesco io continuo istupidita a vacillare
a ogni primo vacillare della stella,
a ogni tremore del bosco, del sole nella sera,
della mano che piano piano tocca
il cavo del collo, della bocca.


Azzurra D’Agostino è nata a Porretta Terme, sull’Appennino Tosco-Emiliano. Ha scritto le raccolte D’in nci’un là (I Quaderni del battello ebbro, 2003) e Con ordine (Lietocolle, 2005). Ha pubblicato interventi, racconti, poesie, testi di drammaturgia su varie riviste e antologie (tra cui Best off 2006, minimum fax; Poesia e natura, Le Lettere; L’Almanacco dello specchio, Mondadori; Bloggirls, Mondadori).

Zaira


ZAIRA - Italo Calvino

Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: la distanza dal suolo d'un lampione e i piedi penzolanti d'un usurpatore impiccato; il filo teso dal lampione alla ringhiera di fronte e i festoni che impavesano il percorso del corteo nuziale della regina; l'altezza di quella ringhiera e il salto dell'adultero che la scavalca all'alba; l'inclinazione d'una grondaia e l'incedervi d'un gatto che si infila nella stessa finestra; la linea di tiro della nave cannoniera apparsa all'improvviso dietro il capo e la bomba che distrugge la grondaia; gli strappi delle reti da pesca e i tre vecchi che seduti sul molo a rammendare le reti si raccontano per la centesima volta la storia della cannoniera dell'usurpatore, che si dice fosse un figlio adulterino della regina, abbandonato in fasce lì sul molo.

Di quest'onda che rifluisce dai ricordi la città s'imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d'una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole. 

Italo Calvino, Le città invisibili

giovedì 22 dicembre 2016

gatti

Io è un altro

 Arthur Rimbaud

« Car JE est un autre. Si le cuivre s'éveille clairon, il n'y a rien de sa faute. »

« Io è un altro. Se l'ottone si desta tromba, non è certo per colpa sua. »

« Il poeta si fa veggente mediante una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, egli esaurisce in lui tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura dove egli ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovraumana, dove egli diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, - e il supremo Sapiente! - Poiché egli arriva all'ignoto! dopo che ha coltivato la sua anima, già ricca, più di chiunque altro! Arriva all'ignoto, e seppure, impazzito, finirà per perdere l'intelligenza delle sue visioni, egli le ha viste! Che crepi nel suo salto verso le cose inaudite e innumerabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti dove l'altro s'è accasciato! »

bilico


bilico
omologazione culturale prodotta dalle modalità di funzionamento dei social network
funzionamento finalizzato agli interessi delle grandi imprese che controllano
prima fase di sviluppo del sistema capitalistico, recintare i territori che in precedenza erano liberamente accessibili, stabilire la loro natura privata
mutare
lo sviluppo della monocultura si presenta, apparentemente, come il risultato di una libera scelta
oversight, suppression, supervisione, soppressione
sysop, amministratore
bureaucrat, steward, arbitration committee
ores, software
approdando alla contingenza, come la verità del mondo
la capacità dell’opera d’arte di elevare a unità il caos del reale, di dare a questo forma
totale assenza di ogni principio
l’impossibilità della forma di contenere in sé il dilagare della vita
dal consenso, dalla voce della maggioranza a cui il singolo individuo necessita di adattarsi mentre interpreta tale adattamento come sua libera scelta
proliferazione di punti di vista
proliferazione di opinioni non più riferentesi a modelli fissi
crisi del linguaggio e della capacità comunicativa
il pensiero è un gioco
il crollo dell’equazione fra forma e significato, fra segno e sostanza
mimesi della contingenza
c’è di più nell’immobile che nel mobile
la vita è una fluenza vittoriosa, senza dove, né come, né perché, e che va travolgendo le turate che noi tentiamo di farle con le nostre morali
gli altri uomini hanno sempre avuto bisogno, per vivere, di appoggiarsi a qualche cosa che fosse ferma e stabile, gli uni si sono appoggiati a dio, gli altri alla ragione che è un’altra sorta di dio, altri infine al dovere sociale, io do un calcio a tutte le basi, butto via tutti i puntelli e resto solo, in bilico su un filo di ragno, sopra un abisso buio, ed io sono felice, come l’essere e il non essere si risolvono nel divenire, in un flusso rapace di gioia, soffici

luciopicca




Isidora

Isidora - Colleen Corradi Brannigan

ISIDORA - Italo Calvino
All'uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d'una città. Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d'arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c'è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi.

Diomira

Diomira - Isabella Angelantoni Geiger

DIOMIRA - Italo Calvino

Partendosi di là e andando tre giornate verso levante, l'uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole d'argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d'oro che canta ogni mattina su una torre. Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre città. Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate s'accorciano e le lampade multicolori s'accendono tutte insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna grida: uh!, gli viene da invidiare quelli che ora pensano d'aver già vissuto una sera uguale a questa e d'esser stati quella volta felici.

mercoledì 21 dicembre 2016

Miedo

Miedo


Inondato di colore!
Ho cliccato il sito, ho navigato, ho scelto d’istinto.
La mia pancia è migliore della mia testa, non amo le –sinapsi-.
 
Ho salvato sul mio computer: Tecnica-mista-(60X80)-Miedo.
Angoscia.
 
Amo Francis Bacon, la carne sanguinante, l’urlo del Papa Innocenzo X.
C’è più colore in –Miedo-.
Miedo mi ricorda Bacon.
 
Non a tutti si può dare la mano, a qualcuno si deva dare la zampa, dotata di artigli.
 
Ho chiesto aiuto a Nietzsche, mi piace il graffio, e la possibilità di sanguinare, proprio perchè non sanguiniamo più.
 
Volo –jazzando-, seguendo il ritmo dei tasti schiacciati dalle mie dita.
 
Qualcuno aveva immaginato una enorme tastiera da computer, morbida come una coperta, distesa su tutta Milano. Le persone, camminandoci sopra, avrebbero schiacciato i tasti delle lettere, si sarebbe potuto comporre un testo, incompresibile!
 
Distruggete le etiche, senza crearne di  nuove.
 

Ho scelto poi la foto numero quattro:


C’è una barriera, in primo piamo, è di legno.
Ci sono delle sedie, una in plastica, l’altra in legno scrostato.

Non credo che oltrepasserò la barriera.

Fermo il mio sguardo sullo scrostato della sedia di legno.

 
Un mio scatto:


luciopicca

Ero un bambino


[…]

 

ero un bambino con bocca grande e grandi occhi  ***

che correvano ovunque per comprendere il mondo


 

il bambino non capisce perché deve soffrire

piange a gola spiegata per gridare la sua sciagura

ma la minima idiozia ugualmente lo fa sorridere

 

 

 

j'étais un gosse à grosse bouche et grands yeux  ***

qui se jetaient partout pour comprendre le monde


 

l’enfant ne comprend pas pourquoi il doit souffrir

il pleure à gorge déployée pour crier son malheur

mais la moindre bêtise aussi le fait sourire

 

 

william cliff

 

 

appiccico e incollo, tendo al mio filo conduttore.

-il mio orologio va venti minuti indietro, si festeggia l’arrivo del natale alzando i bicchieri, sono le ore ventiquattro del ventiquattro dicembre duemilanove.

-il mio orologio è indietro, non arriverà alle ventiquattro, rifiuta il natale.

 

navigo sulle onde sintetiche, trovo sabaudia e scrivo volutamente minuscolo, senza maiuscole.

 

pier paolo sulle dune che videro me bambino, con mio padre, sulla sabbia.

 

 

La sera del 7 febbraio 1974 la Rai tv trasmise un nuovo, breve documentario della serie “Io e…”, intitolato “Pasolini e … la forma della città”, a cura di Paolo Brunatto. Nelle ultime immagini, mentre si chiudeva il documentario e dopo aver camminato nervosamente tra le dune di Sabaudia, all’improvviso Pasolini si fermò, esponendo alla telecamera il pallore di un volto sofferto e scavato, e denunciando con assoluta sincerità e asciutta drammaticità, decisamente inabituali per i telespettatori di allora (e di oggi) l’appiattimento culturale, la devastazione estetica e l’imbarbarimento civile a cui ci avrebbe inevitabilmente portato la società dei consumi concepita dalla repubblica post-fascista e in generale da tutti i “regimi democratici” contemporanei.

ascolto, senza vedere:

-sento il mare

-la voce parlante, in qualche modo il 7 febbraio 1974 è presente,

il processo, moderno, di archiviazione ci proietta, saltando lo spazio-tempo, il momento sepolto e riascoltabile più volte – presenza puntuale e sintetica.

 

-regime

-architettura

-metafisico-realistico

-esseri viventi completi, interi, pieni, nella loro umiltà

-città

-criminali

-gruppo

-ordinata

-radici

-provinciale, rustica, palaindustriale

-regime democratico

-acculturazione

-omologazione

 

-il potere della civiltà dei consumi riesce ad ottenere perfettamente

-distruggendo le varie realtà particolari

-togliendo realtà ai vari modi di essere uomini

 

-talmente rapidamente

 

-incubo

-risvegliandosi, forse

 

-non c’ è più niente da fare!

 

 

guardo, senza ascoltare:

-scorrono le parole, piccole, non riesco a leggerle

-sulle dune in soprabito

-primo piano, volto scavato

-laguna

-grigio

-cittadina

-pianura

-il maglione è colorato sotto il soprabito scuro

-piazza

-orologio

-campanile

-movimento

-scatole

-solitudine

-persiane chiuse

mare,mare,mare…

 

-afono

-scapigliato

-zigomi sporgenti

-sofferente

-vento

 

 

il mio orologio è magico, per fortuna si rifiuta, talvolta, di segnare il tempo.

 

 

lucio