ad Auschwitz
c’è una linea diretta»
l
colloquio
L’intervista
ritrovata
Il grande scrittore in una
conversazione inedita del 1973
con un giovane studente.
«Oggi “Se questo è un uomo” lo riscriverei
completamente, per mettere in
luce le responsabilità italiane nella Shoah»
Lo scrittore Primo Levi
Primo Levi, come mai ha voluto
scrivere «Se
questo è
un uomo»?
«Perché ero appena ritornato
dalla prigionia,
e avevo un tremendo bisogno di
raccontare queste cose, un bisogno
che diventava ossessione.(…) Nel
lager cercavo di immagazzinare
tutto, di mettere tutto in una specie
di tasca».
Allora vedevi già con un occhio più
distaccato
quel che ti
succedeva...
«No, non era possibile. Nel lager
c’era il problema di sopravvivere.
Sì, avevo una vaga idea di sopravvivere
per scrivere, questo sì, mi ricordo
di averlo detto a qualcuno.
Addirittura quando ero in laboratorio
e avevo una matita e un quaderno
ho scritto qualche pagina».
Che poi hai
perso...
«L’ho persa, l’ho scritta così, per
l’urgenza di scrivere, sapendo benissimo
che poi l’avrei persa».
Certo.
«Ma era molto importante per me
allora la possibilità di diventare un
testimone, lo sentivo già allora.
Non solo io, ma un po’ tutti, tutti
quelli con cui si
parlava dicevano:
“È importante sopravvivere per poterlo
raccontare perché il mondo le
sappia queste cose”. Avevamo piena
consapevolezza: però non è che
questo ci permettesse di fare gli
esploratori del lager.Non era possibile,
c’erano questioni immediate,
come quello di trovare un pezzo di
pane, di proteggersi, di aver salva
la vita. Quindi io e altri
immagazzinavamo
tutto voracemente, tutte
le esperienze. Anzi, ci interrogavamo
a vicenda per sapere ciascuno
la storia degli altri. Ed effettivamente
cadevano su un terreno buono,
perché queste cose sono indimenticabili.
Io ancora adesso mi ricordo
le facce di gente vista
trent’anni fa».
Le facce?
«Le facce. Tanto che quando mi è
successo, come mi è successo, di
ritrovarne
qualcuno, l’ho subito riconosciuto,
e lui me. Ho riconosciuto,
ho ritrovato Pikolo, quello del
canto di Ulisse... Jean...»
E questa
discussione su Ulisse, si è
svolta veramente?
«Non c’è niente di inventato nel libro.
Non c’è nulla di inventato. non
una parola.(...) L’unica autocritica
che potrei fare è quella che non ho
messo in luce abbastanza questa
validità politica del libro».
Parli di “Se
questo è un uomo”?
«Se non lo avessi scritto allora lo
scriverei adesso».
Ma lo scriveresti
con le stesse intenzioni?
«No».
Come un documento?
«No: lo scriverei, in primo luogo,
con lo stile di un uomo che ha
trent’anni di più, e trent’anni di più
vogliono dire molta esperienza in
più e molta vitalità in meno. Quindi
non so cosa verrebbe fuori: verrebbe
fuori una cosa completamente
diversa. Soprattutto però lo scriverei
oggi con riferimento preciso
al fascismo di oggi che nel libro non
c’è. Quando ho scritto Se questo è
un uomo il fascismo era finito, non
c’era più, era chiaro come il sole
che non c’era. Era finito di fatto, era
stato sepolto, come partito politico
non c’era né in Italia né in Germania.
Ma se lo scrivessi oggi... userei
il mio libro come uno strumento».
Lo
strumentalizzeresti, diciamo…
«Sì, già lo userei come strumento.
Lo faccio quando vengono i ragazzi
a parlarmi. Tendo a mettere in chiaro
che c’è una linea diretta che parte
dalle stragi di Torino del ’22,
Brandimarte (capo delle squadre
d’azione fascista: è lui a guidare la
strage che a Torino, il 18 dicembre
del 1922, porta alla morte di 14
antifascisti
e alla distruzione
della Camera
del Lavoro. Nel novembre del
1971, al funerale, un reparto di 27
bersaglieri del 22° reggimento fanteria
della divisione Cremona, al comando
di un ufficiale, rende gli
onori militari alla sua salma, ndr),
e finisce ad Auschwitz. C’è una
continuità
abbastanza evidente».
Sì, c’è una continuità, ma hai detto che
lo sterminio
riguardava i tedeschi,
no?
«Stiamo parlando di qualcosa che
è stato inventato in Italia e
perfezionata
in Germania»
Ah! è stata inventata
in Italia…
«Le prime stragi fasciste sono
italiane...
sono torinesi».
Pensavo che…
«Lo sterminio industriale è tedesco.
Ma la violenza a scopo politico
in questo secolo è un’invenzione
italiana».
Ho capito.
«Il fascismo è un brevetto italiano,
eh!»
Purtroppo...
«Torinese, voglio dire. Insomma la
strage del ’22…. Era una caccia,
una caccia per le strade. Non so se
hai letto qualcosa in proposito...».
Sì, qualcosa...
«Brandimarte (...), è morto nel suo
letto (...).È stato assolto per
insufficienza
di prove».
Sì, ma c’è tanta
gente ancora che gira...
«Sì, veterani».
Sì, sì.
«Federali. Capi di gabinetto, capi
giunta, Almirante: appunto, se scrivessi
oggi, metterei più in chiaro
questa cosa (...).Quando ho scritto
Se questo è un uomo ero convinto
che meritasse la pena di documentare
certe cose perché erano finite.
Adesso non sono più finite, bisogna
parlarne di nuovo».
Allora diciamo che
lo scriveresti sotto
un profilo meno
scientifico, più...
«No, penso che non toglierei niente,
però aggiungerei molto».
Ah! capisco, e
perché non lo fai?
«Perché non si può scriveredue volte
lo stesso libro. (...) Come ti dicevo
prima, che c’è una linea diretta
fra Brandimarte e Auschwitz. Questa
linea non finisce ad Auschwitz,
continua in Grecia, è continuata in
Algeria con i francesi. È continuata
in Unione Sovietica, puoi dire di
no?» (...)
Aproposito di “Se
questo è unuomo”
e di “La tregua”:
credi che servano,
diciamo, per educare ad una certa coscienza?
«Dipende dall’insegnante. Il fatto
stesso che venga scelto quel testo,
testimonia che l’insegnante
ha delle buone intenzioni, cosa
poi ne nasca non so dirtelo. Ho
l’impressione che in generale -
perché vengono molti ragazzi
qui, o mi telefonano per avere delle
informazioni - che queste cose
vengono sentite, appunto, come
passato remoto, una cosa un capitolo
arcaico,comei garibaldini insomma,
come la rivoluzione francese,
una cosa molto, molto lontana.
Infatti è abbastanza lontana
nel tempo, ma... solo nel tempo è
lontana»... (...)
Con che spirito l’hai
scritta “La tregua”?
«Ho scritto La tregua nel ‘61-‘62
quando era appena crollato il mito
della Russia monolitica, della
Russia paese del socialismo, della
Russia perfetta, paradiso secondo
i comunisti e inferno secondo
gli americani, o secondo i nostri
democristiani. Erano due visioni
talmente manichee, talmente assurde,
sia l’una sia l’altra, che mi
sembrava molto importante raccontarla
così come io l’avevo vista».
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