mercoledì 9 agosto 2017

popolo di servitori

da “A me ” in “La religione del mio tempo”
Pier Paolo Pasolini

[…]
Così la mia nazione è ritornata al punto
di partenza, nel ricorso dell'empietà.
E, chi non crede in nulla, ne ha coscienza,

e la governa. Non ha certo rimorso,
chi non crede in nulla, ed è cattolico,
a saper d'essere spietatamente in torto.

Usando nei ricatti e i disonori
quotidiani sicari provinciali,
volgari fin nel più profondo del cuore,

vuole uccidere ogni forma di religione,
nell'irreligioso pretesto di difenderla:
vuole, in nome d'un Dio morto, essere padrone.

Qui, tra le case, le piazze, le strade piene
di bassezza, della città in cui domina
ormai questo nuovo spirito che offende

l'anima ad ogni istante, - con i duomi,
le chiese, i monumenti muti nel disuso
angoscioso che è l'uso d'uomini

che non credono - io mi ricuso
ormai a vivere. Non c'è più niente
oltre la natura - in cui del resto è diffuso

solo il fascino della morte - niente
di questo mondo umano che io ami.
Tutto mi dà dolore: questa gente

che segue supina ogni richiamo
da cui i suoi padroni la vogliono chiamata,
adottando, sbadata, le più infami

abitudini di vittima predestinata;
il grigio dei suoi vestiti per le grigie strade;
i suoi grigi gesti in cui sembra stampata

l'omertà del male che l'invade;
il suo brulicare intorno a un benessere
illusorio, come un gregge intorno a poche biade;

[…]
nei loro lineamenti quasi umani
di grigio mattone o smunto cotto:
tutto distrugge la volgare fiumana

dei pii possessori di lotti:
questi cuori di cani, questi occhi profanatori,
questi turpi alunni di un Gesù corrotto

nei salotti vaticani, negli oratori,
nelle anticamere dei ministri, nei pulpiti:
forti di un popolo di servitori.


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