lunedì 5 giugno 2017

resistenza, resilienza

resistenza, resilienza


No, perché ero nato nell’era fascista, in un mondo fascista, e non mi accorgevo del fascismo, come un pesce non si accorge di trovarsi nell’acqua. Questo, quando ero bambino. Ma verso i quattordici-quindici anni smisi di leggere racconti d’avventura e di recitare le mie avemarie; diventai agnostico e incominciai a coltivare le prime ambizioni letterarie; mi diedi alla lettura dei primi autori seri, Dostoevskij e Shakespeare. Contemporaneamente si manifestò una frattura fra me e la società, ma il mio antifascismo era di carattere esclusivamente culturale. Non appena ebbi cominciato a leggere autori come Dostoevskij e Shakespeare, e poi poeti come Rimbaud e gli ermetici, esponenti di una cultura che il regime disapprovava e respingeva, mi sentii al di fuori della società (o fui io che cominciai inconsciamente a sfidarla). Fu la conseguenza dell’aver letto quei poeti. Come per i contadini e per il friulano, mi ci volle solo un momento per rendermi conto di essere all’opposizione. Inizialmente, la mia opposizione era qualcosa di ingenuo, si poneva solamente sul piano delle idee; pensavo che fosse giusto e normale discutere le cose e quando parlavo di qualche argomento letterario in pubblico, ai GUF o a qualcuna di quelle riunioni pseudoculturali che i fascisti organizzavano di tanto in tanto, discutevo apertamente e ingenuamente, senza nemmeno capire che era un atto di ribellione. Poi, man mano, me ne resi conto e passai dalla parte della Resistenza.


Pier Paolo Pasolini

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