Annunciazione - Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico
Il
prato non sorprende. Ma i suoi confini sono di difficile determinazione.
Puoi cominciare da un’immagine. Una delle “immagini interne”. Quelle
che si presume tu custodisca nella testa. Un buon residuo di tanti
ricordi, ad esempio, traversato da sovrapposizioni, angoli o sfondi, che
appartengono invece a sogni. (Ma forse hai solo sogni di praterie, o di
sabbia, o di rocce con qualche cespuglio spinoso.) (Forse hai
pochissimi ricordi, solo quelli che non hai potuto cancellare, e non
sedimentano immagini di prato, ma di pavimenti, piastrelle o marmo o
legno. Pavimenti con confini precisi, muri intorno e porte, solitamente
chiuse.) Servirebbe un’immagine, prima che ad avvicinarlo sia la parola.
Oppure una fotografia, di cui sia facile amputare la sagoma o
l’ambiente umani, per ritenere una striscia breve, di sola erba, di erba
su erba, un cominciamento di prato. A mediare ancora un personaggio,
stavolta una donna se l’altro, il precedente, era uomo. Che ti
accompagna ancora a fissare la stessa stampa, tenuta contro la parete da
due puntine di metallo. È una riproduzione dell’Annunciazione di
Beato Angelico. Lei dice che non guarda mai le due figure umane,
l’angelo e la vergine. Dice che non le ha ancora mai guardate, e neppure
l’interno della loggia. Dice ogni volta, tenendomi per il polso, che
solo l’erba la interessa, “questo lembo di prato, vedi? – mi ripete –
come s’infila sotto la palizzata, quante specie di fiori ed erbe tu ci
vedi?”. E pretende una risposta, che tu non sai darle, che non vuoi
darle, e che lei, comunque, non vorrebbe sentire. È del suo stupore che
si tratta, non dell’enumerazione precisa ed erudita delle specie.
Andrea Inglese, Prato n° 18 (olio su tela), 2009
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