giovedì 28 settembre 2023

Chandra Candiani, se il primo esercizio è vivere

 

Chandra Candiani, se il primo esercizio è vivere

GEOGRAFIE SENTIMENTALI. Una intervista a proposito della sua nuova silloge in versi «Pane del bosco», pubblicata da Einaudi. Sabato l’autrice sarà ospite di Torino Spiritualità che si apre oggi. Tema di quest’anno è «Agli assenti». «Quando stavo a Milano, se mi sentivo intimorita o a disagio, per esempio in metrò, facevo un piccolo gesto segreto per chiamare il lupo al mio fianco destro e il puma al sinistro. L’immaginario femminile è un luogo abitabile, è costruzione di mondi dove ricaricarsi, si fa tappa nella notte del mondo, si sente compassione, sacra ira, urlo e cucitura»

 

Chandra Candiani / foto di Melina Mulas

Nuovo!

Alessandra Pigliaru

«Sia alto il tuo cuore». Scrive così Chandra Candiani nel suo Pane del bosco (Einaudi, pp. 140, euro 12,50), ultima raccolta in versi composta di poesie dal 2020 al 2023. L’esortazione tuttavia arriva da un ontano bianco, un albero che grida mentre qualcuno corre via da un aggressore meschino e privo di lealtà. Come spesso accade leggendo Candiani, poeta milanese che di recente ha scelto di lasciare la sua città natale per trasferirsi in una casa tra i boschi su un alpeggio piemontese, la realtà è un esercizio di visione e ascolto, di connessione e attenzione.
Se nel libro precedente, 
le favole di Sogni del fiume, abbiamo osservato quanto la soglia dell’impossibile riesca a convocare l’essenziale, è nelle altre sillogi (in particolare da La bambina pugile a Fatti vivo) e nelle sue meditazioni (Il silenzio è cosa viva e Questo immenso non sapere) che abbiamo inteso quanto Candiani abbracci la molteplicità dell’abitare questo mondo, anche quando è già (e sempre) un altro.
Sabato 30 settembre l’autrice sarà ospite di Torino Spiritualità (Teatro Gobetti, ore 17) in conversazione con Armando Buonaiuto, curatore del festival (la nuova edizione si apre oggi per proseguire fino a domenica).

«Pane del bosco» ci orienta nei sentieri della sua poetica che tiene per mano la natura e le sue creature. Prima di tutti gli incontri, ci sono però il bosco e il pane che sembrano suggerire il ritorno a un luogo originario e di nutrimento che si scopre con la meraviglia della prima volta. Che inizio è stato?
L’inizio di una nuova fase della vita, la vecchiaia, che è infanzia della mente e stanchezza del corpo. Dispormi al bosco, al trasferimento in un luogo imprevedibile, alla mia età, faceva stupire tante persone, perplesse ma anche preoccupate. Ma io, senza saperlo, cercavo un posto dove morire non fosse tragedia, ma abbandono. La mente perde convinzioni arrugginite qui, idee solidissime si sgretolano, ma non si tratta solo dell’immersione in un luogo che degli umani se ne infischia, è anche l’entrata nella vecchiaia. Ho voglia di aprire le mani, di lasciar andare la rigidità delle opinioni, di scorrere. Mi dispongo a un nutrimento che è disintossicazione dall’abituale e dall’aggressività mascherata d’altro che percepisco fortemente nel mondo. Qui tutto è diretto, solo quello che è. Così la vecchiaia: ogni ruga un tracciato, ogni dolore una storia, ogni gioia un abbandono all’attimo.

Molte sono le cose che accadono a «Lei» che fa il suo ingresso in un bosco, per esempio perde il nome e anche quando dice «Io» o «Tu» si rivolge al circostante in un dialogo tra differenze. Quella perdita non è allora una rinuncia bensì una rinascita che spiega bene nella poesia «Essere amata da un bosco». Che apprendistato è il tempo di questo amore ricevuto?
«Lei» mi ha anticipato nel primo bosco dove ho vissuto per tre anni, un bosco vicino a un paese, meno assoluto di questo dove vivo ora. «Lei» è quella parte del femminile che vive da sempre nelle selve e non le lascia mai. È stato un apprendistato all’estraneità vissuta con cuore e corpo aperti. Mi sono affidata a Lei che conosce da sempre le piante, sa gridare ai tori, accarezzare gli asini, schivare le domande moleste degli umani: «Lei è di qui?» «No, sono di là». Non ero capace, come tante e tanti, di ricevere, non capivo cosa fare in un bosco, cosa dare e prendere. Dovevo «lasciare i sapienti,/ zoppicare e balbettare». Ho tolto e tolto, è rimasta l’apertura della pelle e dell’anima a quel che c’è. Togliersi è un grande passo per esserci. Perdere il desiderio di piacere è una libertà meravigliosa e il morso di un asino te lo insegna fino alle ossa.

Animali, alberi, bambini intravisti nell’arco di un anno diviso per stagioni che dall’estate arriva alla primavera. È un popolo intero che abita la gratitudine di attraversare la terra, i fiumi, le foglie, le voci più indistinte. Ci sono api, libellule simmetriche, rondini, gatti e altri esseri ancora. La raccolta si apre però con la regalità di un puma e di un lupo. E di quest’ultimo ha già scritto perché molto le sta a cuore. In che modo il lupo le è stato accanto? Cosa dice di lei e del suo legame con la poesia?
Quando vivevo a Milano, se mi sentivo intimorita o a disagio, per esempio in metrò, facevo un piccolo gesto segreto per chiamare il lupo al mio fianco destro e il puma al sinistro. Funzionava sempre. Mi dava dignità e baldanza. Il lupo mi ha portato il dono della sacra ira, dono di vecchia e di antenate. L’ira non è la rabbia, nel Buddhismo tibetano esistono divinità irate, sono guardiani della soglia, protettori. Non ho più voglia di «inghiottire carboni ardenti» ma nemmeno veleno in carta di caramella, dico ‘stop’ con tutte le mie forze. Qui l’hanno visto il lupo e mi dispongo all’incontro, inchinandomi a chi conosce come sopravvivere nell’aperto. Il lupo protegge la mia poesia, non la vuole rispettabile, né erudita, la vuole cruda e vera. Puma e lupo mi insegnano ad aspettare la Voce, a non voler dire o scrivere io, ad attenderle le parole che bussano.

Nel suo specchio dell’infanzia, le bambine sono protagoniste in alleanza vitale tra loro. Anche quando ricordano le ferite che le precedono, le scorgiamo in sodalizio con la forza e la fragilità del mondo e della condizione umana. Non sembrano sognatrici eppure nei loro pensieri c’è sempre una dimensione ulteriore, in cui all’insufficienza della realtà, con la sua violenza e la sua ingiustizia, rispondono con la semplicità dell’amare.
Le bambine sanno amarsi e amare, sanno scegliersi e scegliere, sono bosco. L’immaginario femminile è un luogo abitabile, è costruzione di mondi dove ricaricarsi e poi si torna, si fa tappa nella notte del mondo e si sente compassione, sacra ira, urlo e cucitura, baratro e volo. Ho perso due sorelle e due amiche in questi trasferimenti da mondo a mondo. Dolore che sbrana ma porta al fiume del tempo e ci si specchia cambiate e si sa che occorre riconoscenza per quel che è stato e disponibilità ad avventurarsi in quel che è ora. Sto cercando di essere la migliore amica di me stessa. Non è facile, sono così selvatica che scappo anche da me. La poesia di Ida Travi è per me l’opera magica che mi accompagna in questo trasloco temporale. Nella sua poesia, gli esseri sono parlanti, portano il peso spaventosamente leggero della parola, e trasmettono la nostalgia di un quotidiano altrove che è una mappa di mondi da sempre perduti, non un sentimento. Ho ascoltato l’intervista brevissima a una donna africana appena ripescata dal mare, una regina di sale. Ha detto solo due frasi: «Perché non ci salvate? Non avete bisogno di noi?» È la seconda frase che mi ha toccato fino alle urla del cuore. «Non avete bisogno di noi?» era stupita. Sì, io sì ho bisogno assoluto di te.

Il tema di Torino Spiritualità è «Agli assenti». Nelle sue poesie e nelle sue prose poetiche ha scritto molto riguardo la morte, come di una conversazione perpetua che lambisce la vita. Ma l’assenza non racconta solo della morte, racconta, come scrive in «Pane del bosco» del «dolore interrogato», di una crepa che si apre e in cui si entra. La si assaggia l’assenza, significa «assaporare il furore dell’abbandono».
Gli assenti non sono gli scomparsi. Sono presenti in un modo altro, sottile, poetico, da tradurre, briciole di un pane spezzato, nutrimento bruciante che chiede di abbandonare convinzioni e compiutezze. Niente è compiuto, tutto è in viaggio e dimorare nel non permanere di tutto e di tutti fa un male incicatrizzabile ma permette di aprire le soglie dell’Assenza e di farne Presenza oltre il conosciuto. Ci vuole la magia, se perdiamo la magia per noi è davvero finita. Impariamo dai felini, basta che passi un gatto dovunque siamo e tutto il mondo cambia. Il sacro non è solenne, è misterioso, giocoso, sfuggente, imprevedibile, imprendibile e ci chiede la vita. Tanti hanno creduto che nel verso di una poesia che parla di «un sorriso invivibile» ci fosse un refuso per «invisibile» o altro ancora. No, esistono cose «invivibili» perché ci chiedono la vita, stare senza garanzie davanti al rischio dell’altro. Non avete bisogno di noi? Sì, ho bisogno di voi. Vi salverò tutte con le mie mani bucate. E nella testardaggine d’essere incontrerò gli assenti e la morte non avrà l’ultima parola.

Nella poesia «Eravamo nessuno» fa un omaggio a Cristina Campo nominando «la tigre assenza». Cosa la lega a lei?
La sua non compiacenza, la selvatichezza, la solitudine, la differenza di ricerca, la somiglianza di non placarsi nel trovare, ma nell’andare in cerca di abissi, sostare sull’orlo e sapere che non ce la faremo mai. Mancheremo sempre la poesia come manchiamo ogni volta che ci accontentiamo di spiegazioni. Lo spiegabile non è vivente. Ida Travi: «Fa in modo che le parole non facciano pensare a una poesia, ma lo siano».

 

 

 

mercoledì 13 settembre 2023

Nazismo e managerial science. Una relazione pericolosa

 

 ISSN 2421-0730

NUMERO 1 – GIUGNO 2021

CHARLIE BARNAO

Nazismo e managerial science. Una relazione pericolosa

ABSTRACT - The subject of this article is the cultural connection between Nazism and managerial science. I will address the theme starting from the work of the French historian Johann Chapoutot. In the first part, the general principles and assumptions underlying a cultural history of Nazism will be outlined. Going into more details, I will then move on to consider some fundamental elements of the management culture within the project of Hitler's Germany. In the concluding part of the article, I will present the history and scientific thinking of a central figure in the connection between management and Nazism. It is Reinhard Höhn, SS officer and director of the Institute for State Research at the Friedrich-Wilhelms-Universität of Berlin who, after the war, will translate Nazi ideas into the scientific discipline of management, founding the most important management school in Europe in Bad Harzburg and becoming its most popular and internationally known professor.

KEYWORDS - Nazism - Managerial science - Culture - Reinhard Höhn. 1/2021

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CHARLIE BARNAO

Professore associato di Sociologia Generale, presso l’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.

Contributo sottoposto a valutazione anonima.

1 Dell’Autore si vedano almeno J. CHAPOUTOT, Le National-socialisme et l’Antiquité, PUF, 2008 (rééd. coll. «Quadrige», 2012); ID., Fascisme, nazisme et régimes autoritaires en Europe- 1918-1945, PUF, 2013; ID., La Loi du sang. Penser et agir en nazi, Gallimard, Paris, 2014; ID., La révolution culturelle nazie, Gallimard, Paris, 2017; ID., Libres d’obéir. Le management, du nazisme à aujourd’hui, Gallimard, Paris, 2020.

Nazismo e managerial science. Una relazione pericolosa

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Chapoutot e la storia culturale del nazismo. – 3. Cultura del management, guerra e il progetto della Germania di Hitler. – 4. Reinhard Höhn. – 5. Akademie di Bad Harzburg e managerialsmo postbellico. – 6. Management per delega di responsabilità. – 7. Conclusioni.

1. Introduzione

Oggetto di questo articolo è il rapporto tra nazismo e managerial science. Affronteremo il tema a partire dal lavoro dello storico francese Johann Chapoutot, professore di Storia contemporanea alla Sorbona. Esperto di fama internazionale sulla storia del nazismo, Chapoutot1 si è occupato di management da un punto di vista critico e originale. Lo storico francese fa un lavoro controtendenza rispetto a quell’approccio di studio del nazismo che lo vuole relegare a fenomeno estraneo, irripetibile, distante da tutto ciò che siamo oggi, da tutto ciò che riguarda, oggi, il nostro modo di vivere. Un approccio, quello, che, forse, può piacere perché a volte ci facciamo sopraffare dalla durezza e dalla crudeltà di alcuni fenomeni (il nazismo primo fra tutti), spingendoci a interpretarli come fenomeni estremi sì, ma esterni a noi e al nostro mondo: fenomeni “demoniaci”, “irrazionali”, di regressione verso la “barbarie”. Forse siamo portati a fare questo nel vano tentativo di proteggerci. Lo facciamo per paura, convinti così di esorcizzarli e poterli tenere lontani da noi per sempre.

Invece, purtroppo, spesso si tratta di fenomeni in cui sono protagonisti attori sociali che si muovono all’interno di un universo di significati, perseguendo valori e avendo obiettivi inseriti nel nostro tempo e nei nostri luoghi. Non sono fenomeni culturali impermeabili al mondo che li circonda. Il nazismo nasce e interagisce in un bagno culturale comune europeo e occidentale all’interno del quale assume un ruolo di rilievo la managerial science. CHARLIE BARNAO

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Inizieremo delineando i principi generali e i presupposti che stanno alla base di una storia culturale del nazismo. Chapoutot utilizza un approccio esplicitamente weberiano per comprendere il significato che i nazisti danno alle proprie azioni, all’interno di un contesto storico-sociale ben preciso. Scendendo più nel dettaglio, passeremo poi a considerare alcuni elementi fondamentali della cultura del management all’interno del progetto della Germania di Hitler. Riorganizzare e ottimizzare le risorse diventa l’attività fondamentale per salvare la razza tedesca dall’estinzione. Al centro di questo modello culturale il principio di darwinismo sociale secondo il quale il valore di un individuo è legato alla sua capacità di performance.

Nella parte conclusiva dell’articolo presenteremo la storia e il pensiero scientifico di una figura centrale del collegamento tra management e nazismo. È Reinhard Höhn, ufficiale delle SS (dal 1934) e direttore dell’istituto di ricerca statale dell’università di Berlino che, nel dopo guerra, traslerà le idee naziste nella disciplina scientifica del management, fondando la scuola di management più importante d’Europa a Bad Harzburg e diventandone il professore più carismatico e noto a livello internazionale.

2. Chapoutot e la storia culturale del nazismo

Nel suo libro Libres d’obéir. Le management, du nazisme à aujourd'hui2, Chapoutot, parla dell’ossessione nazista per il management, offrendo una nuova storia critica del management, sostenendo che l’attuale pensiero manageriale è in parte un’eredità del nazismo.

2 J. CHAPOUTOT, Libres d’obéir, cit. (vedi nota 1).

Concentrandosi in particolare sulla figura e sull’influenza di Reinhard Höhn (generale nazista e, nel dopoguerra, scienziato del management di fama internazionale), Chapoutot suggerisce ed evidenzia sorprendenti parallelismi e punti di contatto tra la cultura nazista legata alla gestione delle risorse e le moderne tecniche manageriali. Libres d’obéir è un libro del 2020 molto attuale se pensiamo quanto il management e la cultura del management siano diffusi: nelle aziende e nella politica.

Parlando del tema politico, che si intreccia con quello della cultura aziendale, pensiamo ad esempio all’impiego sempre più frequente di grandi manager per la gestione della cosa pubblica (ricordiamo, ad esempio, tutto il tema della gestione delle “risorse umane”, oggi di 1/2021

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grandissima attualità). In generale assistiamo ad un incremento della diffusione di una cultura imprenditoriale di tipo manageriale anche in ambito pubblico: è il caso, ad esempio, della sempre maggiore diffusione del new public management.

Ma prima di scendere un po’ più nel dettaglio, facciamo un piccolo passo indietro per contestualizzare Libres d’obéir nell’opera di ricerca storica più generale di Chapoutot. Johann Chapoutot ha, con le sue opere, l’obiettivo dichiarato di ricostruire una storia culturale del nazismo. Per capire il nazismo è necessario prendere sul serio le idee e la visione del mondo dei nazisti. Chapoutot si sforza di mostrare quanto il nazismo sia parte di una tradizione culturale europea e occidentale. Così sottolinea anche nella Prefazione alla traduzione francese dell'opera di James Q. Whitman, Hitler’s American Model, un testo in cui si fa un parallelo tra le leggi segregazioniste americane e quelle razziali tedesche, evidenziando come le prime furono di ispirazione per le seconde3.

3 Cfr. J.Q. WHITMAN, Hitler's American model: The United States and the making of Nazi race law, Princeton University Press, Princeton (N.J.) - Oxford, 2017.

4 J. CHAPOUTOT, Le National-socialisme et l'Antiquité, cit. (vedi nota 1).

5 J. CHAPOUTOT, La Loi du sang, cit. (vedi nota 1).

6 J. CHAPOUTOT, La révolution culturelle nazie, cit. (vedi nota 1).

7 Cfr. Z. BAUMAN, Modernity and the Holocaust, Basil Blackwell, Oxford, 1989.

Il metodo che utilizza Chapoutot è quello storico. Analizza migliaia di documenti: scritti ufficiali, circolari amministrative, articoli scientifici, video, fotografie, ecc. Utilizza un approccio dichiaratamente interpretativo di tipo weberiano: comprendere, cioè, il punto di vista degli attori sociali – i nazisti – che agiscono in un determinato contesto. L’obiettivo è, quindi, comprendere qual è il senso che l’attore sociale dà alla propria azione, quale il significato, dal suo punto di vista soggettivo. Libres d’obéir prosegue lo studio della cultura nazista, già presente in altri libri di Chapoutot sul nazismo - tra cui ricordiamo: Il nazionalsocialismo e l’antichità4, la sua tesi di dottorato; La legge del sangue5, la sua tesi di abilitazione; e La rivoluzione culturale nazista6. Si tratta in tutti questi casi di ricerche storiche realizzate con lo stesso tipo di approccio.

Libres d’obéir non vuole stabilire una continuità tra management e nazismo. È un libro storico sul nazismo che mette in evidenza la modernità del nazismo. Ricordiamo come già Bauman, una trentina di anni fa, pubblica Modernità e olocausto, facendo un certo scalpore, mostrandoci come i crimini dell’olocausto non fossero qualcosa di arcaico, ma contemporaneo7. Il nazismo è perfettamente integrato nella modernità e nel nostro contesto CHARLIE BARNAO

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storico. Tutto questo è in contrapposizione ad una visione che lo vorrebbe avulso, quasi estirpato, come fenomeno eccezionale e irripetibile della nostra storia.

Il nazismo con i suoi protagonisti, le sue idee, le sue visioni della vita è parte del nostro mondo. Certo ciò non significa che il nazismo non vada contestualizzato in condizioni strutturali specifiche legate ad un certo periodo storico, alla fine della prima guerra mondiale. Non va dimenticato, quindi, il fatto certo che i nazisti fossero particolarmente radicali, violenti e brutali nelle loro pratiche. Ma gli elementi essenziali che costituiscono i fondamenti del nazismo (imperialismo, militarismo, eugenismo, darwinismo sociale, razzismo e antisemitismo) non sono un’invenzione nazista e neanche un’invenzione tedesca. I nazisti spingono fino alle estreme conseguenze alcune caratteristiche strutturali importanti della nostra modernità occidentale della seconda metà del XIX secolo, nell’attuazione di un progetto che è figlio di una visione escatologica, per realizzare un progetto salvifico: salvare la Germania, salvare la razza tedesca dall’estinzione.

3. Cultura del management, guerra e il progetto della Germania di Hitler

Tutto questo è strettamente legato alla cultura del management. Era necessario per il progetto tedesco – per questo grande obiettivo di “salvezza” – ricostruire il potere della Germania, armandola e riorganizzandola. Appena saliti al potere, nel 1933, i nazisti avevano necessità di produrre, in modo straordinario e senza precedenti, armamenti e apparecchiature tecnologiche con una popolazione scarsa (che nel 1939 sarà ulteriormente diminuita per l’impiego militare).

Sorgono, quindi, due problemi tra di essi collegati: il Reich si dilatava in modo notevole dopo il 1938 con annessioni e conquiste; lo faceva con un personale amministrativo che, per lo stesso motivo (cioè per la mobilitazione di 18 milioni di uomini tra il 1939 e il 1945), diminuiva. Quindi: bisognava riorganizzare e ottimizzare le risorse. Era questo il compito di una classe di giovani molto preparati e ambiziosi che si erano formati e istruiti sulla organizzazione del lavoro nel Menschenführung (cioè “comando”, “leadership”, “guida”) termine che germanizza il termine britannico e americano di management. 1/2021

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Diventava necessario, quindi, fare il più possibile con meno mezzi possibili. Ottimizzare le risorse scarse8. Chapoutot9 cita il caso di Herbert Backe, Segretario di stato dell’agricoltura del Reich, il quale scrive una circolare, un normale documento amministrativo, in cui si pianifica una carestia che porterà alla morte milioni di persone: il famoso Hungerplan. Backe era stato personalmente nominato dal ministro del Reich per i territori orientali occupati, Alfred Rosenberg, come Segretario di Stato (Staatssekretär) del Reichskommissariat dell’Ucraina dove può attuare la sua politica strategica, il Piano della fame (Der Hungerplan o anche Der Backe-Plan). La capacità di trasporto delle ferrovie russe, l'inadeguata rete stradale e la carenza di carburante implicavano il fatto che l'esercito tedesco avrebbe dovuto sostentarsi requisendo cibo dalle fattorie sovietiche ed ucraine. L'obiettivo del “Piano della fame” era quello di infliggere una “fame di massa” deliberata alle popolazioni civili sotto l'occupazione tedesca, dirigendo tutte le scorte di cibo alla popolazione tedesca e alla Wehrmacht sul fronte orientale. Secondo lo storico Timothy Snyder, come risultato del piano di Backe, 4,2 milioni di cittadini sovietici (in gran parte russi, bielorussi e ucraini) furono fatti morire di fame dagli occupanti tedeschi nel periodo 1941-1944.

8 Un principio, questo, molto attuale della rivoluzione neoliberale, che si sente spesso recitare anche dalla politica odierna, fino ad arrivare a casi estremi. È, ad esempio – giusto per ricordarci quanto sia attuale ciò di cui stiamo parlando, e per citare un episodio abbastanza rilevante e molto recente e – il caso della bozza del piano pandemico italiano per il 2021-2023, pubblicata il 10 gennaio 2021. In quella bozza si legge, con riferimento alle risorse delle terapie intensive, che «quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità, i princìpi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori possibilità di trarne beneficio». Tradotto: “in situazione di scarsità di risorse, lasciate morire i meno sani”.

9 J. CHAPOUTOT, Libres d’obéir, cit. (vedi nota 1).

Per l’attuazione del suo piano, Backe invia una circolare ai suoi funzionari che lasceranno il fronte orientale nel giugno del 1941. In questo documento scritto si trovano, come prevedibile, molti elementi di radicalità e violenza razzista (contro gli slavi ecc.), ma si trovano anche (è questo è più sorprendente!) termini ed espressioni molto attuali della scienza manageriale come: “agilità”, “flessibilità”, “aggressività”, “prendere l’iniziativa”. Quella circolare – che è uno delle migliaia dei documenti analizzati nel suo lavoro di analisi storica – secondo Chapoutot ricorda da molto vicino, per i termini utilizzati e per il linguaggio, “un documento commerciale di una grande azienda multinazionale”. CHARLIE BARNAO

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Il nazismo voleva modernizzare la società, voleva costruire automobili per tutte le famiglie (la Volkswagen, la “macchina del popolo”, doveva essere la “Ford T” del Reich: un incentivo, una ricompensa e la punta di diamante della motorizzazione tedesca), voleva incrementare l’innovazione tecnologica. Tutto ciò era anche l’eco di quanto stava accadendo negli USA: sappiamo, storicamente e culturalmente, quanto forti siano i collegamenti ad esempio tra Ford, IBM e nazismo. Ciò avveniva grazie a discipline di grande sviluppo come il marketing e il management, che i tedeschi ammiravano per i princìpi di “velocità”, “aggressività”, “flessibilità”, che li caratterizzavano. Si trattava di principi che si contrapponevano alla rigidità istituzionale e amministrativa che i nazisti vedevano, ad esempio, plasticamente rappresentata dal modello di organizzazione amministrativa francese, dallo Stato francese.

Contrariamente a come molti di noi spesso vedono i tedeschi (rigidi, estremamente gerarchici ecc.) quel periodo culturale puntava alla realizzazione (e ne rappresentò nei fatti l’avvento) di quella che i tedeschi stessi chiamano la libertà germanica. Dietro di essa c’è un messaggio culturale, razziale e biologico molto chiaro, di cui Chapoutot parla anche nel suo libro La legge del sangue: il cittadino tedesco si auto-organizza e si fa dominare spontaneamente da un altro tedesco; il tedesco è libero perché è sano nel corpo e nella mente10. Sono i malati, cioè i meticci, i “bastardi razziali”, che hanno bisogno delle catene della norma e delle catene dello Stato per organizzarsi. Il tedesco invece è naturalmente libero. Chapoutot fa un’analisi testuale di documenti dai quali emerge come la “libertà germanica” non sia in contrapposizione con l’idea di una catena di comando. Nello svolgimento delle missioni che i nazisti devono realizzare vengono utilizzati termini come “individualità” e “attitudine individuale”, “impegno”, “coinvolgimento personale”, “desiderio personale” che devono essere incarnati, corpo e anima, nella missione. Anche questi sono tutti temi molto cari e vicini alla cultura aziendale contemporanea. È importante sottolineare che l’anima del Reich è costituita dalla comprensione delle leggi della natura ed è a questo proposito che i nazisti rivendicano la loro “libertà di obbedienza” al Führer. Il Führer non ottiene obbedienza per elezioni democratiche, né per ragioni di nascita.

10 Cfr. J. CHAPOUTOT, La Loi du sang, cit. (vedi nota 1).

11 Cfr. M. WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft, Mohr, Tübingen, 1922.

Nel primo caso possiamo leggere un implicito riferimento al concetto, espresso da Weber11, di potere legale razionale, cioè legittimato dalle leggi; nel secondo caso si può leggere un implicito riferimento al potere tradizionale, 1/2021

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cioè legittimato dalla tradizione12. Il tedesco, secondo Chapoutot, obbedisce al Führer perché quest’ultimo è colui che ha meglio compreso “le leggi della natura e della storia”. E qui abbiamo, infine, un implicito riferimento al potere carismatico: il carisma, la qualità straordinaria del Führer sulla quale si basa il suo potere, è quella quindi di avere meglio di chiunque altro compreso le leggi della natura13.

12 Ibidem.

13 Ibidem.

14 J. CHAPOUTOT, La révolution culturelle nazie, cit. (vedi nota 1).

Obbedendo al Führer faccio il mio bene, proteggo la mia salute, la mia prosperità, la mia procreazione, la prosecuzione della mia razza. Se io obbedisco al Führer, sono libero. Sono altri popoli europei coloro i quali restano schiavi dello Stato e delle norme; oppure sono gli orientali che restano asserviti ad un potere bolscevico. L’esperienza e la visione nazista del mondo costituiscono una vera e propria “Rivoluzione culturale”. Chapoutot ne parla esplicitamente e approfondisce il tema in un testo, appunto, dal titolo La rivoluzione culturale nazista14. È la rivoluzione culturale dell’idea di individuo, a partire dall’uomo tedesco. Si tratta di una rottura fondamentale con la tradizione giuridica europea: i nazisti dicono che l’essere umano non ha valore e dignità in senso assoluto, ma li ha in base alla sua produttività, alla sua prestazione alla sua redditività. La performance è al centro.

Il valore di un individuo è legato alla sua capacità di performance. Il razzismo nazista, infatti, è eugenetico: non basta avere il giusto sangue e il giusto colore della pelle, occorre anche essere pienamente impiegabili nel sistema produttivo e riproduttivo. La violenza dei nazisti, quindi, si abbatte contro le persone non redditizie, improduttive, in una parola “non performanti”. Si ha dignità di vivere solo se ci si mostra performante da un punto di vista sportivo, sessuale, economico, oppure in qualità di guerriero che difende il Reich. Chi non è considerato abile è destinato alla sterilizzazione (ricordiamo le oltre 400.000 sterilizzazioni in Germania dal 1933 al 1945) o soppressione (a partire dall’ottobre 1939 iniziano le soppressioni di massa).

Si tratta di una “selezione naturale” che avviene in un contesto di guerra di tutti contro tutti, per la conquista delle risorse scarse e degli spazi. È qui che c’è la modernità del nazismo, in un contesto di vero e proprio darwinismo sociale. Su quest’ultimo concetto Chapoutot insiste molto nei suoi libri. Esistono forme di razzismo (ad es. colonialismo) dappertutto, ma i nazisti sono i campioni di darwinismo sociale. In un mondo che ci CHARLIE BARNAO

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circonda, che è sempre in guerra (I guerra, guerre coloniali, ecc.), resiste e sopravvive solo chi è un campione della performance (principio tipico del management neoliberista). Come già ricordato, il Führer è colui che meglio comprende le regole della natura e il cittadino tedesco obbedisce “liberamente” a lui perché così si salva, unendosi con gli altri “camerati nella razza”. Tutto ciò accade in una dimensione tipicamente politica.

Nel mondo economico accade qualcosa di analogo e corrispondente. Il capo non è un capo autoritario, ma è un leader e gli altri membri della società, dell’azienda, sono “camerati produttivi”, il tutto in una perfetta analogia col mondo politico. Quello che vuole il mio leader è il meglio per me e mi sento libero di obbedire: mi vengono indicati gli obiettivi (io non partecipo alla loro definizione) e ho una notevole libertà di scegliere i mezzi per perseguirli. “Libertà”, quindi, è la parola d’ordine della cultura del management attorno alla flessibilità e alla libertà d’azione che viene lasciata agli individui per raggiungere gli obiettivi. Un discorso ossessivo dei giuristi nazisti è quello per cui la norma ha valore relativo, non ha valore assoluto e dipende dall’obiettivo. E l’obiettivo è la prosperità, la protezione, la moltiplicazione della razza. Da qui la concezione del diritto, ma anche la concezione del leader, la concezione dell’organizzazione e la concezione della menschenführung.

4. Reinhard Höhn

È arrivato adesso il momento di introdurre ed approfondire la figura di un uomo centrale dell’analisi storica e sociale compiuta da Chapoutot. Un nazista, uno studioso, un giurista, un accademico, che è al centro del discorso dello storico francese e incarna, per molti versi, la sintesi del pensiero nazista fin qui espresso, avendolo promosso ed essendone egli stesso protagonista. È Reinhard Höhn che, nel dopo guerra, traslerà le idee naziste nella disciplina scientifica del management. Reinhard Höhn, ufficiale delle SS (dal 1934) e direttore dell’istituto di ricerca statale dell’università di Berlino, è infatti uno dei pionieri della disciplina nazista del management.

Nato a Graefenthal, in Turingia, il 29 luglio 1904, Höhn è uno dei giovani tecnocrati e accademici della classe media che hanno fatto carriere sfavillanti nel Terzo Reich. È, infatti, una persona rappresentativa di una nutrita generazione di giovani molto ben istruiti presso le università 1/2021

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tedesche15, che in genere arrivavano al dottorato, e che alla fine degli anni 1920 militavano all’interno di associazioni di estrema destra – che non necessariamente erano naziste – alle quali in quegli anni, se si voleva fare carriera e promuovere le proprie idee, era necessario unirsi16.

15 Chapoutot cita, tra gli altri, anche Werner Best, Wilhelm Stuckart, Otto Ohlendorf. Cfr. J. CHAPOUTOT, Libres d’obéir, cit. (vedi nota 1).

16 Cfr. R.S. WISTRICH, Who's who in Nazi Germany, Routledge, London, 2013.

Dopo aver studiato giurisprudenza in varie università tedesche, e aver militato in varie organizzazioni di estrema destra, quindi, Höhn entra nel partito nazista il 1° maggio 1933 e nelle SS un anno dopo. Quella forza nascente sollecitava Höhn, e i giovani come lui, ad unirsi per dare forza alle strutture amministrative che si stavano formando per la costituzione dell’élite naziste (le SS erano l’élite dell’élite: molto ben formate ed addestrate e con militanti radicali). È a persone come Höhn e come Himmler, leader delle SS, che vengono promesse le chiavi della Germania e dell’Europa del futuro. All’interno delle SS, Höhn viene elevato al grado di Standartenführer (colonnello) nel 1939, e viene nominato Oberführer (generale) nel 1944, finendo la guerra con questo grado.

Parallelamente alla carriera nelle SS, Höhn fa una rapida e brillante carriera accademica. Nel 1935 diventa professore a contratto a Heidelberg e un anno dopo diviene membro dell'Accademia di diritto tedesco. Dal 1939 (fino alla fine della guerra) è professore all’Università di Berlino, divenendo anche direttore dell'Istituto di ricerca statale presso l'Università di Berlino. Höhn (che dal 1935 divenne anche consulente legale di Heydrich e che era anche grande appassionato di storia e sociologia), dal punto di vista scientifico, proponeva una filosofia del diritto che sosteneva il principio di leadership (Führerprinzip) e la completa sottomissione dell'individuo alla Comunità nazionale (Volksgemeinschaft) nazionalsocialista, definita come una “comunità di specie” basata sul sangue e sul suolo.

Inizialmente vicino a Carl Schmitt – che corteggiava assiduamente senza però riceverne il riconoscimento che si aspettava – gli si allontanò poi radicalmente attraverso la sua de-costruzione storica e la sua svalutazione giuridica della nozione di Stato. Il pensiero di Höhn a questo proposito appare già molto chiaro e particolarmente visibile in un testo del 1934 intitolato Mutazioni del pensiero costituzionale. Höhn opera una reinterpretazione storica del concetto di Stato per dimostrare il suo carattere obsoleto. La nozione di Stato, secondo Höhn, è solidale con il dominio dei sovrani dell'era moderna, apparsi in Italia durante il Rinascimento, prima di vivere una brillante maturità nella Francia di Richelieu e Luigi XIV. CHARLIE BARNAO

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Radicato in un'età passata, lo Stato non è più rilevante nel tempo e nell'età della “comunità”. Höhn sottolinea che “non è lo Stato che crea il popolo, ma è la comunità del popolo che crea lo Stato”. Quest’ultimo è un mero strumento secondario e non la realtà suprema. Su questo punto si distanzia in modo netto da Schmitt. La colpa di Schmitt - cattolico, innamorato dell'Italia e della Francia - è di essere irrimediabilmente attaccato allo Stato, principio e fine della vita legale. Troppo cattolico, troppo romano, troppo latino e teologo, Schmitt, nel diritto interno, è “un uomo di Stato e non di razza”. Per Höhn, quindi, Schmitt appare un uomo del passato.

Dal punto di vista del pensiero e della sua attività come giurista, durante il nazismo e la guerra, Chapoutot definisce Höhn “una sorta di Josef Mengele della legge”. Nelle sue conferenze durante la guerra, Höhn giustifica dal punto di vista legale le pene draconiane (inclusa la condanna a morte), anche per crimini minori, specialmente contro i polacchi e altri popoli occupati. La volontà della comunità razziale tedesca, incarnata nel Führer, aveva soppiantato, nell'insegnamento di Höhn, ogni residuo di diritti individuali e garanzie democratiche fornite da un sistema legale liberal-razionale.

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Come abbiamo già detto dal 1939 Höhn diventa direttore dell'Istituto di ricerca statale presso l'Università di Berlino. L’Istituto di ricerca statale è un importantissimo anello di congiunzione tra l’SS e l’università, e ha tra i suoi principali obiettivi, studiare il modo di adattare le strutture amministrative all’espansione dell’impero che, come abbiamo già anticipato, è un aspetto strategico fondamentale per la sopravvivenza e l’azione del Reich.

La rivista scientifica di riferimento a partire dal 1941 è “Reich - Volksordnung – Lebensraum” (Impero, Ordine del popolo, habitat), la rivista di geopolitica più importante del Reich, e Höhn la dirigerà fino al 1944. In essa vengono pubblicati articoli scientifici che si occupano principalmente dell’applicazione delle scienze amministrative ad un impero in grandissima espansione. Gli autori che scrivono in questa rivista sono ovviamente euforici per questa epoca storica importantissima che vivono, ma non nascondono i grandi problemi che si trovano ad affrontare: bisogna fare molto, molto di più con molto molto di meno e senza lamentele, senza infastidire una gerarchia che ha altro da fare che non ascoltare le problematiche e le lamentele, ad esempio, di un amministratore in Bielorussia, che deve invece imparare a cavarsela da solo. La soluzione sta in quello che diventerà un concetto centrale della teoria manageriale di Höhn: il principio della delega della responsabilità. I sottoposti devono 1/2021

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conoscere ma non partecipare alla scelta degli obiettivi ultimi e devono perseguire tali obiettivi in modo autonomo attraverso la scelta – questa sì autonoma - e l’uso di tutti i mezzi necessari. Höhn continuerà a dirigere l’istituto statale di ricerca dell’università di Berlino fino alla fine della guerra.

5. Akademie di Bad Harzburg e managerialsmo postbellico

Una volta finita la guerra, Höhn e altri ex colleghi (tra cui Justus Beyer e Franz-Alfred Six), continueranno ad occuparsi e a scrivere su molti degli stessi problemi economici, politici e di diritto che avevano trattato presso l’Istituto di Ricerca Statale dell’università di Berlino. Ovviamente tutto ciò avveniva in un contesto radicalmente nuovo e diverso: quello politico ed economico postbellico.

Höhn, quindi, forte della sua esperienza e del suo lavoro all’Istituto di Ricerca Statale dell'Università di Berlino, dopo essersi nascosto per quattro anni (farà il naturopata), alla fine degli anni ‘40, costituisce un think tank con lo scopo di formare dipendenti d’altissimo livello aziendale. L’idea è quella di creare una grande scuola di management e gestione d’aziende che per la Germania sia l’equivalente dell’Harvard Business School. Per potere realizzare questo suo progetto Höhn utilizzerà, dopo la guerra, una forte rete di protezione e solidarietà dei nazisti (ricordiamo come poco dopo la fine della guerra la priorità è la lotta al comunismo): sono migliaia i nazisti che ne beneficiano (chi andrà in America latina, chi in Germania occidentale; andranno a lavorare negli ospedali, nell’intelligence, nell’università, nella diplomazia ecc.). In particolare Höhn beneficerà della rete di solidarietà del settore privato, che ricicla molti nazisti. Ciò accade, molto semplicemente, perché l’industria tedesca – che aveva avuto un periodo molto florido durante il nazismo – aveva creato una importante rete di contatti composta, dopo la guerra, da molte delle stesse persone che costituivano la rete internazionale durante la guerra stessa. Un vero e proprio capitale sociale di contatti che viene attivato e che è costituito da importanti professionisti e colleghi di Höhn.

I tedeschi fondano, così, la scuola di management più importante d’Europa a Bad Harzburg nel 1956. È Reinhard Höhn che la crea, è lui che la dirige ed è il professore più carismatico e il più importante insieme con altri ex-SS come Justus Beyer (che insegna Diritto commerciale) e Franz- Alfred Six (che insegna Marketing). Dopo il 1945 Höhn non è soltanto un CHARLIE BARNAO

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tedesco che termina la guerra con il grado di generale delle SS, ma pubblica tantissimi lavori e studi particolarmente rilevanti sulla teoria e sull’applicazione del management.

Höhn, ci ricorda Chapoutot, non deve cambiare una virgola del suo pensiero e delle teorie che aveva applicato durante il nazismo: lo Stato, considerato un mezzo, veniva sostituito dalle aziende private e, dall’altra parte, la gestione manageriale, il Menschenführung, ottimale in termini di produttività, diventa una sorta management liberale. I nazisti lo avevano capito molto bene prima del 1945 e, dopo il 1945, il management per delega di responsabilità (questa la sua formalizzazione scientifica) diventava una derivazione diretta della matrice teorico-metodologica nazista degli anni 30.

Sono anni importantissimi per Höhn. Le sue pubblicazioni hanno un grande successo e anche la scuola ne ha: formerà circa 600.000 dirigenti per 2.600 aziende. Gli studenti formati all'Akademie di Bad Harzburg sono dirigenti, funzionari, inviati dai loro datori di lavoro, per poche settimane o pochi mesi, per formarsi in management. Si tratta di una scuola di formazione continua di altissimo livello, paragonabile alla sua controparte francese, INSEAD (fondata nel 1957), o a qualsiasi scuola di business di altissimo livello internazionale.

E, così, tutti insieme e allo stesso tempo, l’élite e i protagonisti del “miracolo economico tedesco”, si ritrovano nei seminari di Reinhard Höhn e dei suoi colleghi: Aldi, BMW, Hoechst, ma anche Bayer, Telefunken, Esso, Krupp, Thyssen, Opel, per non parlare di Ford, Colgate, Hewlett-Packard e persino la regina tedesca del sexy shop e del porno, Beate Uhse International che, come altre 2.600 aziende, mandano i propri manager ad ascoltare e seguire le eccellenti lezioni degli ex uomini delle SS. I tedeschi vanno tutti a questa scuola ed è un tale successo – Höhn è un sostenitore della tesi che l’amministrazione pubblica debba adeguarsi agli standard del privato – che anche l’amministrazione pubblica manda lì a formarsi ai suoi dirigenti. L’esercito manda lì i propri ufficiali. Sulla base di un tale enorme successo, il metodo di management insegnato nella scuola diventa una sorta di marchio registrato, che si chiama, come abbiamo anticipato, management per delega di responsabilità.

6. Management per delega di responsabilità

All'Akademie di Bad Harzburg vengono insegnati i princìpi del management per delega di responsabilità. Si tratta di una forma di management 1/2021

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in cui i protagonisti sono “liberi di obbedire”. L’individuo non sceglie gli obiettivi, ma sceglie solo gli strumenti per perseguirli. La responsabilità dell’eventuale fallimento è tutta individuale. Si tratta di un approccio che ha alcuni punti di contatto a quello di Peter Drucker, ma è anche la risposta tedesca alle teorie manageriali del francese Henri Fayol. Drucker, lo ricordiamo, è uno dei padri del management moderno, e ha elaborato la teoria del management per obiettivi, negli anni 1950 negli USA. Il messaggio del management per delega di responsabilità è un messaggio culturale chiaro da dare ai cittadini: “Siete liberi! E se fallite è colpa vostra!” L’approccio proposto da Höhn, con il suo impenitente darwinismo sociale, trovava terreno fertile nel mondo del miracolo economico (1950-1970), del miracolo economico tedesco in particolare, con le nozioni di “crescita massima”, “produttività” e “concorrenza”, che avevano precedentemente guidato l’inesorabile ricerca nazista di produzione e potere.

Höhn ha trasposto le tattiche di missione (Anftragstaktit) nel business, con la sua gestione tramite delega, una gestione antiautoritaria e quindi adatta alla nuova cultura democratica. I capi devono assegnare un obiettivo e un tempo di realizzazione; quindi poi osservano, controllano e valutano la risposta dei lavoratori. Il sistema nazista diventa una sorta di co-management, utile anche a prevenire i conflitti tra capi e dipendenti (concepiti come compagni-collaboratori), stroncando ogni desiderio di contestazione sul nascere. I lavoratori di un’azienda sono uniti dagli stessi legami organici dei membri di una comunità naturale. La gestione tramite delega di responsabilità divenne, quindi, il nucleo centrale del metodo manageriale insegnato a Bad Harzburg.

Il cosiddetto metodo di Bad Harzburg, che per decenni è stato l’orgoglio della FRG (Federal Republic of Germany), in particolare, sulla base di quanto ci dice Chapoutot, si può sintetizzare in alcuni punti: delega di responsabilità, sistema di controllo, leadership non autoritaria, darwinismo sociale. Per quanto riguarda la delega di responsabilità, abbiamo già detto: il dipendente sceglie solo i mezzi non i fini17. La delega è affiancata, comunque, da un sistema di controllo che si basa sulla paura e sul dominio per la massimizzazione del profitto (il caso di ALDI, di cui parleremo più avanti, ne è un chiaro esempio). La dinamica organizzativa si basa su uno stile di leadership non autoritaria. Tuttavia, è bene ricordare a questo proposito, che anche se Il funzionamento dell'organizzazione è pensato per essere “non autoritario”, rimane completamente gerarchico, perché il rapporto fondamentale resta quello tra il leader e l'esecutore. Il leader,

17 Cfr. J. CHAPOUTOT, Libres d’obéir, cit. (vedi nota 1). CHARLIE BARNAO

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contrariamente alle pratiche fino ad allora in vigore, non prescrive l'azione nei dettagli più precisi della sua esecuzione. Si limita a “linee guida” in termini di “obiettivi”. Il ruolo del leader è ordinare (un risultato, ad esempio), quindi osservare, controllare e valutare. Il tutto avviene sullo sfondo della metafora della guerra (parallelo con il mondo del business) che richiama, nei fatti, il principio del darwinismo sociale.

Il metodo di Bad Harzburg, anche per quanto riguarda l’idea di Stato, non fa altro che replicare, anche per la forma organizzativa, le idee naziste rispetto allo Stato. Ricordiamo che i nazisti odiavano lo Stato perché è una realtà “straniera” (importata dalla cultura di giudeo cristiani rafforzati dal prestigio di luigi XIV) e imposta con le armi. Lo Stato è una realtà aliena alla quale viene contrapposto il concetto di “libertà germanica”. Lo Stato quindi è, inoltre, una realtà statica che si oppone al flusso e alla “dinamica della vita e del sangue” ed è un ostacolo, fatto di norme che bloccano la libera iniziativa, di funzionari che incarnano la norma e che costituiscono la burocrazia. Ecco perché i nazisti odiano la burocrazia e i dipendenti del servizio pubblico. Quindi bisogna sostituire lo Stato con qualcosa che davvero rispetti le leggi della natura che sono: “rapidità”, “aggressività”, “dinamicità”. Gli attori che hanno queste caratteristiche sono delle società, delle organizzazioni, delle istituzioni che vengono definite per un budget, per un progetto e per una missione. Queste società costituiscono uno strumento rapido, flessibile, duttile. Questa forma organizzativa si sposa con ciò che Höhn aveva già teorizzato intorno a agli anni 1930, e che era stato messo in atto a partire dal 1933, polverizzando lo Stato, minandolo al suo interno, attraverso la moltiplicazione delle agenzie e delle organizzazioni poste sotto la bandiera del III Reich. Si tratta di agenzie e organizzazioni che vengono costituite sulla base dei princìpi del management all’interno di un generale processo di disgregazione dello Stato. Su tutti questi presupposti, i princìpi insegnati a Bad Harzburg vanno applicati anche al settore pubblico in una prospettiva anti-statale e pro-agenzie/istituzioni societarie. Il modello di Höhn appare così, secondo Chapoutot, come un vero precursore del new public management. Può essere interessante notare come – sebbene il new public management (che si sviluppa a partire dagli anni 70) si sviluppi come una componente strutturale, ontologica, del neoliberismo (il quale a sua volta deriva da una matrice esplicitamente antinazista) – l’odio profondo dei nazisti per lo Stato è incarnato dal pensiero di studiosi come Höhn già 40 anni prima dell’avvento del new public management. 1/2021

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Tuttavia, quando all’improvviso il passato di Höhn viene a galla, la scuola di Bad Harzburg cade in disgrazia. Il 9 dicembre 1971, il passato nazista del professor Höhn viene alla ribalta in un devastante articolo su Vorwärts, storico quotidiano socialdemocratico. Scoppia lo scandalo. Una lettera aperta viene inviata da famosi scrittori, tra cui Siegfried Lenz, Erich Kästner e Günther Wallraf, al Ministro della Difesa, Helmut Schmidt. Pochi mesi dopo, nel marzo 1972, il ministro ha deciso: la collaborazione della Bundeswehr (forze armate) con l'Accademia di Bad Harzburg è terminata. Da quel momento inizia il declino reputazionale. Nel 1989, infine, l'Accademia di Bad Harzburg, che soffriva notevolmente della reputazione del suo leader, va in fallimento. Höhn continua comunque a pubblicare fino al 1995. Quando muore, nel 2000, viene salutato dalla stampa internazionale come un grande pensatore del management contemporaneo.

Tra i suoi tanti seguaci contemporanei, spicca il nome di ALDI. ALDI (acronimo di ALbrecht-DIscount) è una multinazionale tedesca (con un fatturato 45,5 miliardi, 40.000 dipendenti in Germania e 148.000 nel mondo) attiva nel settore della grande distribuzione organizzata, ed è una delle principali aziende del mondo nel suo settore. ALDI è un punto di riferimento della società dei consumi tedesca sin dagli anni 1950 e vero inventore del sistema dei discount. Il suo principale concorrente è Lidl. Nel 2012, un dirigente della catena di vendita al dettaglio Aldi, Andreas Straub (2012), pubblica un libro (“Aldi - Einfach billig: Ein ehemaliger Manager packt aus”) sulla sua dolorosa esperienza come manager di un centro di distribuzione presso l'azienda e descrive il mondo opprimente di costante controllo e minaccia di Aldi. Aldi rivendica con orgoglio, sin dalle sue origini, il metodo di gestione di Bad Harzburg, come specificato nel suo manuale gestionale.

La sezione M4, intitolata “Gestione dei dipendenti”, specifica:

[il responsabile di settore] cercherà di sviluppare la discussione con tutto il team applicando il modello di Harzburg. Questo modello di gestione si caratterizza per il principio della delega, ovvero la trasmissione di compiti e responsabilità a un dipendente, il quale accetta quindi il monitoraggio critico e il controllo dal superiore gerarchico. […] Il superiore gerarchico fissa obiettivi e scadenze individuali per ogni dipendente. L'essenziale sta nella fissazione di "obiettivi", nella prescrizione di "scadenze" per il completamento e nell'esercizio del "controllo". CHARLIE BARNAO

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Così Andreas Straub scrive nel suo libro e, dopo di lui, il settimanale tedesco Der Spiegel che, il 30 aprile 2012, dedica un dossier a questa vicenda. In un’intervista alla rivista, l'autore del libro afferma: “Il sistema vive di totale controllo e paura. Tutto sembra a posto per garantire la ‘massimizzazione del profitto’”. Straub continua sottolineando come “il monitoraggio delle attività e del loro tempo di esecuzione è permanente, anche mediante telecamere che riprendono i dipendenti”. Conclude dichiarando che “A causa dell’illegalità del processo, Aldi preferisce inviare ‘finti clienti’ ai propri negozi per ‘acquisti di prova’ che hanno lo scopo di valutare le prestazioni dei cassieri”18.

18 L’intera intervista è consultabile all’indirizzo: https://www.spiegel.de/wirtschaft/ unternehmen/aldi-ex-manager-straub-berichtet-ueber-ueberwachung-und-kontrolle-a- 830922.html (ultima consultazione: 12 giugno 2021).

7. Conclusioni

Il lavoro di Chapoutot è estremamente interessante e per certi versi illuminante. Innanzitutto è uno studio culturale approfondito ed è utilissimo specie per chi utilizza un approccio culturalista negli studi sociologici legati a fenomeni sociali contemporanei. Chapoutot, con la sua storia culturale, infatti, contribuisce sia alla storia del management che ad una linea più ampia e consolidata di teorizzazione critica sulla modernità. Il pensiero manageriale dei nazisti, comunque, differisce da altre teorie emerse nel contesto del capitalismo industriale del XX secolo.

Certo l’attenzione dei nazisti verso la produttività può ovviamente fare eco alle idee di Frederick Taylor e Henry Ford. È stato dimostrato, ad esempio, che i nazisti hanno adottato la critica antisemita di Ford relativa agli sforzi economici produttivi (cioè orientati alla produzione) rispetto a quelli parassitari (degli ebrei, orientati al lucro), e i loro ingegneri hanno modellato il loro impianto Volkswagen sull’esempio di quello di Ford River Rouge (Link 2012).

A livello teorico la “meccanicizzazione” dei lavoratori da parte dei nazisti si basava meno sulla glorificazione dei macchinari e della competenza tecnica e più sulle metafore organiche, per la verità non così ben supportate da un punto di vista scientifico (qualcuno parla a questo riguardo di “folklore dell’immaginazione”). I lavoratori nazisti non furono trasformati artificialmente in forze produttive: la loro produttività veniva da un imperativo biologico. Per Höhn la vita era un movimento governato 1/2021

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dalle leggi deterministe del darwinismo sociale: doveva essere vissuta così sia nel campo sociale che nel campo di battaglia. Il polo opposto di Höhn è forse Drucker, per il quale la vita era definita dal suo significato (o dalla sua assenza) e che pensava che il lavoro dovesse consentire ai lavoratori di realizzarsi individualmente. Per Drucker, il management degli obiettivi non significava che i lavoratori fossero “liberi di obbedire”, ma che dovevano partecipare all’elaborazione degli obiettivi19.

19 N. GILMAN, N. LICHTENSTEIN, The prophet of post-Fordism: Peter Drucker and the legitimation of the corporation, in N. LICHTENSTEIN (a cura di), American capitalism: Social thought and political economy in the twentieth century, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 2006, 109-11.

Il mito dell’impermeabilità e dell’isolamento del nazismo è, appunto, un mito. Il nazismo contamina ed è contaminato dalle culture all’interno delle quali si manifesta e si sviluppa. Chapoutot ce lo dimostra combinandole tra loro, e andando per certi versi oltre, le diverse scuole di pensiero, le diverse culture (nazionali, transnazionali, storiche, ecc.) che hanno contaminato il nazismo creando una miscela di antisemitismo, antistatalismo, e pianificazione economica, tutti inseriti in una ben precisa matrice di darwinismo sociale. E, soprattutto, Chapoutot ci mostra che il pensiero manageriale di oggi è in parte una chiara ed inequivocabile eredità del nazismo.

Eugenio Montale

darwinismo sociale

 


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11 settembre 1973