venerdì 19 luglio 2019
martedì 16 luglio 2019
segno poser gli Dei...
Il tramonto
della luna
Quale in notte
solinga,
Sovra campagne inargentate ed acque,
Là ‘ve zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l’ombre lontane
Infra l’onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell’infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l’ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,
E cantando, con mesta melodia,
L’estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;
Sovra campagne inargentate ed acque,
Là ‘ve zefiro aleggia,
E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l’ombre lontane
Infra l’onde tranquille
E rami e siepi e collinette e ville;
Giunta al confin del cielo,
Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
Nell’infinito seno
Scende la luna; e si scolora il mondo;
Spariscon l’ombre, ed una
Oscurità la valle e il monte imbruna;
Orba la notte resta,
E cantando, con mesta melodia,
L’estremo albor della fuggente luce,
Che dianzi gli fu duce,
Saluta il carrettier dalla sua via;
Tal si dilegua,
e tale
Lascia l’età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l’ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s’appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede
Che a se l’umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano.
Lascia l’età mortale
La giovinezza. In fuga
Van l’ombre e le sembianze
Dei dilettosi inganni; e vengon meno
Le lontane speranze,
Ove s’appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura
Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano
Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede
Che a se l’umana sede,
Esso a lei veramente è fatto estrano.
Troppo felice e
lieta
Nostra misera sorte
Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S’anco mezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morte assai più dura.
D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene.
Nostra misera sorte
Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto
Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S’anco mezza la via
Lor non si desse in pria
Della terribil morte assai più dura.
D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
Secche le fonti del piacer, le pene
Maggiori sempre, e non più dato il bene.
Voi, collinette
e piagge,
Caduto lo splendor che all’occidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dall’altra parte
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
Giovinezza sparì, non si colora
D’altra luce giammai, nè d’altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l’altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.
Caduto lo splendor che all’occidente
Inargentava della notte il velo,
Orfane ancor gran tempo
Non resterete; che dall’altra parte
Tosto vedrete il cielo
Imbiancar novamente, e sorger l’alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno
Con sue fiamme possenti,
Di lucidi torrenti
Inonderà con voi gli eterei campi.
Ma la vita mortal, poi che la bella
Giovinezza sparì, non si colora
D’altra luce giammai, nè d’altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
Che l’altre etadi oscura,
Segno poser gli Dei la sepoltura.
Giacomo Leopardi
venerdì 12 luglio 2019
parola
La Parola
Meraviglia di lontano o sognoIo portai al lembo estremo della mia terra
E attesi fino a che la grigia norna
Il nome trovò nella sua fonte
Meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte
Ed ora fiorisce e splende per tutta la marca…
Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice
Con un gioiello ricco e fine
Ella cercò a lungo e [alfine] mi annunciò:
“Qui nulla d’uguale dorme sul fondo”
Al che esso sfuggì alla mia mano
E mai più la mia terra ebbe il tesoro…
Così io appresi la triste rinuncia:
Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca
Stefan George
Das Wort
Wunder von ferne oder traum
Bracht ich an meines landes saum
Und harrte bis die graue norn
Den namen fand in ihrem born –
Drauf konnt ichs greifen dicht und stark
Nun blüht und glänzt es durch die mark…
Einst langt ich an nach guter fahrt
Mit einem kleinod reich und zart
Sie suchte lang und gab mir kund:
> So schläft hier nichts auf tiefem grund<
Worauf es meiner hand entrann
Und nie mein land den schatz gewann…
So lernt ich traurig den verzicht:
Kein ding sei wo das wort gebricht.
giovedì 11 luglio 2019
elis
Elis, quando il
merlo chiama nel bosco nero,
Questo è il tuo tramonto.
Le tue labbra bevono la frescura dell’azzurra sorgente.
Questo è il tuo tramonto.
Le tue labbra bevono la frescura dell’azzurra sorgente.
Lascia se la
fronte ti sanguina lieve
Leggende piú antiche
E l’oscuro significato dei voli.
Leggende piú antiche
E l’oscuro significato dei voli.
Ma entri con
molli passi nella notte
Che pende folta di grappoli purpurei
E piú bello muovi le braccia nell’azzurro.
Che pende folta di grappoli purpurei
E piú bello muovi le braccia nell’azzurro.
Un roveto
risuona
Dove sono i tuoi occhi lunari.
Oh, da quanto, Elis, da quanto tu sei morto.
Dove sono i tuoi occhi lunari.
Oh, da quanto, Elis, da quanto tu sei morto.
Il tuo corpo è
un giacinto
In cui un monaco immerge le ceree dita.
Una caverna nera è il nostro silenzio,
In cui un monaco immerge le ceree dita.
Una caverna nera è il nostro silenzio,
Ne esce talora
mite un animale
E lento cala le palpebre pesanti.
Sulle tue tempie goccia rugiada nera,
E lento cala le palpebre pesanti.
Sulle tue tempie goccia rugiada nera,
L’ultimo oro di
consunte stelle.
Georg Trakl
Al fanciullo Elis – Georg Trakl
Dipinto di
Thure Sundell
Elis, quando il
merlo chiama nel bosco nero,
Questo è il tuo tramonto.
Le tue labbra bevono la frescura dell’azzurra sorgente.
Questo è il tuo tramonto.
Le tue labbra bevono la frescura dell’azzurra sorgente.
Lascia se la
fronte ti sanguina lieve
Leggende piú antiche
E l’oscuro significato dei voli.
Leggende piú antiche
E l’oscuro significato dei voli.
Ma entri con
molli passi nella notte
Che pende folta di grappoli purpurei
E piú bello muovi le braccia nell’azzurro.
Che pende folta di grappoli purpurei
E piú bello muovi le braccia nell’azzurro.
Un roveto
risuona
Dove sono i tuoi occhi lunari.
Oh, da quanto, Elis, da quanto tu sei morto.
Dove sono i tuoi occhi lunari.
Oh, da quanto, Elis, da quanto tu sei morto.
Il tuo corpo è
un giacinto
In cui un monaco immerge le ceree dita.
Una caverna nera è il nostro silenzio,
In cui un monaco immerge le ceree dita.
Una caverna nera è il nostro silenzio,
Ne esce talora
mite un animale
E lento cala le palpebre pesanti.
Sulle tue tempie goccia rugiada nera,
E lento cala le palpebre pesanti.
Sulle tue tempie goccia rugiada nera,
L’ultimo oro di
consunte stelle.
Georg Trakl
(Traduzione di
Ida Porena)
da “Georg
Trakl, Poesie”, Einaudi, Torino, 1979
***
An den Knaben Elis
Elis, wenn die Amsel im schwarzen
Wald ruft,
Dieses ist dein Untergang.
Deine Lippen trinken die Kühle des blauen Felsenquells.
Dieses ist dein Untergang.
Deine Lippen trinken die Kühle des blauen Felsenquells.
Laß, wenn deine Stirne leise blutet
Uralte Legenden
Und dunkle Deutung des Vogelflugs.
Uralte Legenden
Und dunkle Deutung des Vogelflugs.
Du aber gehst mit weichen Schritten
in die Nacht,
Die voll purpurner Trauben hängt,
Und du regst die Arme schöner im Blau.
Die voll purpurner Trauben hängt,
Und du regst die Arme schöner im Blau.
Ein Domenbusch tönt,
Wo deine mondenen Augen sind.
O, wie lange bist, Elis, du verstorben.
Wo deine mondenen Augen sind.
O, wie lange bist, Elis, du verstorben.
Dein Leib ist eine Hyazinthe,
In die ein Mönch die wächsernen Finger taucht.
Eine schwarze Höhle ist unser Schweigen,
In die ein Mönch die wächsernen Finger taucht.
Eine schwarze Höhle ist unser Schweigen,
Daraus bisweilen ein sanftes Tier
tritt
Und langsam die schweren Lider senkt.
Auf deine Schläfen tropft schwarzer Tau,
Und langsam die schweren Lider senkt.
Auf deine Schläfen tropft schwarzer Tau,
Das letzte Gold verfallener Sterne.
Georg Trakl
da “Gedichte”, Leipzig: Kurt Wolff
Verlag, 1913
martedì 2 luglio 2019
nuovo arianesimo
José Saramago: «il nuovo arianesimo» elimina i poveri in silenzio Per lo
scrittore «un mondo per ricchi» compie un genocidio. Lo scrisse nel diario del
1998, anno del Nobel.
C’è un «nuovo arianesimo» e discrimina ed
elimina lentamente milioni di persone perché povere. Chi non serve subito e tanto, va cancellato. Non è neonazismo. È quanto ravvisava lo scrittore José Saramago nel 1998.
«… il neoliberismo trionfante vuole risolvere
in modo radicale: fare scomparire a poco a poco (un genocidio su scala
planetaria farebbe troppo scandalo), sottraendo o negando loro condizioni
minime di vita, le centinaia di milioni di esseri umani che sono d’avanzo,
siano essi indios dell’America o indios dell’India, o neri dell’Africa, o
gialli dell’Asia, o sottosviluppati di ogni dove». Un genocidio praticato nel
silenzio. Perché si va preparando (e lo scriveva nel 1998) «un mondo per ricchi
(la ricchezza come una nuova forma di
arianesimo), un mondo che non potendo, ovviamente, fare a meno
dell’esistenza dei poveri, ammetterà di conservare solo quelli che saranno
strettamente necessari al sistema».
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