5 di maggio 2018:
duecentesimo anniversario della nascita di Karl Marx. Da “Un dio
chiamato «Capitale»” di Massimo Cacciari, pubblicato sul settimanale
L’Espresso del 29 di aprile 2018: Tacete economisti e sociologi in
munere alieno. Marx non è affare vostro, o soltanto di quelli di voi che ne
comprendano la grandezza filosofica, anzi: teologico -filosofica. Marx sta tra
i pensatori che riflettono sul destino dell’Occidente, tra gli ultimi a osare
di affrontarne il senso della storia. In questo è paragonabile forse soltanto a
Nietzsche. Ma “Il Capitale”, si dirà? Non è l’ economia politica al centro
della sua opera? No; è la critica dell’economia politica. Che vuol dire? Che
l’Economico vale per Marx come figura dello Spirito , come espressione della
nuova potenza che lo incarna nel mondo contemporaneo. L’Economico è per Marx
ciò che sarà la Tecnica per Heidegger: l’energia che informa di sé ogni forma
di vita, che determina il Sistema complessivo delle relazioni sociali e
politiche, che fa nascere un nuovo tipo di uomo.
Nessuna struttura cui si aggiungerebbe una
sovra-struttura a mo’ di inessenziale complemento - l’Economico è immanente in
tutte le forme in cui l’agire e il pensare si determinano; ognuna di esse è
parte necessaria dell’intero. Marx è pensatore del Tutto, perfettamente fedele
in questo al suo maestro Hegel. Il Sistema è più delle parti, irriducibile alla
loro somma. Chi intende l’Economico come una struttura a sé, autonoma, che
determinerebbe meccanicisticamente le altre, non ha capito nulla di Marx. Marx
non è pensatore astratto, e cioè non astrae mai l’Economico dall’intero sistema
delle relazioni sociali, culturali, politiche. La sua domanda è: quale potenza
oggi governa l’Intero e come concretamente essa si esprime in ogni elemento
dell’Intero? L’Economico è infinitamente più che Economico. Esso rappresenta
nel contemporaneo la potenza che mette all’opera il mondo . Il mondo della
“morte di Dio”. Ogni opera deve essere valutata sul metro del lavoro produttivo
di ricchezza e ogni uomo messo al lavoro per questo fine. Non è concesso
“ozio”; nessuno può essere “lasciato in pace”. Il processo stesso di
specializzazione del lavoro viene compreso in questo grandioso processo: più
avanza la forma specialistica del lavoro, più l’Opera appare complessiva e
distende il proprio spirito sull’intero pianeta; più il lavoro appare diviso,
più in realtà esso funziona come un unico Sistema, dove ogni membro coopera, ne
sia o meno consapevole, al fine universale dell’accumulazione e riproduzione.
Fine che si realizza soltanto se al lavoro è posto prioritariamente il cervello
umano. La vera forza del lavoro sta infatti nell’intelligenza che scopre,
inventa, innova. La differenza tra teoretico e pratico si annulla nella potenza
del cervello sociale , Intelletto Agente dell’intero genere, che si articola in
lavori speciali soltanto per accrescere sempre più la propria universale
potenza. Per Marx è questo il “nuovo mondo” che il sistema di produzione
capitalistico crea, non certo dal nulla, ma certo sconvolgendo dalle radici
forme di vita e relazioni sociali, insomma: l’ethos dell’Occidente, la “sede”
in cui l’Occidente aveva fino ad allora abitato È il mondo dove il Logos della
forma-merce si incarna in ogni aspetto della vita, per diventarne la religione stessa. E Marx ne esalta l’impeto rivoluzionario. È questo impeto che per lui va seguito, al
suo interno è necessario collocarsi per comprenderne le
contraddizioni e prevederne scientificamente l’aporia, e cioè dove la strada
che esso ha aperto è destinata a interrompersi - per il salto a un altro mondo
. Qui bisogna intendere bene: la contraddizione non viene da fuori, da qualcosa
che sia “straniero” al Sistema. Contraddittorio in sé è il capitalismo stesso.
Il capitalismo è crisi, è fatto di crisi. Funziona per salti, che ogni volta
mettono inevitabilmente in discussione gli equilibri raggiunti. Non vi è
riproduzione senza innovazione. Questo è noto anche agli economisti. Ma Marx
aggiunge: il capitalismo è crisi perché si costituisce nella lotta tra soggetti
antagonisti. Il capitale è la lotta tra capitalisti e classe operaia. In quanto
forza-lavoro la classe operaia è elemento essenziale del capitale stesso - ma
quell’elemento che ha la possibilità di assumere coscienza di sé e lottare
contro la classe che detiene l’egemonia sull’intero processo, che lo governa
per il proprio profitto, metro del proprio stesso potere . È anche e
soprattutto in forza di questa intrinseca contraddizione che il capitalismo è
innovazione continua, produzione di merci sempre nuove e produzione del loro
stesso consumo (la produzione più importante, quest’ultima, dice Marx).
Tuttavia, ecco la metamorfosi: proprio diventando cosciente di questa sua
funzione la forza-lavoro si fa soggetto autonomo rispetto al capitale, autonomo
rispetto al carattere rivoluzionario di quest’ultimo. La lotta di classe di cui
parla Marx è lotta tra rivoluzionari. Vera guerra civile. Questa contraddizione
muove tutto. E ognuno è imbarcato in essa. L’idea di poterne giudicare
“dall’alto” costituisce per l’appunto quella ideologia, che Marx sottopone a
critica fin dalle prime opere. Se la realtà dell’epoca è contraddizione
inscindibilmente economica e politica, ogni interpretazione che la riduca a
fatti naturalisticamente analizzabili la mistifica. Non è possibile cogliere la
realtà del Sistema che collocandosi in esso, e dunque collocandosi nella
contraddizione. Soltanto in questa prospettiva l’Intero è afferrabile. Non si
comprende la realtà del presente se non in prospettiva e perciò a partire da un
punto di vista determinato. Impossibile oggi un sapere astrattamente neutrale.
La pretesa all’avalutatività è falsamente scientifica; l’epoca costringe a
prender-parte, all’aut-aut. A porsi in gioco, alla scommessa anche. Il momento,
o il kairòs , della decisione politica viene cosi a far parte della stessa
potenza dell’Economico, resta immanente in essa. È l’ideologia propria del
pensiero liberale, per Marx, che cerca di convincere a una visione
de-politicizzante dell’Economico, a separare Economico e Politico, conferendo
appunto all’Economico l’aspetto di un sistema naturale di relazioni. Poiché
concepisce la storia dell’Occidente come conflitto, e conflitto determinato dal
suo carattere di classe, e poiché intende il presente alla luce dell’intrinseca
contraddittorietà della stessa potenza rivoluzionaria del Sistema
tecnico-economico, Marx pensa di aver posto saldamente sui piedi il pensiero
dialettico dell’idealismo. Le epoche della Fenomenologia hegeliana dello
Spirito non trovano conclusione in un Sapere assoluto che tutte accoglie e
accorda, in una suprema Conciliazione, ma nella insuperabile contraddizione tra
la potenza universale del Lavoro produttivo divenuto cosciente di sé e la sua
appropriazione capitalistica. Si tratta di ben altro che di calcoli su valore e
plusvalore. L’analisi del meccanismo dello sfruttamento, tanto bombardata dagli
economisti e da filosofi dilettanti, sarà pure la parte caduca della grande
opera di Marx. Ciò che conta in essa è la questione: il prodotto di questa umanità
al lavoro (e questo significa “classe operaia”, altro che semplice
“operaismo”!), di questo cervello sociale che inventa e innova, appartiene a
chi? Come se ne determina la distribuzione? Chi la comanda? Può la sua potenza
rinunciare a esigere potere ? E se essa funziona riducendo sempre più il lavoro
necessario per unità di prodotto o di prestazione, non si dovrebbe pensare
nella prospettiva di una liberazione tout-court da ogni forma di lavoro
comandato ? Il comunismo risponde per Marx a queste domande. È l’idea della
suprema conciliazione del soggetto col suo prodotto; il compito di superare
nella prassi ogni estraneità. Comunismo significa la stessa “missione
dell’uomo”. In questo senso, il capitalismo opera per il suo stesso
superamento, poiché il suo sistema si fonda su quel cervello sociale-classe
operaia che per “natura” è destinato a non sottostare ad alcun comando. Che
deve diventare libero . Il comunismo è il Sistema della libertà. Marx sembra
non avvedersi che tale “risoluzione” dell’aporia del capitalismo riproduce
esattamente la conclusione della Fenomenologia hegeliana e, forse ancor più,
del Sistema della scienza di Fichte. Ed è l’idea di un potere assoluto sulla
natura, in cui la “comunità degli Io” sottopone al proprio dominio tutto ciò che
le appaia “privo di ragione”. La quintessenziale volontà di potenza dell’uomo
europeo ispira perciò in tutto anche Marx e la sua violenza rivoluzionaria.
Marx appartiene all’Europa “rivoluzione permanente”, all’Europa “leone
affamato” (Hegel). Il suicidio di questa Europa lungo il tragico Novecento
spiega lo spegnersi dell’energia politica scaturita dal marxismo assai più di quelle
colossali trasformazioni sociali e economiche che hanno segnato il declino del
soggetto “classe operaia”.
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