martedì 17 dicembre 2024

Don Paolo - 05

 

LA CITTÀ DEI RAGAZZI

La domenica andavo alla Messa delle nove a S. Clemente, all’epoca mia parrocchia di appartenenza, facendo la scorciatoia, seguendo il sentiero lungo la ferrovia che collegava Velletri alla stazione di Segni in località Colleferro.

Mi ero iscritto, insieme a mio fratello Maurizio, alla “Città dei Ragazzi” animata in modo eccellente da D. Pietro Barsi, sotto la direzione del Parroco Mons. Giuseppe Centra. Ogni domenica alle nove la chiesa di S. Clemente era gremita da centinaia di ragazzi che provenivano, per lo più dalla campagna, facendo a piedi cinque o sei chilometri senza la compagnia dei genitori. A quei tempi camminare a piedi da soli, anche per lunghe distanze non era un problema, ci si era abituati.     Ricevetti la Cresima per le mani del Card. Clemente Micara domenica 6 aprile 1947 e feci la Prima Comunione sabato 19 aprile 1947. La mia prima foto fu scattata dal mio Padrino di Cresima Pietro Frattali.

In chiesa c’era sempre la possibilità di confessarsi e io ne approfittavo spesso. Dopo la messa veniva distribuita ai ragazzi una pagnottella con mortadella o salame. Erano gli aiuti della POA (Pontificia Opera Assistenza) del dopo guerra.

Avevamo una tesserina dove veniva messo un timbro di presenza e ci veniva assegnato un biglietto che imitava la carta monet moneta con valori numerati chiamati talenti da spendere per acquisti all’interno dell’associazione, ma qualche commerciante, stava al gioco e potevamo acquistare qualche caramella nel suo negozio pagandola in talenti. Dopo la messa, divisi per gruppi, seguivamo il catechismo. Praticamente tutta la mattinata della domenica la passavamo in parrocchia. Da notare che a quei tempi i genitori non venivano ad accompagnarci né a scuola, né in chiesa. Erano sufficienti le loro raccomandazioni soprattutto di non toccare le bombe (residuati bellici che ancora si potevano trovare).

In una di queste domeniche, dopo aver fatto la comunione alla balaustra, tornai al mio posto e mi misi a fare il mio ringraziamento. In questo raccoglimento avvertii nel mio intimo una voce che mi diceva che sarei diventato sacerdote. Mi ricordo che stavo verso la metà della fila destra dei banchi. L’evento è rimasto impresso in modo vivo nella memoria fino ad oggi. Il Signore si era fatto sentire in modo chiaro.

TU AL “DIVIN AMORE” NON CI ANDRAI !

Superato l’esame di ammissione, dietro indicazione di d. Quinto Ciardi, Parroco di San Salvatore, incominciai a fare i documenti per andare in seminario al Divin Amore. Andai a S. Clemente per fare il certificato di Cresima.       

Trovai il parroco Don Giuseppe Centra che mi chiese:                                                                                                              - a che ti serve questo certificato ?     - Monsignore, devo andare in seminario  al Divin Amore.                     - Perché non vieni qui al seminario diocesano?                                              -  Qui si paga la retta e i miei sono poveri e non possono pagarla.                                                                                                                    -Tu al Divin Amore non ci andrai.

Fu la risposta decisa e categorica del parroco. D. Giuseppe con un gruppo di “pie donne” della Parrocchia fondarono una associazione (OVE) Opera Vocazioni Ecclesiastiche, che aveva lo scopo di pregare per le vocazioni e di raccogliere una quota da persone che avevano accettato la proposta di dare un’offerta mensile per pagare la retta ai seminaristi poveri. Una piccola parte della retta rimase a carico della famiglia. Anche D. Gino Orlandi che doveva andare in un istituto religioso, fu fermato da D. Giuseppe e indirizzato come me al seminario Diocesano di Velletri.

La Provvidenza ha fatto sì che fossi proprio io ad assistere spiritualmente D. Giuseppe nella sua malattia fino al momento della sua morte.

IN SEMINARIO

Nell’ottobre del 1950 entrai in seminario a Velletri. Feci le scale a due a due per la Nell’ottobre del 1950 entrai in seminario aVelletri. Feci le scale a due a due per la contentezza. Ormai, nella mia ingenuità, mi sentivo già prete !?!?!?

Mi accolse con molta gentilezza il rettore del Seminario Mons. Giuseppe Marafini, che nell’anno 1964 fu nominato Vescovo di Veroli e Frosinone.

Gli altri superiori erano: D. Giuseppe Marchetti, vice rettore, D. Anastasio Pica economo, D. Mario Sansoni e P. Vitale cappuccino, come padre spirituale. Nel 1953 vennero a fare da prefetti due sacerdoti novelli: D. Ottaviano Maurizi e d. Massimo Coluzzi.

Un altro sacerdote che mi ha edificato è stato Mons. Ettore Moresi, all’epoca vicario generale. Figura di sacerdote integerrimo. Era stimato e temuto da tutti i velletrani. All’epoca c’erano le rendite dei terreni della chiesa. In genere ai contadini spettavano 4/5 delle rendite, alla chiesa 1/5. A proposito di questo, un contadino mi disse:

“Moresi era preciso come la bilancia del farmacista”.

Nel periodo della guerra era parroco di S. Clemente. Con abnegazione e generosità è rimasto sul campo per assistere la povera gente. 

Quando mi conobbe e gli parlai della mia famiglia s’illuminò nel volto e mi confidò che sua madre era Picca Annunziata, cugina di mio nonno paterno Salvatore. Quando era diventato molto vecchio e io ero ai primi anni di teologia, si rammaricava con me perché ormai la sua vita era al termine e non mi avrebbe visto sacerdote. Infatti morì nel 1960 all’età di 87 anni.


LA CITTA' DEI RAGAZZI

Devo dire che tutti i superiori erano abbastanza esigenti, secondo lo stile educativo dell’epoca, ma questa disciplina non mi creava problemi. Le punizioni consistevano nel “mettere in silenzio”. Chi aveva questa punizione, durante la ricreazione, doveva stare in un angolo e non poteva né parlare e né giocare.            Eravamo divisi in tre camerate: i piccoli, i mezzani e i grandi. C’era la proibizione di parlare e fare amicizia tra gli appartenenti ad una camerata e l’altra, per evitare di fare “amicizie articolari”. All’epoca non riuscivo a capire il motivo di queste regole, ma a me non creava nessun difficoltà.

Ci consegnarono il libretto della regola e del “galateo”, che ci veniva spiegato punto per punto ogni settimana.

La vita della giornata veniva scandita dalla campanella: cerco di ricostruire, per quanto posso ricordare, l’orario della giornata.

Ore 6  Levata e pulizia personale

6,20 Si scendeva nel cortile interno per fare ginnastica. Corsa intorno al     campo ed esercizi vari per sciogliere i muscoli.

Questo anche d’inverno quando il freddo  si faceva sentire in tutta la sua portata.

6.40 In cappella per la meditazione

7.00 s. Messa

8    Colazione

8,30-12,30 Scuola con un intervallo per la ricreazione

13 Pranzo

I superiori avevano un tavolo distinto, ma mangiavano con noi.  Nella  prima parte del pranzo e della cena, a turno si leggeva un buon libro, poi il rettore  o chi per lui, suonava il campanello e si      poteva parlare.

Anche quando veniva il Card. Clemente Micara, mangiava con noi. 

Dopo il pranzo ricreazione nei tre cortili.

15  Un’ora di scuola

16–17 Si usciva per la passeggiata 

17,10 Studio

19,30 Rosario in cappella

20 cena e a seguire ricreazione nelle camerate (Ping-pong e altri giochi da tavolo).

21 In cappella per l’esame di coscienza

21.15 Riposo nel più rigoroso silenzio.

Il giovedì non c’era scuola e spesso andavamo al campo sportivo comunale, gentilmente concesso, per fare una partita a pallone. Giocavo in difesa, ma non sono mai stato un grande giocatore.

LA PRIMA DELUSIONE

Ma ecco che arriva la prima delusione: mi accorsi che alcuni erano entrati in seminario solo per studiare. Nella mia ingenuità pensavo che chi entra in seminario è già quasi prete.

In prima media eravamo una ventina circa. Dal Seminario minore di Velletri, siamo arrivati al primo liceo classico in due: d. Gino ed io. Nel seminario maggiore di Anagni che accoglieva i seminaristi delle Diocesi del Lazio Sud in primo liceo eravamo 28, di quei 28 siamo arrivati ad essere sacerdoti 8, qualcuno, purtroppo, è già morto...   

LA FORMAZIONE IN SEMINARIO

Nel Venerabile Seminario Vescovile di Velletri, questo era il titolo ufficiale del Seminario minore, mi sono trovato molto bene. Si studiava con impegno e ci si esercitava a crescere nella virtù con l’aiuto del P. Spirituale. In ogni trimestre, veniva esposto nella sala delle udienze un “albo di onore” che riportava i nomi dei migliori della classe per rendimento scolastico. Ho avuto la gioia di vedere il mio nome scritto in quell’albo più di qualche volta.

          Il Seminario era un luogo protetto dove i vizi e le cattive abitudini venivano stroncati sul nascere e si poteva crescere nella virtù con maggiore facilità. Il Signore può chiamare ad ogni età, ma quando

le cattive abitudini hanno messo le radici, si fa più fatica per estirparle.

Capita qualche volta di vedere sui polsi di preti e di suore tatuaggi che sono una evidente stonatura con la missione che svolgono. Sono tracce di scelte precedenti che hanno lasciato il segno. Per la vita morale può avvenire qualcosa di simile.

        Sia ben chiaro, non critico le vocazioni adulte, magari ce ne fossero, ma mi dispiace vedere che i seminari minori non siano più presi in considerazione e siano quasi scomparsi.

Quando ero in seminario non conoscevo neppure l’esistenza di certi vizi e di certe perversioni, di cui oggi si parla tanto e che riempiono le pagine dei giornali e sono oggetto di continui dibattiti televisivi. La formazione alla virtù va iniziata subito, fin dall’infanzia, dopo potrebbe essere troppo tardi.

         Ogni anno, nei primi tre giorni della settimana santa si facevano per tutti gli esercizi spirituali. Si osservava il silenzio assoluto secondo il metodo ignaziano. Non c’era il momento della cosiddetta “condivisione”, oggi tanto di moda. In quei giorni si parlava solo con il Signore, con il predicatore e con il Padre Spirituale. Il predicatore veniva da fuori.

     Indossavamo la veste talare con la cotta solo per il servizio liturgico, per stare in coro e per le processioni. Fino al 5° ginnasio indossavamo la divisa quando si usciva. Era un vestito blu, pantaloni e giacca, camicia bianca e cravatta blu, come cappello un basco blu.

La vestizione con la talare da portare in permanenza l’ho fatta con d. Gino, quando entrai nel Pontificio Collegio di Anagni. Ricordo bene la data: Era il 7 ottobre 1955, festa della Madonna del Rosario.

AL SEMINARIO MAGGIORE DI ANAGNI

Superato l’esame statale di riparazione del 5° ginnasio, venerdì 30 settembre 1955, sotto una pioggia battente prendo la corriera per andare ad Anagni accompagnato del Rettore, Mons. Marafini. Eugenio Gabrielli è venuto ad aspettarci al cancello del Collegio Leoniano e ci aiuta a portare i bagagli. Entrato nell’atrio, mi sento accolto da Gesù rappresentato da una grande statua. Mons. Marafini mi saluta e riparte prima del pranzo.                           Dopo pranzo arriva anche Gino Orlandi, accompagnato con la macchina dallo zio. Dopo cena, con fisarmonica, canti e discorsi si fa festa per l’accoglienza dei nuovi arrivati. Venerdì 7 ottobre, Orlandi ed io, gli unici che non avevano fatta la vestizione nel Seminario minore, nella Messa del mattino indossammo la veste talare, da portare per sempre. Al Leoniano sono rimasto per otto anni. Lì ho fatto il liceo classico, un anno di filosofia e quattro anni di teologia. Avendo riportato nei quattro anni di teologia la media dell’otto ho conseguito il titolo di Baccelliere in Teologia. Come già ho ricordato, al primo anno di liceo eravamo 28 ragazzi, ma lungo il corso degli anni vedevo che molti uscivano dal seminario per propria iniziativa o per consiglio dei superiori

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