Brice Parain
Vivre sa Vie
Questa è la mia vita
Jean-Luc Godard
Festival
di Venezia 1962
- Stralcio
-
Capitolo
undicesimo
Nanà e lo
Sconosciuto signore (filosofo Brice Parain)
Piazza
Chatelet
Nanà
filosofeggia senza saperlo
Nanà : Vi
do fastidio se la guardo ?
Sconosciuto:
No.
N : Ha
l’aria di annoiarsi ?
S : Niete
affatto.
N : Che
sta facendo ?
S : Leggo.
N : Mi
offre da bere ?
S : Se
vuole.
N : Viene
spesso qui ?
S : No,
qualche volta, oggi è per un caso.
N : Perché
legge ?
S : E’ il
mio mestiere.
N : Che
strano, all’improvviso non so più cosa dire.
Mi succede molto spesso.
So quello che voglio dire, rifletto prima
di dirlo per essere certa che sia proprio
quello che devo dire...
Ma al momento di dirlo...Beh... Non sono
più capace di dirlo!
S : Si!
Succede.
Dica, ha letto i tre moschettieri ?
N : No, ma
ho visto il film.
Perché ?
S : Perchè... Vede la c’era Porthos. Però non era nei tre moschettieri,
era vent’anni
dopo. Portos grande e forte, un po’ stupido.
Non ha mai pensato in vita sua...
Capisce ?
Così una volta deve mettere una bomba in
un sotterraneo, per farlo saltare.
Lo fa.
Piazza la bomba, accende la miccia poi
scappa naturalmente.
E correndo, di colpo si mette a pensare e a cosa pensa ?
Si domanda com’è possibile che egli
possa mettere un piede davanti all’altro.
E’ successo anche a lei probabilmente,
vero ?
Allora smette di correre, di
camminare...non può più, non può più andare avanti.
Quando c’è l’esplosione, il sotterraneo
gli crolla adosso, lo sostiene con le spalle,
è abbastanza forte. Ma alla fine, dopo un
giorno, due giorni, non so è sopraffatto
e muore.
Insomma, la prima volta che ha pensato è
morto.
N : Perché
mi sta raccontando delle storie di questo genere ?
S : Così,
tanto per parlare.
N : Ma perché
bisogna sempre parlare ?
Io trovo che spesso si dovrebbe tacere.
Vivere in silenzio.
Più si parla, più le parole non vogliono
dire niente.
S : Può
darsi, è possibile.
N : Questo
non lo so.
S : Mi ha
sempre colpito il fatto che non si possa vivere senza parlare.
N : Eppure
sarebbe piacevole vivere senza parlare.
S : Si,
sarebbe bello, sarebbe bello, sarebbe come se ci si amasse di più.
Però
non è possibile, non ci si è mai riusciti.
N : Ma perché
?
Le parole dovrebbero esprimere
esattamente quello che vogliamo dire, invece ci
tradiscono.
S : Si! Ma le tradiamo anche noi.
Dovremmo poter riuscire a dire quello che
vogliamo dire, visto che riusciamo a
scriverlo.
Insomma, è comunque straordinario che un
tizio come Platone, si possa comunque
ancora capire.
Ed è vero, lo possiamo capire!
Eppure ha scritto in greco 2.500 anni fa.
Insomma, nessuno conosce più la lingua
dell’epoca, non è vero ?...non la conosce
più con esattezza.
Quindi, se qualcosa viene trasmesso, si
deve riuscire a esprimersi bene.
Ed è necessario.
N : E perché
bisogna esprimersi ?
Per capirsi ?
S :
Dobbiamo pensare.
Per pensare, dobbiamo parlare.
Non si pensa in altro modo.
E per comunicare, bisogna parlare. E’ la
vita umana.
N : Si, ma
allo stesso tempo, è molto difficile.
Io penso, al contrario, che la vita
dovrebbe essere facile.
La sua storia dei “I tre moschettieri”
forse è molto bella, ma è terribile.
S : E’
terribile, si, ma è un’indicazione.
Credo...che si riesca a parlare bene, solo
quando si rinuncia alla vita per un
certo tempo.
E’ quasi...il prezzo.
N : Ma
allora parlare è mortale?
S : Si, ma
parlare è quasi una resurrezione rispetto alla vita, nel senso che,
quando si parla, si ha un’altra vita
rispetto a quando non si parla.
E allora, per vivere parlando, bisogna
essere passati dalla morte della vita
senza parlare.
Vede, non so se mi sto spiegando bene,
ma...
C’è una specie di ascesa che fa si che si
può parlare bene, solo quando si
guarda la vita con distacco.
N : Eppure
la vita di tutti i giorni non la si può vivere con...
Non so, con...
S :
Distacco ?
Si, ma allora si oscilla.
E’ per questo che si va dal silenzio alla
parola.
Si oscilla tra i due perché, è il movimento
della vita che...
Si è nella vita quotidiana e poi ci si
eleva verso una vita, chiamiamola “superiore”,
non
è stupido dirlo, perché è la vita con il pensiero.
Ma questa vita con il pensiero presuppone
che si sia uccisa la vita troppo
quotidiana, troppo elementare.
N : Si, ma
pensare e parlare è uguale ?
S : Credo
di si.
Era detto in Platone, noti bene, è una
vecchia idea.
Ma credo che non si possa distinguere nel
pensiero, ciò che sarebbe il pensiero
e le parole per esprimerlo.
Analizzi la coscienza: non riuscirà a
cogliere, se non con le parole, un momento del
pensiero.
N : Allora
parlare è un po’ rischiare di mentire.
S : Si,
perchè credo che la menzogna sia uno dei mezzi della ricerca.
C’è poca differenza tra l’errore e la
menzogna.
Certo,
non parlo della menzogna nuda e cruda, comune, che fa si che io dica:
“Verrò domani alle 17.00” e poi non vengo,
perché non sono voluto venire domani
alle 17.00. Capisce ?
Questi sono trucchi.
Ma la menzogna sottile, è spesso molto
poco distinguibile da un errore.
Si cerca qualcosa, e poi non si trova la
parola giusta.
Ed è quello che lei diceva prima; perciò
le succedeva di non sapere più cosa dire,
perché temeva di non trovare la parola
giusta.
Io credo che sia così.
N : Si, ma
come si fa a essere certi di aver trovato le parole giuste ?
S :
Bisogna esercitarsi.
Dipende solo dalla pratica, insomma.
Dire ciò che bisogna dire, in modo che sia
giusto, ossia che non ferisca, che dica
ciò che significa, che faccia ciò che deve
fare, senza ferire, senza straziare.
N : Si, in
fondo bisogna cercare di avere buona fede.
Una volta una persona mi ha detto: “ La
verità è in ogni cosa, e un po’ anche
nell’errore”.
S : E’
vero.
E’ ciò che non si è visto subito in Francia
nel XVII secolo, quando si è pensato
che si potesse evitare l’errore, non
soltanto la menzogna, ma l’errore; che si
potesse
vivere nella verità così, direttamente.
Credo che non sia possibile. Perché c’è
stato Kant, c’è stato Hegel ?
La filosofia tedesca serve per riportarci
nella vita, saperci far accettare che
Bisogna passare dall’errore per arrivare
alla verità.
N : E che
cosa pensa dell’amore ?
S : Si e dovuto
ricorrere al corpo questo è molto chiaro.
Leibniz
è ricorso al contingente, le verità contingenti a fiaco delle verità
necessarie, la vita quotidiana, e così di
seguito ecco lo sviluppo della filosofia
tedesca, nel senso che...Si pensa nella
vita, con le servitù della vita, gli errori della
vita e bisogna saper discernere. E’
chiaro!
N : Ma
l’amore non dovrebbe essere la sola cosa vera ?
S : Si! Ma
bisognerebbe che l’amore fosse sempre vero.
Pe esempio, canosce qualcuno lei che
sappia subito che cosa ama ?
No di certo, quando si hanno vent’anni
non si sa quello che si ama. Si sanno delle
cose vaghe, ci si fa ad esempio una certa
esperienza dicendo: “amo questo”, ma
sono cose confuse. Per riuscire a capire
chiaramente quello che veramente si ama
ci vuole la maturità , cioè ci vuole la
ricerca. Questa è la verità della vita.
Per questo l’amore è una soluzione ma a
condizione che sia vero.
Questa
è la mia vita
Anno: 1962
Nazione:
Francia
Durata:
85'
Genere:
drammatico
Regia:
Jean-Luc Godard
Cast:
Guylaine Schlumberger
Sady Rebbot
Brice Parain
Anna
Karina
André S.
Labarthe
Trama:
Nanà (A. Karina), giovane commessa, diventa una professionista
del marciapiede. Ha anche un protettore, Raoul (S. Rebbot) che, oltre a darle
istruzioni e porle divieti, la vende. Non essendo l'acquirente d'accordo sul
prezzo, ne nasce un alterco, seguito da una sparatoria nella quale Nanà rimane
ferita a morte e abbandonata sulla strada. 4 lungometraggio di J.-L. Godard (e
il 3 con la svedese Karina, nome d'arte di Ann Karin Bayer), è considerato da
alcuni l'opera meno invecchiata e più adulta del suo primo periodo, quella in
cui le invenzioni appaiono più congeniali e integrate a un progetto che non è
soltanto cinematografico. I 12 quadri nei quali Nanà vive la sua vita,
rivelandone casuali frammenti hanno registri diversi (sociologico,
documentario, letterario, cinematografico: quello in cui al cinema Nanà piange
vedendo la morte della Giovanna d'Arco di Dreyer) con linguaggi diversi, non
uniti da una logica narrativa, ma giustapposti, forse ricombinabili in altro
modo: "vivere la propria vita", accettarla com'è, mostrarla nella sua
mescolanza di realtà e di finzione (rappresentazione), ma anche aiutarne una
comprensione, aprire a un possibile giudizio. Affrontato altrove in modi
obliqui, allusivi, episodici, qui il tema della prostituzione diventa centrale.
Lo spunto è quello di un'inchiesta giornalistica (Où en est avec la
prostitution? di Marcel Sacotte), ma "le domande e le risposte vere
vengono da ben più lontano, come rivela la citazione da Montaigne che apre il
film: 'Bisogna prestarsi agli altri e donarsi a sé stessi'" (Alberto Farassino).
Premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia.
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