ISSN 2421-0730
NUMERO 1 – GIUGNO 2021
CHARLIE BARNAO
Nazismo e managerial science. Una relazione pericolosa
ABSTRACT - The subject of this article is the cultural connection
between Nazism and managerial science. I will address the theme starting from
the work of the French historian Johann Chapoutot. In the first part, the
general principles and assumptions underlying a cultural history of Nazism will
be outlined. Going into more details, I will then move on to consider some
fundamental elements of the management culture within the project of Hitler's
Germany. In the concluding part of the article, I will present the history and
scientific thinking of a central figure in the connection between management
and Nazism. It is Reinhard Höhn, SS officer and director of the Institute for
State Research at the Friedrich-Wilhelms-Universität of Berlin who, after the
war, will translate Nazi ideas into the scientific discipline of management,
founding the most important management school in Europe in Bad Harzburg and
becoming its most popular and internationally known professor.
KEYWORDS - Nazism - Managerial science - Culture - Reinhard Höhn.
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CHARLIE BARNAO
Professore associato di Sociologia
Generale, presso l’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro.
Contributo sottoposto a
valutazione anonima.
1 Dell’Autore si vedano almeno J. CHAPOUTOT, Le
National-socialisme et l’Antiquité, PUF, 2008 (rééd. coll. «Quadrige»,
2012); ID., Fascisme, nazisme
et régimes autoritaires en Europe- 1918-1945, PUF, 2013; ID., La Loi du sang. Penser et
agir en nazi, Gallimard, Paris, 2014; ID., La révolution culturelle
nazie, Gallimard, Paris, 2017; ID., Libres d’obéir. Le management, du nazisme à aujourd’hui,
Gallimard, Paris, 2020.
Nazismo e managerial science. Una relazione
pericolosa
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Chapoutot e
la storia culturale del nazismo. – 3. Cultura del management, guerra e il
progetto della Germania di Hitler. – 4. Reinhard Höhn. – 5. Akademie di Bad
Harzburg e managerialsmo postbellico. – 6. Management per delega di
responsabilità. – 7. Conclusioni.
1. Introduzione
Oggetto di questo articolo è il rapporto tra nazismo e
managerial science. Affronteremo il tema a partire dal lavoro dello storico
francese Johann Chapoutot, professore di Storia contemporanea alla Sorbona.
Esperto di fama internazionale sulla storia del nazismo, Chapoutot1 si è occupato
di management da un punto di vista critico e originale. Lo storico francese fa
un lavoro controtendenza rispetto a quell’approccio di studio del nazismo che
lo vuole relegare a fenomeno estraneo, irripetibile, distante da tutto ciò che
siamo oggi, da tutto ciò che riguarda, oggi, il nostro modo di vivere. Un
approccio, quello, che, forse, può piacere perché a volte ci facciamo
sopraffare dalla durezza e dalla crudeltà di alcuni fenomeni (il nazismo primo
fra tutti), spingendoci a interpretarli come fenomeni estremi sì, ma esterni a
noi e al nostro mondo: fenomeni “demoniaci”, “irrazionali”, di regressione
verso la “barbarie”. Forse siamo portati a fare questo nel vano tentativo di
proteggerci. Lo facciamo per paura, convinti così di esorcizzarli e poterli
tenere lontani da noi per sempre.
Invece, purtroppo, spesso si tratta di fenomeni in cui
sono protagonisti attori sociali che si muovono all’interno di un universo di
significati, perseguendo valori e avendo obiettivi inseriti nel nostro tempo e
nei nostri luoghi. Non sono fenomeni culturali impermeabili al mondo che li
circonda. Il nazismo nasce e interagisce in un bagno culturale comune europeo e
occidentale all’interno del quale assume un ruolo di rilievo la managerial
science. CHARLIE BARNAO
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Inizieremo
delineando i principi generali e i presupposti che stanno alla base di una
storia culturale del nazismo. Chapoutot utilizza un approccio esplicitamente
weberiano per comprendere il significato che i nazisti danno alle proprie
azioni, all’interno di un contesto storico-sociale ben preciso. Scendendo più
nel dettaglio, passeremo poi a considerare alcuni elementi fondamentali della
cultura del management all’interno del progetto della Germania di Hitler. Riorganizzare
e ottimizzare le risorse diventa l’attività fondamentale per salvare la
razza tedesca dall’estinzione. Al centro di questo modello culturale il
principio di darwinismo sociale secondo il quale il valore di un
individuo è legato alla sua capacità di performance.
Nella parte conclusiva dell’articolo presenteremo la
storia e il pensiero scientifico di una figura centrale del collegamento tra
management e nazismo. È Reinhard Höhn, ufficiale delle SS (dal 1934) e
direttore dell’istituto di ricerca statale dell’università di Berlino che, nel
dopo guerra, traslerà le idee naziste nella disciplina scientifica del
management, fondando la scuola di management più importante d’Europa a Bad
Harzburg e diventandone il professore più carismatico e noto a livello
internazionale.
2. Chapoutot e la storia culturale del nazismo
Nel suo libro Libres d’obéir. Le management, du
nazisme à aujourd'hui2, Chapoutot, parla
dell’ossessione nazista per il management, offrendo una nuova storia critica
del management, sostenendo che l’attuale pensiero manageriale è in parte
un’eredità del nazismo.
2 J. CHAPOUTOT, Libres d’obéir, cit. (vedi nota 1).
Concentrandosi in particolare sulla figura e
sull’influenza di Reinhard Höhn (generale nazista e, nel dopoguerra, scienziato
del management di fama internazionale), Chapoutot suggerisce ed evidenzia
sorprendenti parallelismi e punti di contatto tra la cultura nazista legata
alla gestione delle risorse e le moderne tecniche manageriali. Libres
d’obéir è un libro del 2020 molto attuale se pensiamo quanto il management
e la cultura del management siano diffusi: nelle aziende e nella politica.
Parlando del tema politico, che si intreccia con quello
della cultura aziendale, pensiamo ad esempio all’impiego sempre più frequente
di grandi manager per la gestione della cosa pubblica (ricordiamo, ad esempio,
tutto il tema della gestione delle “risorse umane”, oggi di 1/2021
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grandissima
attualità). In generale assistiamo ad un incremento della diffusione di una
cultura imprenditoriale di tipo manageriale anche in ambito pubblico: è il
caso, ad esempio, della sempre maggiore diffusione del new public management.
Ma prima di scendere un po’ più nel dettaglio, facciamo
un piccolo passo indietro per contestualizzare Libres d’obéir nell’opera
di ricerca storica più generale di Chapoutot. Johann Chapoutot ha, con le sue
opere, l’obiettivo dichiarato di ricostruire una storia culturale del nazismo.
Per capire il nazismo è necessario prendere sul serio le idee e la visione del
mondo dei nazisti. Chapoutot si sforza di mostrare quanto il nazismo sia parte
di una tradizione culturale europea e occidentale. Così sottolinea anche nella
Prefazione alla traduzione francese dell'opera di James Q. Whitman, Hitler’s
American Model, un testo in cui si fa un parallelo tra le leggi
segregazioniste americane e quelle razziali tedesche, evidenziando come le
prime furono di ispirazione per le seconde3.
3 Cfr. J.Q. WHITMAN, Hitler's American model: The United States and
the making of Nazi race law, Princeton University Press, Princeton (N.J.) -
Oxford, 2017.
4 J. CHAPOUTOT, Le National-socialisme et
l'Antiquité, cit. (vedi nota 1).
5 J. CHAPOUTOT, La Loi du sang, cit.
(vedi nota 1).
6 J. CHAPOUTOT, La révolution culturelle
nazie, cit. (vedi nota 1).
7 Cfr. Z. BAUMAN, Modernity and the Holocaust, Basil Blackwell,
Oxford, 1989.
Il metodo che utilizza Chapoutot è quello storico.
Analizza migliaia di documenti: scritti ufficiali, circolari amministrative,
articoli scientifici, video, fotografie, ecc. Utilizza un approccio
dichiaratamente interpretativo di tipo weberiano: comprendere, cioè, il punto
di vista degli attori sociali – i nazisti – che agiscono in un determinato
contesto. L’obiettivo è, quindi, comprendere qual è il senso che l’attore
sociale dà alla propria azione, quale il significato, dal suo punto di vista
soggettivo. Libres d’obéir prosegue lo studio della cultura nazista, già
presente in altri libri di Chapoutot sul nazismo - tra cui ricordiamo: Il
nazionalsocialismo e l’antichità4, la sua tesi di
dottorato; La legge del sangue5, la sua tesi di
abilitazione; e La rivoluzione culturale nazista6. Si
tratta in tutti questi casi di ricerche storiche realizzate con lo stesso tipo
di approccio.
Libres d’obéir non vuole stabilire una
continuità tra management e nazismo. È un libro storico sul nazismo che mette
in evidenza la modernità del nazismo. Ricordiamo come già Bauman, una
trentina di anni fa, pubblica Modernità e olocausto, facendo un certo
scalpore, mostrandoci come i crimini dell’olocausto non fossero qualcosa di
arcaico, ma contemporaneo7. Il nazismo è perfettamente
integrato nella modernità e nel nostro contesto CHARLIE BARNAO
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storico. Tutto
questo è in contrapposizione ad una visione che lo vorrebbe avulso, quasi
estirpato, come fenomeno eccezionale e irripetibile della nostra storia.
Il nazismo con i suoi protagonisti, le sue idee, le sue
visioni della vita è parte del nostro mondo. Certo ciò non significa che il
nazismo non vada contestualizzato in condizioni strutturali specifiche legate
ad un certo periodo storico, alla fine della prima guerra mondiale. Non va
dimenticato, quindi, il fatto certo che i nazisti fossero particolarmente
radicali, violenti e brutali nelle loro pratiche. Ma gli elementi essenziali
che costituiscono i fondamenti del nazismo (imperialismo, militarismo,
eugenismo, darwinismo sociale, razzismo e antisemitismo) non sono un’invenzione
nazista e neanche un’invenzione tedesca. I nazisti spingono fino alle estreme
conseguenze alcune caratteristiche strutturali importanti della nostra
modernità occidentale della seconda metà del XIX secolo, nell’attuazione di un
progetto che è figlio di una visione escatologica, per realizzare un progetto
salvifico: salvare la Germania, salvare la razza tedesca dall’estinzione.
3. Cultura del management, guerra e il progetto della
Germania di Hitler
Tutto questo è strettamente legato alla cultura del
management. Era necessario per il progetto tedesco – per questo grande
obiettivo di “salvezza” – ricostruire il potere della Germania, armandola e
riorganizzandola. Appena saliti al potere, nel 1933, i nazisti avevano
necessità di produrre, in modo straordinario e senza precedenti, armamenti e
apparecchiature tecnologiche con una popolazione scarsa (che nel 1939 sarà
ulteriormente diminuita per l’impiego militare).
Sorgono, quindi, due problemi tra di essi collegati: il
Reich si dilatava in modo notevole dopo il 1938 con annessioni e conquiste; lo
faceva con un personale amministrativo che, per lo stesso motivo (cioè per la
mobilitazione di 18 milioni di uomini tra il 1939 e il 1945), diminuiva.
Quindi: bisognava riorganizzare e ottimizzare le risorse. Era questo il
compito di una classe di giovani molto preparati e ambiziosi che si erano
formati e istruiti sulla organizzazione del lavoro nel Menschenführung (cioè
“comando”, “leadership”, “guida”) termine che germanizza il termine britannico
e americano di management. 1/2021
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Diventava
necessario, quindi, fare il più possibile con meno mezzi possibili. Ottimizzare
le risorse scarse8. Chapoutot9 cita il caso di Herbert Backe,
Segretario di stato dell’agricoltura del Reich, il quale scrive una circolare,
un normale documento amministrativo, in cui si pianifica una carestia che
porterà alla morte milioni di persone: il famoso Hungerplan. Backe
era stato personalmente nominato dal ministro del Reich per i territori orientali
occupati, Alfred Rosenberg, come Segretario di Stato (Staatssekretär) del
Reichskommissariat dell’Ucraina dove può attuare la sua politica strategica, il
Piano della fame (Der Hungerplan o anche Der Backe-Plan). La
capacità di trasporto delle ferrovie russe, l'inadeguata rete stradale e la
carenza di carburante implicavano il fatto che l'esercito tedesco avrebbe
dovuto sostentarsi requisendo cibo dalle fattorie sovietiche ed ucraine.
L'obiettivo del “Piano della fame” era quello di infliggere una “fame di massa”
deliberata alle popolazioni civili sotto l'occupazione tedesca, dirigendo tutte
le scorte di cibo alla popolazione tedesca e alla Wehrmacht sul fronte
orientale. Secondo lo storico Timothy Snyder, come risultato del piano di
Backe, 4,2 milioni di cittadini sovietici (in gran parte russi, bielorussi e
ucraini) furono fatti morire di fame dagli occupanti tedeschi nel periodo
1941-1944.
8 Un principio, questo,
molto attuale della rivoluzione neoliberale, che si sente spesso recitare anche
dalla politica odierna, fino ad arrivare a casi estremi. È, ad esempio – giusto
per ricordarci quanto sia attuale ciò di cui stiamo parlando, e per citare un
episodio abbastanza rilevante e molto recente e – il caso della bozza del piano
pandemico italiano per il 2021-2023, pubblicata il 10 gennaio 2021. In
quella bozza si legge, con riferimento alle risorse delle terapie intensive,
che «quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità,
i princìpi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da
fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno
maggiori possibilità di trarne beneficio». Tradotto: “in situazione di scarsità
di risorse, lasciate morire i meno sani”.
9
J. CHAPOUTOT, Libres d’obéir, cit. (vedi nota 1).
Per l’attuazione del suo piano, Backe invia una circolare
ai suoi funzionari che lasceranno il fronte orientale nel giugno del 1941. In
questo documento scritto si trovano, come prevedibile, molti elementi di
radicalità e violenza razzista (contro gli slavi ecc.), ma si trovano anche (è
questo è più sorprendente!) termini ed espressioni molto attuali della scienza
manageriale come: “agilità”, “flessibilità”, “aggressività”, “prendere
l’iniziativa”. Quella circolare – che è uno delle migliaia dei documenti
analizzati nel suo lavoro di analisi storica – secondo Chapoutot ricorda da
molto vicino, per i termini utilizzati e per il linguaggio, “un documento
commerciale di una grande azienda multinazionale”. CHARLIE BARNAO
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Il nazismo voleva
modernizzare la società, voleva costruire automobili per tutte le famiglie (la
Volkswagen, la “macchina del popolo”, doveva essere la “Ford T” del Reich: un
incentivo, una ricompensa e la punta di diamante della motorizzazione tedesca),
voleva incrementare l’innovazione tecnologica. Tutto ciò era anche l’eco di
quanto stava accadendo negli USA: sappiamo, storicamente e culturalmente,
quanto forti siano i collegamenti ad esempio tra Ford, IBM e nazismo. Ciò
avveniva grazie a discipline di grande sviluppo come il marketing e il
management, che i tedeschi ammiravano per i princìpi di “velocità”,
“aggressività”, “flessibilità”, che li caratterizzavano. Si trattava di
principi che si contrapponevano alla rigidità istituzionale e amministrativa
che i nazisti vedevano, ad esempio, plasticamente rappresentata dal modello di
organizzazione amministrativa francese, dallo Stato francese.
Contrariamente a come molti di noi spesso vedono i
tedeschi (rigidi, estremamente gerarchici ecc.) quel periodo culturale puntava alla
realizzazione (e ne rappresentò nei fatti l’avvento) di quella che i tedeschi
stessi chiamano la libertà germanica. Dietro di essa c’è un messaggio
culturale, razziale e biologico molto chiaro, di cui Chapoutot parla anche nel
suo libro La legge del sangue: il cittadino tedesco si auto-organizza e
si fa dominare spontaneamente da un altro tedesco; il tedesco è libero perché è
sano nel corpo e nella mente10. Sono i malati, cioè i meticci,
i “bastardi razziali”, che hanno bisogno delle catene della norma e delle
catene dello Stato per organizzarsi. Il tedesco invece è naturalmente libero.
Chapoutot fa un’analisi testuale di documenti dai quali emerge come la “libertà
germanica” non sia in contrapposizione con l’idea di una catena di comando.
Nello svolgimento delle missioni che i nazisti devono realizzare vengono
utilizzati termini come “individualità” e “attitudine individuale”, “impegno”,
“coinvolgimento personale”, “desiderio personale” che devono essere incarnati,
corpo e anima, nella missione. Anche questi sono tutti temi molto cari e vicini
alla cultura aziendale contemporanea. È importante sottolineare che l’anima del
Reich è costituita dalla comprensione delle leggi della natura ed è a
questo proposito che i nazisti rivendicano la loro “libertà di obbedienza” al
Führer. Il Führer non ottiene obbedienza per elezioni democratiche, né per
ragioni di nascita.
10 Cfr. J. CHAPOUTOT, La Loi du sang,
cit. (vedi
nota 1).
11 Cfr. M. WEBER, Wirtschaft und Gesellschaft,
Mohr, Tübingen, 1922.
Nel primo caso possiamo leggere un implicito riferimento
al concetto, espresso da Weber11, di potere legale razionale,
cioè legittimato dalle leggi; nel secondo caso si può leggere un implicito
riferimento al potere tradizionale, 1/2021
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cioè legittimato
dalla tradizione12. Il tedesco, secondo Chapoutot,
obbedisce al Führer perché quest’ultimo è colui che ha meglio compreso “le
leggi della natura e della storia”. E qui abbiamo, infine, un implicito
riferimento al potere carismatico: il carisma, la qualità straordinaria
del Führer sulla quale si basa il suo potere, è quella quindi di avere meglio
di chiunque altro compreso le leggi della natura13.
12
Ibidem.
13
Ibidem.
14 J. CHAPOUTOT, La révolution culturelle
nazie, cit. (vedi nota 1).
Obbedendo al Führer faccio il mio bene, proteggo la mia
salute, la mia prosperità, la mia procreazione, la prosecuzione della mia
razza. Se io obbedisco al Führer, sono libero. Sono altri popoli europei coloro
i quali restano schiavi dello Stato e delle norme; oppure sono gli orientali
che restano asserviti ad un potere bolscevico. L’esperienza e la visione
nazista del mondo costituiscono una vera e propria “Rivoluzione culturale”.
Chapoutot ne parla esplicitamente e approfondisce il tema in un testo, appunto,
dal titolo La rivoluzione culturale nazista14. È la
rivoluzione culturale dell’idea di individuo, a partire dall’uomo tedesco. Si
tratta di una rottura fondamentale con la tradizione giuridica europea: i
nazisti dicono che l’essere umano non ha valore e dignità in senso assoluto, ma
li ha in base alla sua produttività, alla sua prestazione alla sua redditività.
La performance è al centro.
Il valore di un individuo è legato alla sua capacità di
performance. Il razzismo nazista, infatti, è eugenetico: non basta
avere il giusto sangue e il giusto colore della pelle, occorre anche essere
pienamente impiegabili nel sistema produttivo e riproduttivo. La violenza dei
nazisti, quindi, si abbatte contro le persone non redditizie, improduttive, in una
parola “non performanti”. Si ha dignità di vivere solo se ci si mostra
performante da un punto di vista sportivo, sessuale, economico, oppure in
qualità di guerriero che difende il Reich. Chi non è considerato abile è
destinato alla sterilizzazione (ricordiamo le oltre 400.000 sterilizzazioni in
Germania dal 1933 al 1945) o soppressione (a partire dall’ottobre 1939 iniziano
le soppressioni di massa).
Si tratta di una “selezione naturale” che avviene in un
contesto di guerra di tutti contro tutti, per la conquista delle risorse scarse
e degli spazi. È qui che c’è la modernità del nazismo, in un contesto di vero e
proprio darwinismo sociale. Su quest’ultimo concetto Chapoutot
insiste molto nei suoi libri. Esistono forme di razzismo (ad es. colonialismo)
dappertutto, ma i nazisti sono i campioni di darwinismo sociale. In un mondo
che ci CHARLIE BARNAO
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circonda, che è
sempre in guerra (I guerra, guerre coloniali, ecc.), resiste e sopravvive solo
chi è un campione della performance (principio tipico del management
neoliberista). Come già ricordato, il Führer è colui che meglio comprende le
regole della natura e il cittadino tedesco obbedisce “liberamente” a lui perché
così si salva, unendosi con gli altri “camerati nella razza”. Tutto ciò accade
in una dimensione tipicamente politica.
Nel mondo economico accade qualcosa di analogo e
corrispondente. Il capo non è un capo autoritario, ma è un leader e gli altri
membri della società, dell’azienda, sono “camerati produttivi”, il tutto in una
perfetta analogia col mondo politico. Quello che vuole il mio leader è il
meglio per me e mi sento libero di obbedire: mi vengono indicati gli obiettivi
(io non partecipo alla loro definizione) e ho una notevole libertà di scegliere
i mezzi per perseguirli. “Libertà”, quindi, è la parola d’ordine della
cultura del management attorno alla flessibilità e alla libertà d’azione che
viene lasciata agli individui per raggiungere gli obiettivi. Un discorso
ossessivo dei giuristi nazisti è quello per cui la norma ha valore relativo,
non ha valore assoluto e dipende dall’obiettivo. E l’obiettivo è la prosperità,
la protezione, la moltiplicazione della razza. Da qui la concezione del
diritto, ma anche la concezione del leader, la concezione dell’organizzazione e
la concezione della menschenführung.
4. Reinhard Höhn
È arrivato adesso il momento di introdurre ed
approfondire la figura di un uomo centrale dell’analisi storica e sociale
compiuta da Chapoutot. Un nazista, uno studioso, un giurista, un accademico,
che è al centro del discorso dello storico francese e incarna, per molti versi,
la sintesi del pensiero nazista fin qui espresso, avendolo promosso ed
essendone egli stesso protagonista. È Reinhard Höhn che, nel dopo guerra, traslerà
le idee naziste nella disciplina scientifica del management. Reinhard Höhn,
ufficiale delle SS (dal 1934) e direttore dell’istituto di ricerca statale
dell’università di Berlino, è infatti uno dei pionieri della disciplina nazista
del management.
Nato a Graefenthal, in Turingia, il 29 luglio 1904, Höhn
è uno dei giovani tecnocrati e accademici della classe media che hanno fatto
carriere sfavillanti nel Terzo Reich. È, infatti, una persona rappresentativa
di una nutrita generazione di giovani molto ben istruiti presso le università
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tedesche15, che in
genere arrivavano al dottorato, e che alla fine degli anni 1920 militavano
all’interno di associazioni di estrema destra – che non necessariamente erano
naziste – alle quali in quegli anni, se si voleva fare carriera e promuovere le
proprie idee, era necessario unirsi16.
15
Chapoutot cita, tra gli altri, anche Werner Best, Wilhelm Stuckart, Otto
Ohlendorf. Cfr. J. CHAPOUTOT, Libres
d’obéir, cit. (vedi nota 1).
16
Cfr. R.S. WISTRICH, Who's who in Nazi
Germany, Routledge, London, 2013.
Dopo aver studiato giurisprudenza in varie università
tedesche, e aver militato in varie organizzazioni di estrema destra, quindi,
Höhn entra nel partito nazista il 1° maggio 1933 e nelle SS un anno dopo.
Quella forza nascente sollecitava Höhn, e i giovani come lui, ad unirsi per
dare forza alle strutture amministrative che si stavano formando per la
costituzione dell’élite naziste (le SS erano l’élite dell’élite: molto ben
formate ed addestrate e con militanti radicali). È a persone come Höhn e come
Himmler, leader delle SS, che vengono promesse le chiavi della Germania e
dell’Europa del futuro. All’interno delle SS, Höhn viene elevato al grado di Standartenführer
(colonnello) nel 1939, e viene nominato Oberführer (generale) nel
1944, finendo la guerra con questo grado.
Parallelamente alla carriera nelle SS, Höhn fa una rapida
e brillante carriera accademica. Nel 1935 diventa professore a contratto a
Heidelberg e un anno dopo diviene membro dell'Accademia di diritto tedesco. Dal
1939 (fino alla fine della guerra) è professore all’Università di Berlino,
divenendo anche direttore dell'Istituto di ricerca statale presso l'Università
di Berlino. Höhn (che dal 1935 divenne anche consulente legale di Heydrich e
che era anche grande appassionato di storia e sociologia), dal punto di vista
scientifico, proponeva una filosofia del diritto che sosteneva il principio di
leadership (Führerprinzip) e la completa sottomissione dell'individuo
alla Comunità nazionale (Volksgemeinschaft) nazionalsocialista, definita
come una “comunità di specie” basata sul sangue e sul suolo.
Inizialmente vicino a Carl Schmitt – che corteggiava
assiduamente senza però riceverne il riconoscimento che si aspettava – gli si
allontanò poi radicalmente attraverso la sua de-costruzione storica e la sua
svalutazione giuridica della nozione di Stato. Il pensiero di Höhn a questo
proposito appare già molto chiaro e particolarmente visibile in un testo del
1934 intitolato Mutazioni del pensiero costituzionale. Höhn opera una
reinterpretazione storica del concetto di Stato per dimostrare il suo carattere
obsoleto. La nozione di Stato, secondo Höhn, è solidale con il dominio dei
sovrani dell'era moderna, apparsi in Italia durante il Rinascimento, prima di
vivere una brillante maturità nella Francia di Richelieu e Luigi XIV. CHARLIE BARNAO
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Radicato in
un'età passata, lo Stato non è più rilevante nel tempo e nell'età della
“comunità”. Höhn sottolinea che “non è lo Stato che crea il popolo, ma è la
comunità del popolo che crea lo Stato”. Quest’ultimo è un mero strumento
secondario e non la realtà suprema. Su questo punto si distanzia in modo netto
da Schmitt. La colpa di Schmitt - cattolico, innamorato dell'Italia e della
Francia - è di essere irrimediabilmente attaccato allo Stato, principio e fine
della vita legale. Troppo cattolico, troppo romano, troppo latino e teologo,
Schmitt, nel diritto interno, è “un uomo di Stato e non di razza”. Per Höhn,
quindi, Schmitt appare un uomo del passato.
Dal punto di vista del pensiero e della sua attività come
giurista, durante il nazismo e la guerra, Chapoutot definisce Höhn “una sorta
di Josef Mengele della legge”. Nelle sue conferenze durante la guerra, Höhn
giustifica dal punto di vista legale le pene draconiane (inclusa la condanna a
morte), anche per crimini minori, specialmente contro i polacchi e altri popoli
occupati. La volontà della comunità razziale tedesca, incarnata nel Führer,
aveva soppiantato, nell'insegnamento di Höhn, ogni residuo di diritti
individuali e garanzie democratiche fornite da un sistema legale
liberal-razionale.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. Come abbiamo già
detto dal 1939 Höhn diventa direttore dell'Istituto di ricerca statale presso
l'Università di Berlino. L’Istituto di ricerca statale è un importantissimo
anello di congiunzione tra l’SS e l’università, e ha tra i suoi principali
obiettivi, studiare il modo di adattare le strutture amministrative
all’espansione dell’impero che, come abbiamo già anticipato, è un aspetto
strategico fondamentale per la sopravvivenza e l’azione del Reich.
La rivista scientifica di riferimento a partire dal 1941
è “Reich - Volksordnung – Lebensraum” (Impero, Ordine del popolo, habitat), la
rivista di geopolitica più importante del Reich, e Höhn la dirigerà fino al
1944. In essa vengono pubblicati articoli scientifici che si occupano
principalmente dell’applicazione delle scienze amministrative ad un impero in
grandissima espansione. Gli autori che scrivono in questa rivista sono
ovviamente euforici per questa epoca storica importantissima che vivono, ma non
nascondono i grandi problemi che si trovano ad affrontare: bisogna fare
molto, molto di più con molto molto di meno e senza lamentele, senza
infastidire una gerarchia che ha altro da fare che non ascoltare le
problematiche e le lamentele, ad esempio, di un amministratore in Bielorussia,
che deve invece imparare a cavarsela da solo. La soluzione sta in quello che
diventerà un concetto centrale della teoria manageriale di Höhn: il principio
della delega della responsabilità. I sottoposti devono 1/2021
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conoscere ma non
partecipare alla scelta degli obiettivi ultimi e devono perseguire tali
obiettivi in modo autonomo attraverso la scelta – questa sì autonoma - e l’uso
di tutti i mezzi necessari. Höhn continuerà a dirigere l’istituto statale di
ricerca dell’università di Berlino fino alla fine della guerra.
5. Akademie di Bad Harzburg e managerialsmo postbellico
Una volta finita la guerra, Höhn e altri ex colleghi (tra
cui Justus Beyer e Franz-Alfred Six), continueranno ad occuparsi e a scrivere
su molti degli stessi problemi economici, politici e di diritto che avevano
trattato presso l’Istituto di Ricerca Statale dell’università di Berlino.
Ovviamente tutto ciò avveniva in un contesto radicalmente nuovo e diverso:
quello politico ed economico postbellico.
Höhn, quindi, forte della sua esperienza e del suo lavoro
all’Istituto di Ricerca Statale dell'Università di Berlino, dopo essersi
nascosto per quattro anni (farà il naturopata), alla fine degli anni ‘40,
costituisce un think tank con lo scopo di formare dipendenti d’altissimo
livello aziendale. L’idea è quella di creare una grande scuola di management e
gestione d’aziende che per la Germania sia l’equivalente dell’Harvard Business
School. Per potere realizzare questo suo progetto Höhn utilizzerà, dopo la
guerra, una forte rete di protezione e solidarietà dei nazisti (ricordiamo come
poco dopo la fine della guerra la priorità è la lotta al comunismo): sono
migliaia i nazisti che ne beneficiano (chi andrà in America latina, chi in
Germania occidentale; andranno a lavorare negli ospedali, nell’intelligence,
nell’università, nella diplomazia ecc.). In particolare Höhn beneficerà della
rete di solidarietà del settore privato, che ricicla molti nazisti. Ciò accade,
molto semplicemente, perché l’industria tedesca – che aveva avuto un periodo
molto florido durante il nazismo – aveva creato una importante rete di contatti
composta, dopo la guerra, da molte delle stesse persone che costituivano la
rete internazionale durante la guerra stessa. Un vero e proprio capitale
sociale di contatti che viene attivato e che è costituito da importanti
professionisti e colleghi di Höhn.
I tedeschi fondano, così, la scuola di management più
importante d’Europa a Bad Harzburg nel 1956. È Reinhard Höhn che la crea, è lui
che la dirige ed è il professore più carismatico e il più importante insieme
con altri ex-SS come Justus Beyer (che insegna Diritto commerciale) e Franz-
Alfred Six (che insegna Marketing). Dopo il 1945 Höhn non è soltanto un CHARLIE BARNAO
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tedesco che
termina la guerra con il grado di generale delle SS, ma pubblica tantissimi
lavori e studi particolarmente rilevanti sulla teoria e sull’applicazione del
management.
Höhn, ci ricorda Chapoutot, non deve cambiare una virgola
del suo pensiero e delle teorie che aveva applicato durante il nazismo: lo
Stato, considerato un mezzo, veniva sostituito dalle aziende private e,
dall’altra parte, la gestione manageriale, il Menschenführung, ottimale
in termini di produttività, diventa una sorta management liberale. I nazisti lo
avevano capito molto bene prima del 1945 e, dopo il 1945, il management per
delega di responsabilità (questa la sua formalizzazione scientifica)
diventava una derivazione diretta della matrice teorico-metodologica nazista
degli anni 30.
Sono anni importantissimi per Höhn. Le sue pubblicazioni
hanno un grande successo e anche la scuola ne ha: formerà circa 600.000
dirigenti per 2.600 aziende. Gli studenti formati all'Akademie di Bad Harzburg
sono dirigenti, funzionari, inviati dai loro datori di lavoro, per poche
settimane o pochi mesi, per formarsi in management. Si tratta di una scuola di
formazione continua di altissimo livello, paragonabile alla sua controparte
francese, INSEAD (fondata nel 1957), o a qualsiasi scuola di business di
altissimo livello internazionale.
E, così, tutti insieme e allo stesso tempo, l’élite e i
protagonisti del “miracolo economico tedesco”, si ritrovano nei seminari di
Reinhard Höhn e dei suoi colleghi: Aldi, BMW, Hoechst, ma anche Bayer,
Telefunken, Esso, Krupp, Thyssen, Opel, per non parlare di Ford, Colgate,
Hewlett-Packard e persino la regina tedesca del sexy shop e del porno, Beate
Uhse International che, come altre 2.600 aziende, mandano i propri manager ad
ascoltare e seguire le eccellenti lezioni degli ex uomini delle SS. I tedeschi
vanno tutti a questa scuola ed è un tale successo – Höhn è un sostenitore della
tesi che l’amministrazione pubblica debba adeguarsi agli standard del privato –
che anche l’amministrazione pubblica manda lì a formarsi ai suoi dirigenti.
L’esercito manda lì i propri ufficiali. Sulla base di un tale enorme successo,
il metodo di management insegnato nella scuola diventa una sorta di marchio
registrato, che si chiama, come abbiamo anticipato, management per delega di
responsabilità.
6. Management per delega di responsabilità
All'Akademie di Bad Harzburg vengono insegnati i princìpi
del management per delega di responsabilità. Si tratta di una forma di
management 1/2021
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in cui i
protagonisti sono “liberi di obbedire”. L’individuo non sceglie gli obiettivi,
ma sceglie solo gli strumenti per perseguirli. La responsabilità dell’eventuale
fallimento è tutta individuale. Si tratta di un approccio che ha alcuni punti
di contatto a quello di Peter Drucker, ma è anche la risposta tedesca alle
teorie manageriali del francese Henri Fayol. Drucker, lo ricordiamo, è uno dei
padri del management moderno, e ha elaborato la teoria del management per
obiettivi, negli anni 1950 negli USA. Il messaggio del management per delega di
responsabilità è un messaggio culturale chiaro da dare ai cittadini: “Siete
liberi! E se fallite è colpa vostra!” L’approccio proposto da Höhn, con il suo
impenitente darwinismo sociale, trovava terreno fertile nel mondo del miracolo
economico (1950-1970), del miracolo economico tedesco in particolare, con le
nozioni di “crescita massima”, “produttività” e “concorrenza”, che avevano
precedentemente guidato l’inesorabile ricerca nazista di produzione e potere.
Höhn ha trasposto le tattiche di missione (Anftragstaktit)
nel business, con la sua gestione tramite delega, una gestione
antiautoritaria e quindi adatta alla nuova cultura democratica. I capi devono
assegnare un obiettivo e un tempo di realizzazione; quindi poi osservano,
controllano e valutano la risposta dei lavoratori. Il sistema
nazista diventa una sorta di co-management, utile anche a prevenire i conflitti
tra capi e dipendenti (concepiti come compagni-collaboratori), stroncando ogni
desiderio di contestazione sul nascere. I lavoratori di un’azienda sono uniti
dagli stessi legami organici dei membri di una comunità naturale. La gestione
tramite delega di responsabilità divenne, quindi, il nucleo centrale del metodo
manageriale insegnato a Bad Harzburg.
Il cosiddetto metodo di Bad Harzburg, che per
decenni è stato l’orgoglio della FRG (Federal Republic of Germany), in
particolare, sulla base di quanto ci dice Chapoutot, si può sintetizzare in
alcuni punti: delega di responsabilità, sistema di controllo, leadership non
autoritaria, darwinismo sociale. Per quanto riguarda la delega di
responsabilità, abbiamo già detto: il dipendente sceglie solo i mezzi non i
fini17. La delega è affiancata, comunque, da un sistema di controllo che si basa
sulla paura e sul dominio per la massimizzazione del profitto (il caso di ALDI,
di cui parleremo più avanti, ne è un chiaro esempio). La dinamica organizzativa
si basa su uno stile di leadership non autoritaria. Tuttavia, è bene ricordare
a questo proposito, che anche se Il funzionamento dell'organizzazione è pensato
per essere “non autoritario”, rimane completamente gerarchico, perché il
rapporto fondamentale resta quello tra il leader e l'esecutore. Il leader,
17 Cfr. J. CHAPOUTOT, Libres d’obéir,
cit. (vedi nota 1). CHARLIE BARNAO
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contrariamente
alle pratiche fino ad allora in vigore, non prescrive l'azione nei dettagli più
precisi della sua esecuzione. Si limita a “linee guida” in termini di
“obiettivi”. Il ruolo del leader è ordinare (un risultato, ad esempio), quindi
osservare, controllare e valutare. Il tutto avviene sullo sfondo della metafora
della guerra (parallelo con il mondo del business) che richiama, nei fatti, il
principio del darwinismo sociale.
Il metodo di Bad Harzburg, anche per quanto riguarda
l’idea di Stato, non fa altro che replicare, anche per la forma organizzativa,
le idee naziste rispetto allo Stato. Ricordiamo che i nazisti odiavano lo Stato
perché è una realtà “straniera” (importata dalla cultura di giudeo cristiani
rafforzati dal prestigio di luigi XIV) e imposta con le armi. Lo Stato è una
realtà aliena alla quale viene contrapposto il concetto di “libertà germanica”.
Lo Stato quindi è, inoltre, una realtà statica che si oppone al flusso e alla
“dinamica della vita e del sangue” ed è un ostacolo, fatto di norme che
bloccano la libera iniziativa, di funzionari che incarnano la norma e che
costituiscono la burocrazia. Ecco perché i nazisti odiano la burocrazia e i
dipendenti del servizio pubblico. Quindi bisogna sostituire lo Stato con
qualcosa che davvero rispetti le leggi della natura che sono: “rapidità”,
“aggressività”, “dinamicità”. Gli attori che hanno queste caratteristiche sono
delle società, delle organizzazioni, delle istituzioni che vengono definite per
un budget, per un progetto e per una missione. Queste società costituiscono uno
strumento rapido, flessibile, duttile. Questa forma organizzativa si sposa con
ciò che Höhn aveva già teorizzato intorno a agli anni 1930, e che era stato
messo in atto a partire dal 1933, polverizzando lo Stato, minandolo al suo
interno, attraverso la moltiplicazione delle agenzie e delle organizzazioni
poste sotto la bandiera del III Reich. Si tratta di agenzie e organizzazioni
che vengono costituite sulla base dei princìpi del management all’interno di un
generale processo di disgregazione dello Stato. Su tutti questi presupposti, i
princìpi insegnati a Bad Harzburg vanno applicati anche al settore pubblico in
una prospettiva anti-statale e pro-agenzie/istituzioni societarie. Il modello
di Höhn appare così, secondo Chapoutot, come un vero precursore del new
public management. Può essere interessante notare come – sebbene il new
public management (che si sviluppa a partire dagli anni 70) si sviluppi come una
componente strutturale, ontologica, del neoliberismo (il quale a sua volta
deriva da una matrice esplicitamente antinazista) – l’odio profondo dei nazisti
per lo Stato è incarnato dal pensiero di studiosi come Höhn già 40 anni prima
dell’avvento del new public management. 1/2021
356
Tuttavia, quando
all’improvviso il passato di Höhn viene a galla, la scuola di Bad Harzburg cade
in disgrazia. Il 9 dicembre 1971, il passato nazista del professor Höhn viene
alla ribalta in un devastante articolo su Vorwärts, storico quotidiano
socialdemocratico. Scoppia lo scandalo. Una lettera aperta viene inviata da
famosi scrittori, tra cui Siegfried Lenz, Erich Kästner e Günther Wallraf, al
Ministro della Difesa, Helmut Schmidt. Pochi mesi dopo, nel marzo 1972, il ministro
ha deciso: la collaborazione della Bundeswehr (forze armate) con l'Accademia di
Bad Harzburg è terminata. Da quel momento inizia il declino reputazionale. Nel
1989, infine, l'Accademia di Bad Harzburg, che soffriva notevolmente della
reputazione del suo leader, va in fallimento. Höhn continua comunque a
pubblicare fino al 1995. Quando muore, nel 2000, viene salutato dalla stampa
internazionale come un grande pensatore del management contemporaneo.
Tra i suoi tanti seguaci contemporanei, spicca il nome di
ALDI. ALDI (acronimo di ALbrecht-DIscount) è una multinazionale tedesca (con un
fatturato 45,5 miliardi, 40.000 dipendenti in Germania e 148.000 nel mondo)
attiva nel settore della grande distribuzione organizzata, ed è una delle
principali aziende del mondo nel suo settore. ALDI è un punto di riferimento
della società dei consumi tedesca sin dagli anni 1950 e vero inventore del
sistema dei discount. Il suo principale concorrente è Lidl. Nel 2012, un
dirigente della catena di vendita al dettaglio Aldi, Andreas Straub (2012),
pubblica un libro (“Aldi - Einfach billig: Ein ehemaliger Manager packt aus”)
sulla sua dolorosa esperienza come manager di un centro di distribuzione presso
l'azienda e descrive il mondo opprimente di costante controllo e minaccia di
Aldi. Aldi rivendica con orgoglio, sin dalle sue origini, il metodo di gestione
di Bad Harzburg, come specificato nel suo manuale gestionale.
La sezione M4, intitolata “Gestione dei dipendenti”,
specifica:
[il responsabile di settore] cercherà di sviluppare la
discussione con tutto il team applicando il modello di Harzburg. Questo modello
di gestione si caratterizza per il principio della delega, ovvero la
trasmissione di compiti e responsabilità a un dipendente, il quale accetta
quindi il monitoraggio critico e il controllo dal superiore gerarchico. […] Il
superiore gerarchico fissa obiettivi e scadenze individuali per ogni
dipendente. L'essenziale sta nella fissazione di "obiettivi", nella
prescrizione di "scadenze" per il completamento e nell'esercizio del
"controllo". CHARLIE BARNAO
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Così Andreas
Straub scrive nel suo libro e, dopo di lui, il settimanale tedesco Der Spiegel
che, il 30 aprile 2012, dedica un dossier a questa vicenda. In un’intervista alla
rivista, l'autore del libro afferma: “Il sistema vive di totale controllo e
paura. Tutto sembra a posto per garantire la ‘massimizzazione del profitto’”.
Straub continua sottolineando come “il monitoraggio delle attività e del loro
tempo di esecuzione è permanente, anche mediante telecamere che riprendono i
dipendenti”. Conclude dichiarando che “A causa dell’illegalità del processo,
Aldi preferisce inviare ‘finti clienti’ ai propri negozi per ‘acquisti di
prova’ che hanno lo scopo di valutare le prestazioni dei cassieri”18.
18 L’intera intervista è
consultabile all’indirizzo: https://www.spiegel.de/wirtschaft/
unternehmen/aldi-ex-manager-straub-berichtet-ueber-ueberwachung-und-kontrolle-a-
830922.html (ultima consultazione: 12 giugno 2021).
7. Conclusioni
Il lavoro di Chapoutot è estremamente interessante e per
certi versi illuminante. Innanzitutto è uno studio culturale approfondito ed è
utilissimo specie per chi utilizza un approccio culturalista negli studi
sociologici legati a fenomeni sociali contemporanei. Chapoutot, con la sua
storia culturale, infatti, contribuisce sia alla storia del management che ad
una linea più ampia e consolidata di teorizzazione critica sulla modernità. Il
pensiero manageriale dei nazisti, comunque, differisce da altre teorie emerse
nel contesto del capitalismo industriale del XX secolo.
Certo l’attenzione dei nazisti verso la produttività può
ovviamente fare eco alle idee di Frederick Taylor e Henry Ford. È stato
dimostrato, ad esempio, che i nazisti hanno adottato la critica antisemita di
Ford relativa agli sforzi economici produttivi (cioè orientati alla produzione)
rispetto a quelli parassitari (degli ebrei, orientati al lucro), e i loro
ingegneri hanno modellato il loro impianto Volkswagen sull’esempio di quello di
Ford River Rouge (Link 2012).
A livello teorico la “meccanicizzazione” dei lavoratori
da parte dei nazisti si basava meno sulla glorificazione dei macchinari e della
competenza tecnica e più sulle metafore organiche, per la verità non così ben
supportate da un punto di vista scientifico (qualcuno parla a questo riguardo
di “folklore dell’immaginazione”). I lavoratori nazisti non furono trasformati
artificialmente in forze produttive: la loro produttività veniva da un
imperativo biologico. Per Höhn la vita era un movimento governato 1/2021
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dalle leggi
deterministe del darwinismo sociale: doveva essere vissuta così sia nel campo
sociale che nel campo di battaglia. Il polo opposto di Höhn è forse Drucker,
per il quale la vita era definita dal suo significato (o dalla sua assenza) e
che pensava che il lavoro dovesse consentire ai lavoratori di realizzarsi
individualmente. Per Drucker, il management degli obiettivi non significava che
i lavoratori fossero “liberi di obbedire”, ma che dovevano partecipare
all’elaborazione degli obiettivi19.
19
N. GILMAN, N. LICHTENSTEIN, The prophet of post-Fordism: Peter Drucker and
the legitimation of the corporation, in N. LICHTENSTEIN (a cura di), American
capitalism: Social thought and political economy in the twentieth century,
University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 2006, 109-11.
Il mito dell’impermeabilità e dell’isolamento del nazismo è, appunto, un
mito. Il nazismo contamina ed è contaminato dalle culture all’interno delle
quali si manifesta e si sviluppa. Chapoutot ce lo dimostra combinandole tra
loro, e andando per certi versi oltre, le diverse scuole di pensiero, le
diverse culture (nazionali, transnazionali, storiche, ecc.) che hanno
contaminato il nazismo creando una miscela di antisemitismo, antistatalismo, e
pianificazione economica, tutti inseriti in una ben precisa matrice di
darwinismo sociale. E, soprattutto, Chapoutot ci mostra che il pensiero
manageriale di oggi è in parte una chiara ed inequivocabile eredità del
nazismo.
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