martedì 17 dicembre 2024

Don Paolo - 04

 

GIOCHI DELL’INFANZIA

Non avevamo molti giocattoli ma ci divertivamo ugualmente. Alcuni li costruivamo noi stessi. Avevo costruito un monopattino prendendo le rotelle da residuati bellici e ne andavo orgoglioso. Anche mio fratello Maurizio ne aveva costruito uno. Facevamo a gara a chi era più veloce.

Un altro gioco era correre spingendo con un rampino un grande cerchio di bótte: faceva un rumore terribile ma anche questo mi divertiva. Il cane giocava con me passando dentro il cerchio mentre si correva.

Non mancava neppure qualche gioco pericoloso. A papà, gli operai che facevano manutenzione sulla linea telefonica della ferrovia avevano regalato, in cambio di un fiasco di vino, un vecchio palo che avevano sostituito con uno nuovo. Papà lo aveva utilizzato come perno di un pagliaio. Alla base era rimasto uno strato di paglia di poco più di un metro. Alla sommità del palo di circa 5 metri erano rimaste ancora le staffe degli isolatori dei cavi telefonici. Mi venne l’idea di tuffarmi dalla sommità del palo sulla paglia. Mi arrampicavo senza difficoltà, mi mettevo in piedi sulle due staffe e mi lanciavo sulla paglia. Il gioco mi divertiva un mondo e lo ripetevo in continuazione senza riposarmi. Ma, forse per la stanchezza, feci un lancio senza distaccarmi troppo dal palo. Una staffa s’infilò nei calzoncini e rimasi penzoloni con la testa all’in giù. Non sapevo come uscirne fuori, feci qualche movimento, si strapparono i calzoncini e caddi con la testa in giù sulla paglia. Fortunatamente non mi feci male, neppure un graffio, ma decisi di abbandonare quel divertimento.

A SCUOLA appena passata la guerra

Appena passata la guerra i genitori mi iscrissero alla scuola che si trovava presso la vigna Maggiori sulla via di Cori in contrata Casale. In seguito l’amministrazione comunale costruì un edificio scolastico a pochi metri di distanza da questa vigna: la scuola di Casale. Non ho ricordi particolari sulla didattica ma una cosa mi è rimasta impressa nella memoria: a pochi metri dalla scuola al margine della via di Cori vi era la carcassa di un carro armato bruciato, non ricordo se tedesco o americano che attirava l’attenzione di noi ragazzi. Ma i più grandi si divertivano con giochi pericolosi giocando con residuati bellici. Scaricavano la polvere dalle cartucce del mitra o di mitragliatrice e tracciavano un percorso per terra, poi davano fuoco e si vedeva il fuoco camminare velocemente nel percorso tracciato. Altro divertimento pericoloso era quello di far esplodere la capsula d’innesco della cartuccia vuota con la punta della pallottola: si inseriva in una canna spaccata il bossolo svuotato della polvere, la punta della pallottola si metteva sotto la capsula, si legava il tutto, si lanciava in aria, ricadendo a terra la punta del proiettile percuoteva la capsula che esplodeva. I miei genitori erano preoccupati per questa situazione e ne parlarono con i datori di lavoro sor Valentino Angeloni e la moglie sora Paolina, che avevano una figlia, Giuliana, che andava a scuola a Velletri dalle Suore Pallottine.     

COLLE CALDARA

Ricordo qui, la tragedia di Colle Caldara, una località che si trova sulla via dei Laghi, poco più su di dove ora si trova Raffaele. Il fatto è accaduto dopo circa otto anni dal passaggio della guerra. Io ero già in Seminario e frequentavo Era il 30 marzo 1952, Domenica delle Palme verso le ore 10. Ricordo di aver udito lo schianto di una forte esplosione che fece vibrare i vetri delle nostre finestre. Subito dopo si seppe che erano morti dieci bambini per lo scoppio di una mina anticarro. Dalla ricostruzione dei fatti, si seppe che questi bambini aveva trovato una mina anticarro e si erano messi in cerchio intorno ad essa per aprirla percuotendola con un sasso. Forse pensavano di svuotarla della polvere e venderla come ferro vecchio per ricavare qualche soldino. L’esplosione è stata violentissima e ha dilaniato i corpi dei bambini mandandoli in frantumi. L’autista della corriera, che passava in quel momento nella via dei Laghi sottostante, racconta che ha visto pezzi di corpi umani volare in aria. Circa un mese dopo, noi seminaristi siamo andati a vedere il luogo della tragedia. C’erano ancora piccoli frammenti di carne umana attaccata ai tronchi dei castagni circostanti, e il calore del sole ne scioglieva il grasso.

 

A SCUOLA DALLE SUORE PALLOTTINE

Riprendo il discorso sulla scuola. Siamo nell’anno 1945. Come detto sopra ero stato iscritto alla scuola di Casale, ma i miei genitori erano preoccupati per i rischi che correvo, sapendo che c’erano alcuni ragazzi che giocavano con residuati bellici. Alla fine si lasciarono convincere dai loro datori di lavoro di mandarmi a scuola dalle suore Pallottine e si misero d’accordo che sarei stato accompagnato dalla loro figlia Giuliana che frequentava la classe 5a  elementare.

All’inizio mi lasciai accompagnare, ma dopo una ventina di giorni, avendo imparata la strada, andai da solo. Percorrevo tre Km per andare e altrettanti per tornare la sera portando in una mano “la cartella” con il sussidiario e i quaderni, ma questa cartella non era di cartone come avevano gli altri bambini, ma d’acciaio. La forma assomigliava ad una cartella, ma era il contenitore delle cartucce della mitraglia americana. Certamente era resistente, ma anche molto pesante.

Nell’altra mano tenevo il portavivande per il pranzo. Era ben fatto: aveva tre contenitori, uno sull’altro inseriti ai lati a due staffe, fissate al manico. Non so in quale negozio o mercato mia madre era riuscita a trovarlo. Nessuno dei miei compagni ne aveva uno simile. Mi portavo il pranzo perché la scuola continuava anche nel pomeriggio e terminava alle ore 16. Terminata la scuola, riprendevo cartella e portavivande, ora più leggera, e senza nessun problema facevo i tre chilometri di strada per tornare a casa. Così per i cinque anni delle elementari, dal 1945 al 1950. Quando facevo la quarta elementare anche mio fratello Maurizio iniziò a frequentare la stessa scuola, allora si andava insieme.

            A scuola dalle Suore Pallottine mi son trovato bene. Le maestre erano suore, molto esigenti secondo i criteri pedagogici dell’epoca, che non si limitavano soltanto a dare la cultura e la buona educazione, ma trasmettevano anche la formazione cristiana. In particolare desidero ricordare una suora, Suor Edvige Baldassarre, che ho avuto come maestra in terza elementare. Era di una bontà unica e lasciava trasparire la sua profonda spiritualità che esercitava su di me un fascino particolare. Suor Eugenia Potentini, esigente, ma buona di animo, mia insegnante in quarta e quinta elementare, che aveva già percepito in me una sensibilità speciale nel campo religioso. Ricordo che quando si faceva il compito in classe di matematica, materia in cui all’epoca ero molto bravo, mi ritirava il foglio e per non farmi suggerire agli altri, mi mandava nella vicina cappella a far compagnia a Gesù. Furono le mie prime esperienze di preghiera personale. Nelle altre materie me la cavavo bene, ma in italiano stentavo a raggiungere la sufficienza, come si può vedere dalla foto della pagella che riporto.

Intanto in me maturava sempre più l’idea di diventare sacerdote, tanto che i miei compagni se ne erano accorti e per offendermi (così pensavano loro) mi dicevano: “prete…  prete.”.

Le suore mi fecero parlare con il Parroco di San Salvatore, D. Quinto Ciardi, che s’interessò per farmi entrare in seminario e pensò di indirizzarmi al seminario del Divino Amore, fondato da Don Umberto Terenzi, oggi Servo di Dio, suo compagno di seminario a Roma. La ragione principale era che al seminario diocesano si pagava una retta che i miei genitori non potevano sostenere, mentre al Divino Amore era gratis.

Finita la quinta elementare, dovetti sostenere l’esame di ammissione alla scuola media che superai senza difficoltà. All’epoca era necessario questo esame per essere ammessi alla scuola media e proseguire per gli studi superiori; gli altri, se volevano continuare, si iscrivevano all’avviamento professionale.

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