giovedì 22 maggio 2025

Un borgese piccolo piccolo - Vincenzo Cerami - Appunti

 Di lì a poco sbucarono in una piazzetta quadrata dove successe quello che successe. Fu insieme un batter d’occhio e un’eternità. Non aveva finito di dire: ‘Mamma’ che già Mario era morto. Un attimo prima o un secolo prima l’urlo di una donna, di quelli che si possono fare solo in falsetto, a spaccagola. Il sangue usciva dai calzoni del ragazzo come da rubinetti lasciati aperti. A ucciderlo furono alcuni colpi d’arma da fuoco (più tardi si venne a sapere che si trattava di fucili mitragliatori in dotazione ai fanti dell’Esercito)

Accadimenti straordinari avvenivano ogni giorno, da trent’anni. Ogni giorno una strage,una faida tragica di famiglia, crollo di dighe, esplosioni di delinquenza, i suicidi più atroci erano al centro dei loro discorsi. […] Alla fine, sempre, prima di chiudersi nei rispettivi uffici, gli impiegati si trovavano d’accordo che l’istituzione di una sana pena di morte avrebbe messo a tacere definitivamente tutta la violenza di questo mondo.

...violenza verbale del ceto impiegatizio: «E intanto i colleghi di stanza blateravano e vomitavano la loro rabbia per tutte le ingiustizie di questo schifoso mondo pieno di froci, di comunisti, di drogati e di ministri corrotti»

Giovanni, prossimo alla pensione e pronto a lasciare spazio al figlio, riflette su come lui «da contadino abruzzese morto di fame era diventato, col tempo, un burocrate del Ministero»

Si sente fiero «perché nel suo piccolo aveva contribuito lui stesso a creare quella situazione di privilegio per il figlio e anche per tutti i compagni di scuola». Per Mario ora sarà tutta un’altra cosa: «Nato in città, non avrebbe dovuto avere alcuna malinconia: tutto eral ì, a portata di mano: la casa, la famiglia, l’ufficio, la carriera…»

Manca infatti completamente in quest’opera di Cerami la lotta di classe, spostatasi tral e mura dell’ufficio del Ministero e ridottasi alla competizione tra piccoli burocrati.

...in funzione del desiderio del borghese capitalista di soddisfare i propri interessi.funzione del desiderio del borghese capitalista di soddisfare i propri interessi.

«In fondo tutta quella gente dell’ordine era impiegata come lui e anzi non poteva esistere senza il suo Ministero. […] 

«Farai strada, quant’è vero Iddio… Comincerai proprio da doves ono arrivato io, dopo trent’anni di servizio… e tu hai soltanto vent’anni… Un giovane in gamba per davvero pensa al suo avvenire, a nient’altro che a quello e lascia che gli altri s’impicchino»

...i tentativi disperatamente comici di «arrivismo» degli impiegati che aspirano a raggiungere l’ideale dell’«uomo di successo» sia in senso economico che in termini di «stile»

Trionfa dunque quella mentalità piccolo-borghese neofascista che nella visione pasoliniana invoca a sottrarsi, con violenza ripulsiva, alla contaminazione dell’impuro? Una lettura contraria si potrebbe trovare in Recalcati che, citando la massima evangelica «ciò che esce dall’uomo contamina l’uomo» (Marco 7, 20-23), sostiene invece che «non serve dunque sterminare il nemico come se fosse un batterio, […]; il male non viene mai solo da fuori; il male più inestirpabile abita il nostro essere» . È quindi ancora possibile ribaltare la discesa infernale del “borghese piccolo piccolo”?

Il finale del libro narra il susseguirsi di gesti automatici che preparano a un lento spegnersi del pensionato Giovanni: «riempì la tazzina e con le labbra a punta ci soffiò sopra a circolo. Soffiava e pensava che per una quindicina d’anni tutte le mattine sarebbe stato così» . In questa versione “neocrepuscolare”, la mostruosità è quella dell’indistinzione delle categorie, è quell’insostenibilità delle contraddizioni che, invece di tradursi in “scandalo” (come nell’opera di Pasolini), semplicemente si assopisce nella grigia normalità.

«Un borghese piccolo piccolo diventa un romanzo sulla fragilità dell’italiano medio a cui, sprovvisto di tutto, non resta che diventare un mostro».

Di fronte al vuoto valoriale e all’assenza di senso civico, di fatti, l’italiano medio si fa egoista, indifferente agli altri, e dunque solo.

Il comportamento di Giovanni Vivaldi rappresenta lo spirito dell’Italia di allora: un paese che sperava in una vita migliore, specie dopo il boom economico, ma che vive sotto la paura della lotta armata. L’Italia del protagonista è quella dei magheggi e degli imbrogli dove «contavano soprattutto due categorie di persone: “quelli che avevano una cultura” e “quelli che avevano le conoscenze”», in cui bisogna solo pensare a se stessi: “Pensa a te, solo a te, – gli rispose il padre, seduto sulla cima della sua saggezza. – In questo mondo non hai il tempo di fare sì con gli occhi e no col capo… è il tempo che basta al tuo nemico per pugnalarti alla schiena. Non esitare un momento, vai per la tua strada, non voltar ti indietro…”

Giovanni solo conosceva i segreti del suo animo. La naturalezza con la quale avevano ripreso a considerarlo lo disturbava. Potevano veramente credere che egli era lo stesso di sempre? Avrebbe potuto un uomo come lui lasciarsi intrappolare così dalla vita, come se niente fosse stato? In un primo momento Giovanni si era illuso di essere in qualche modo risarcito; non sapeva né come né quando, ma conosceva bene il perché. E allora, dentro, come uno zabaione, gli montava una specie di corpo estraneo, una forza irrefrenabile che aveva bisogno di esprimersi. Ma era troppo baccalà per dare seguito ai suoi istinti che, invero, sor tivano dalla testa più che dalle viscere.

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