Tiziano Scarpa
mercoledì 28 dicembre 2016
Se frale in tutto e vile
Canti:
"Natura umana, or come
Se frale in tutto e vile,
Se polve ed ombra sei, tant’alto senti?"
Come è possibile, in questa condizione di finitudine,
di fragilità, in questa esposizione al declino, al vuoto,
il sentire alto?
Giacomo Leopardi
"Natura umana, or come
Se frale in tutto e vile,
Se polve ed ombra sei, tant’alto senti?"
Come è possibile, in questa condizione di finitudine,
di fragilità, in questa esposizione al declino, al vuoto,
il sentire alto?
Giacomo Leopardi
Zibaldone, 7 Giugno 1820
Zibaldone, 7 Giugno 1820
[...]
"la nostra rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo l’intiero e l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura".
Giacomo Leopardi
[...]
"la nostra rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo l’intiero e l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura".
Giacomo Leopardi
VAR & ROE
Il guizzo di un’idea, che cerco di
ingabbiare – aspetta non fuggire, lasciami qualche brandello – via di corsa
sulla tastiera – notepad e picchiettio confuso e veloce per fermare i
frammenti, scritti male, senza una corretta ortografia. Serviranno da schema
per qualcosa che non si può incasellare:
racconto dul nonno / la caccia / rurare / contadino contrada via / poca conoscenza i suoi occhi /
mio nonno costruì la sua casa con i sassi / la relatrice
di sinistra, giornalista / mostra la grammitica, la non grammatica di pisolini
/ passione / mostra pasolino come un babino / la banalita del male / l'articolo
per repubblica / trno in ufficio / il var il roe / che palle / telefonata
Mi piace che rurale sia diventato rurare. E’
divertente che Pasolini sia diventato pisolini/pasolino, ha conservato la sua natura di babino, scusate volevo di bambino.
VAR & ROE (luciopicca)
Value at Risk &
Return on Equity
Non tutto è valutabile, menomale che
esistono i rischi.
Il ritorno non è mai equo – corre sopra, sotto le righe –
Prova a prenderlo?
Mi alzo, la
sveglia: drin, drin, drin.
Non fa proprio
così.
È un suono
elettronico, è una radio sveglia nera a led rossi, bello il colore rosso!
Mi ronzano frammenti
di idee, parole, stati d’animo.
Come’è il mio
animo?
Il nonno, mio nonno
lo chiamavano Adolfo. Il suo vero nome era Dante.
Era del 1905, nato
nel mese di gennaio, nella vigna, voglio
dire in campagna, sui colli albani, nei Castelli Romani. Era un bacciante
agricolo, possedeva un ettaro di terra e la vigna.
Coltivava, tra le
altre cose, le viti, amava il vino.
Varie qualità di
uva – moscato, bellone, malvasia – In un angolo della vigna aveva quattro viti
di greco, per lui il greco era un frutto, era una qualità d’uva oltre ad essere
una lingua.
Sapeva appena leggere
e non scriveva mai, qualche firma.
Lavorava come
bracciante e poi si ritirava nel suo vigneto, lo accarezzava con la zappa, con
la vanga. Grattava il vialetto che divideva la vigna, gli toglieva le erbacce,
diceva – bello il rasaletto , così lo
chiamava nel suo dialetto.
Devo comprare del
solfato di rame, contro i parassiti della vigna.
Per lui i parassiti
si tenevano a bada con il solfato di rame.
Era il suo mondo, fatto di terra, uva, piante, attrezzi agricoli e stagioni. La
sua vita era scandagliata dalle stagioni, il lavoro aveva il ritmo agricolo.
Iniziava all’alba e finiva al tramonto. Coltivava, faceva crescere. Il sudore
sulla maglia, mentre vangava. Non usava il “motore”, non gli piacevano i
trattori, mi diceva – fanno rumore –
l’uva si spaventa, non mi concede il suo nettere migliore , lo trattiene perché
ha paura, la vigna non vuole rumore, vuole sussurri, carezze, qualche graffio
leggero, fatto solamente dal suo contadino, non da altri. La terra è madre, è
donna, ci vuole dedizione, abnegazione. Meglio la mia vanga, la mia zappa, il
mio sguardo – guarda c’è questo acino che soffre, non è integro hai dei
puntini, non è come gli altri ha delle difficoltà. Guardalo è diverso, è in
difficoltà. Ebbene, lo aiuteremo, è in
grado di trattenere più zucchero.
Trasformerà per noi
il sole in bevanda afrodisiaca.
Non è vero, è una
falsità. Lui diceva – Dobbiamo toglierlo!
Mi piace pensarla
diversamente.
Del trattore era
vero, non amava il rumore. Voleva sentire i suoi animali, il cane, il gatto, i
suoi conigli, le galline.
Mi diceva vieni che
facciamo un gioco.
Costruiva lui i
giocattoli, con il legno, le bacchette degli ombrelli vecchi. Con un ramo,
dritto, di sambuco mi costruiva la cerbottana, ero contento. Nella mia casa non
esistevano questi giocattoli, i miei amici non aveveno giocattoli simili , nei
negozi non li vendevano. Erano solo per me, costruiti su misura per me da mio nonno.
Grazie nonno!
Amava la caccia.
L’unico rumore che
accettava era il –bum, del fucile.
Preparava lui stesso
le munizioni, le cartuccie.
Faceva del male,
uccideva degli uccellini. Il dolore era presente, annientava delle vite. Era inserito
nel suo contesto di contadino. Viveva non solo sulla ma anche nella terra.
Seguiva il suo ritmo, era predato e
predava.
Il signor Bacchini
Tortore dava lavoro a mio nonno, lo sfruttava lo predava.
Cosa dire, ero un
bambino di cinque anni, seguivo la sua mole. Mi faceva usare una piccola zappa
– vai togli quell’erbaccia – mi
diceva.
Ricordo i suoi
occhi, celesti, profondi, erano finestre immense aperte su un mondo che non
conoscevo, erano salti, piegamenti. Nonno mi sono fatto la pipì adosso, la
mamma mi sgrida adesso. Non preoccuparti , vieni andiamo nel tinello a cambiare
i calzoncini.
Perché mi alzo il
mattino con questi pensieri, questa voglia di scriverli, perché?
Qual è il motivo?
Mi telefona
Ombretta, un’amica di famiglia.
Ciao, come stai?
Stavi dormendo?
No, sto scrivendo.
-Arriva Cristina,
sua figlia di cinque anni e dice – mamma
le ciliegie sono mature!
Salto carpiato, la
telefonata mi ha spezzato il pensiero.
Ricade, malconcio
sulle mie dita, si, perchè i pensieri prendono corpo sulle mie dita.
Tic, tic, tic, tic.. non c’è il tac.
E’ un ticchettio,
della tastiera: I pensieri sono digitazione
continua su quadrettini di plastica, all’interno di un rettangolo grigio.
Che bello!
Sul mio monitor
appaiono le lettere e le parole, con qualche errore ortografico, digito troppo
veloce e tralascio le lettere o le aggiungo, creo delle nuove parole, un’altra
ortografia. Mi verebbe la voglia di non correggerle, lasciarle lì, come
l’acino malato.
Ho perso il filo,
la telefonata ha spezzato l’incanto.
Mi riapprorpio
delle dita, dei muscoli delle mani e via ridecollo sopra , dentro, nel mio
pensiero: sempre imprendibile: - il mio pensiero cammina un passo avanti a me –
Vieni qui! Per favore.
La relatrice di
sinistra, la giornalista.
Non ricordo il suo
nome, mi sfugge. Mi ero iscritto ad un corso sulla grammatica filmica di Pier
Paolo Pasolini. Una ragazza, simpatica, viva, vivace, decantava i films del
bolognese: La ricotta, Accattone, Il
vangelo secondo Matteo, Il decameron, Teorema, ecc, ecc...
Salò o le 120 giornate di Sodoma, mi rimase impresso. Fu un graffio sulla mia pelle.
La banilità del
male – questo era l’argomento -.
Assuefazione, parla proprio
dell’assuefazione. L’uomo si abitua, si abitua a tutto.
Non vede l’enorme
capacità che ha di distruggere, non dico decostruire ma distruggere.
Distruggiamo la capacità
d’amare, non siamo più in grado, ci ubriachiamo di bisogni, di successi. Le
nostre identità diventano potere che si scontra con altro potere, non multicultura.
Ci vorrebbero sinergie di identità.
Pasolini era sgrammaticato. I suoi films, volutamente,
non rispettavano le regole filmiche – era un iconoclasta dell’immagine.
Pasolini percepì
la solitudine, che oggi viviamo.
Non lo seguo fino
in fondo, preferisco Italo Calvino.
Torno alla mie
dita, ai miei ricordi, ai pensieri. La relatrice parlava, spiegava, mostrava
spezzoni di films. I suoi occhi parlavano, erano
finestre immense aperte sul mondo.
C’era passione
vera, mischiava il suo sangue alle parole, i suoi muscoli mostravano
direttamente Pasolini, il video era un
accessorio. Gli spezzoni dei film si potevano vedere nelle pieghe del suo viso,
nell’inclinazione dello sguardo, sotto la sua pelle.
Ti trasportava, ti
coinvolgeva nel suo viaggio, andavi in apnea.
Uhh! Che
immersione!
La relatrice, coltivava Pasolini, come mio nonno la
vigna.
Il giorno dopo vado
in ufficio, sul mio desk dei report sul VAR (Value at Risk), delle analisi sul
ROE (Return of Equity).
Il mio capo che
dice: - Lucio devi praparare qualche slide
per il meeting con le banche sudafricane. Vai e raccontagli due cazzate, poi
gli offri un aperitivo e ti congedi.
Che palle!
Vado a prendermi un
caffè e inizio a lavorare.
luciopicca
Passo, scalvalco, avvinghio il bordo
Francis Bacon – Study from
the human body 1973-74
Passo, scalvalco, avvinghio il bordo
Seguendo il perimetro, a me sconosciuto.
Il muscolo è utile, nell’inutile scivolio
Ci vorrebbe, sistemerebbe …
Passo, scalvalco, avvinghio il bordo
Appeso all’interruttore di un motore, a me sconosciuto
Accendo, ne accendo…
Brusio di fondo, lampi controllati
Riflesso verde, porpora…
Confuso nelle linee, mantengo le curve
Mie curve, credo…
Appeso all’interruttore di un motore, non vorrei conoscere
Spengo, cerco di spegnere
Legato al brusio, schiavo
Scivolo, ne scivolo
Passo, scalvalco, avvinghio il bordo
luciopicca
Zora
Zora by Matt Kish
Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città: obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l'ha dimenticata.
domenica 25 dicembre 2016
Bicicletta
Bicicletta
Ho intenzione di fare un giro nella nebbia,
ma questa mattina c'è il sole.
La bici è un disegno -strambo-,
ma ha un faro giallo acceso.
luciopicca
venerdì 23 dicembre 2016
Man next door
Nelle galassie oggi come oggi
Montanari – Nove
– Scarpa
Giulio Einaudi
Esperimento in versi e musica per tre scrittori.
Raul Montanari
Sulle
note di Man next
door – Massive
Attack
Massive Attack
Man next door
C’è questo tizio
della scala accanto,
non l’ho mai
visto in faccia, ma lo sento,
un’ombra, qualche
volta, giù all’ingresso,
sempre di spalle,
sarà solo un caso.
Non vuoi sederti?
Cosa bevi? Dimmi.
Io niente. Ho già
bevuto pure troppo.
Magari
dopo....allora, ti dicevo,
c’è questo strano
tipo, proprio dietro la parete,
- ci pensi
all’ironia delle distanze?
a due metri da
te, là, dietro il muro,
a un solo metro a
volte, e lì magari
c’è un pazzo, un
genio, l’uomo che aspettavi,
ma si, il tuo
grande amore, una ragazza....
dico per
me...comunque lui o lei
sono a due passi,
e non li incontri mai.
Se è vero che la
tua vita è un mistero,
lì c’è la
soluzione, e non la vedi.
Ma non è questo
il caso. Il mio vicino
lo sento far
rumore, a volte piano,
a volte forte, di
notte, di mattina,
solo di giorno
non c’è mai... mi sembra.
Che belle scarpe
hai. No, dico scarpe
Ma a me piacciono
i piedi, delle donne.
Sì, ce ne sono
tanti come me.
Chissà, anche lui
magari...Ecco...lo senti?
I passi...sono i
suoi. No, adesso è fermo,
non lo sentivi
prima? Se si muove
ancora te lo
dico, stacci attenta.
Be’, porterà in
case le ragazze,
almeno credo...
non so che età ha...
sento rumori di
ogni tipo, musica,
risate, a volta
grida soffocate,
sai quelle
cose... non ti imbarazzare.
Non è che mi
ossessioni, è come un hobby
questo vicino,
questo strano uomo.
Come una porta
che dà su un altro mondo.
Mi capita perfino
di sognarlo.
Sì, lo vedo di
spalle, in molti posti
diversi, che poi
è sempre casa sua,
si gira piano,
sai, come nei film,
ma io mi sveglio
prima, per l’angoscia.
Ma no, dai, non è
tardi, stiamo insieme
ancora un po’. Lo
so che sei curiosa.
Mi sembra che lui
faccia quello che
non posso fare
io. Lo dico a tutte.
Che cosa? A
tutti, ho detto. Sì, lo dico a tutti.
Per me lui sta in
un mondo parallelo
fatto di questi passi,
fatto di ombre,
di tutti i modi,
di tutte le forme
in cui m’immagino
la casa, casa sua.
L’ho anche
disegnato. Tu ci pensi
al baratto del
cazzo che facciamo
quando buttiamo
via l’infanzia, a calci,
per la gran
fretta di diventare grandi,
come corriamo sui
mesi e sugli anni,
da veri scemi, e
in cambio di che cosa?
A cinque anni, a
otto, avevo mondi,
stagioni, oceani,
anni come case,
case da abitare,
leoni ed elefanti,
volevo andare in
Africa, e i treni,
gli aeroplani su
cui avrei volato,
e giorni, giorni
come anni e anni come vite,
vite infinite in
ogni direzione,
un giorno
un’avventura, un giorno un’altra,
quattro in un
giorno, quattro in un mattino,
avevo pure Dio,
forse un po’ stronzo
ma dava un senso,
mi capisci? Un ordine.
Mi teneva una
rete sotto i piedi,
lui o la vita, o
mio padre o mia madre,
non mi sarei mai
fatto male, mai!
E tutto questo
l’ho buttato via,
io come te, in
cambio di che cosa?
Di qualche
strillo, di qualche sospiro,
e tre secondi
subito finiti,
un paradiso da
strapazzo, no?
Il paradiso del
mio cazzo. Ecco!...
Adesso non puoi
non sentirlo. E’ lui...
Rimettiti seduta,
per piacere,
STAI GIU’ SEDUTA!
No, guarda, scusa
tanto,
stavo pulendo il
cuore e mi è partito un colpo.
Oh, sì, ma
adesso...adesso senti? Senti?
Vuoi toglierti le
scarpe, ti dispiace?
Lo senti
camminare in corridoio
Adesso esce.
Scende dalle
scale.
Sale le nostre.
E’ fuori dalla
porta.
Ti ho detto di
levarti quelle scarpe.
O te le toglie
lui? Mnh, sto scherzando.
No, non aver
paura. Per favore.
Non farmi vedere
che hai paura.
Non fare questo
sbaglio anche tu,
non farmi vedere
che hai paura.
Non farmi mai
vedere che hai paura.
“cortesia dell’autore”
“cortesia dell’autore”
in mano
in mano
trasforma in merce ciò che prima era pubblico
ultraindividualismo
studiava gli oggetti curvi
la via di fuga attraverso cui il reale sfuggiva al suo destino di struttura
curvo incedere
sfuggire alla condanna di qualsiasi angolo
in uno spazio di cui vanamente cercano l’inizio
guardare uno sguardo inesistente, conquistati e vinti
èlite neofeudale
tutto trasformato in merce
idee, apparizioni provvisorie di infinito
volevano solo esistere
prendere posizione
liberator
echo chambers
post-truth, post verità
filter bubble, algoritmi che non ci esporrebbero a punti di vista conflittuali
gli spazi delle reti creano isolamento, assenza di confronto e una realtà post-fattuale
declino della fiducia
fake news
misinformation
troppe cose da conoscere in troppo poco tempo
la agricultura es la ciencia de las oportunidades
l'agricoltura è la scienza delle opportunità
mistero, assenza
epoca della presenza globale perpetua
nona ora, cattelan
una gigantesca rete che sta progressivamente imponendo il suo modello culturale e comunicativo
registrazione degli utenti, password d’accesso, filtri, cookies, tracciabilità dei contenuti
riducono la ricchezza posseduta dalla personalità di ciascun individuo a poche informazioni
trasforma in merce ciò che prima era pubblico
ultraindividualismo
studiava gli oggetti curvi
la via di fuga attraverso cui il reale sfuggiva al suo destino di struttura
curvo incedere
sfuggire alla condanna di qualsiasi angolo
in uno spazio di cui vanamente cercano l’inizio
guardare uno sguardo inesistente, conquistati e vinti
èlite neofeudale
tutto trasformato in merce
idee, apparizioni provvisorie di infinito
volevano solo esistere
prendere posizione
liberator
echo chambers
post-truth, post verità
filter bubble, algoritmi che non ci esporrebbero a punti di vista conflittuali
gli spazi delle reti creano isolamento, assenza di confronto e una realtà post-fattuale
declino della fiducia
fake news
misinformation
troppe cose da conoscere in troppo poco tempo
la agricultura es la ciencia de las oportunidades
l'agricoltura è la scienza delle opportunità
mistero, assenza
epoca della presenza globale perpetua
nona ora, cattelan
una gigantesca rete che sta progressivamente imponendo il suo modello culturale e comunicativo
registrazione degli utenti, password d’accesso, filtri, cookies, tracciabilità dei contenuti
riducono la ricchezza posseduta dalla personalità di ciascun individuo a poche informazioni
luciopicca
abbondanza
abbondanza
era iperconnessaio ridotto a maschera social
l’immagine mediatica e spettacolare
realismo dell’irrealtà
superiorità morale, elitaria e falsa
big pharma
rottura delle gabbie disciplinari
ibridazione interdisciplinare
bricoleur
narrazione
approccio pluridimensionale e intersemiotico
nulla ha successo come il successo
nulla fallisce come il fallimento
peso del mercato, si fa sentire sull’elaborazione
all’uomo piace costruire un confine difensivo intorno a sé
economia digitale
impresa, non è più un dispositivo di produzione ma un portafoglio di attività
isolato, atomizzato e schiacciato dalla razionalità astratta del sistema
logica di funzionamento neutrale
popolo versus élite
destrutturazione indotta dalla tecnologia
la vita assomiglia all’arredamento dell’ufficio e dell’abitazione
precariato cognitivo
disagio introiettato, si tenta di risolverlo a proprie spese
gabbia d’acciaio neoliberale
there is no alternative
luciopicca
Gabriele scrive
26 Dicembre 2015, Sabato – Ora di colazione.
(Gabriele scrive)
(Gabriele scrive)
Mi hanno regalato, a Natale, l' Inquisitor.
E’ una macchina –Star Wars- che cammina sulla neve.
L’ Inquisitor conteneva un personaggio che si chiama: Inquisitore, era un cattivo e uccideva le persone.
Martedì scorso ho visto il film di Star Wars – Il risveglio della forza.
I personaggi che mi piacevano di più sono:
Kylo Ren, mi piaceva perché aveva la spada laser a tre punte;
Ian Solo, mi piaceva perché aveva costruito il –Millenium Falcon-;
Cubecca, mi piaceva perché era divertente, e era una specie di –Big Foot-.
Kylo Ren non mi piaceva, ma mi piaceva la spada.
Kylo Ren non mi piaceva perché aveva ucciso suo padre Ian Solo.
E’ una macchina –Star Wars- che cammina sulla neve.
L’ Inquisitor conteneva un personaggio che si chiama: Inquisitore, era un cattivo e uccideva le persone.
Martedì scorso ho visto il film di Star Wars – Il risveglio della forza.
I personaggi che mi piacevano di più sono:
Kylo Ren, mi piaceva perché aveva la spada laser a tre punte;
Ian Solo, mi piaceva perché aveva costruito il –Millenium Falcon-;
Cubecca, mi piaceva perché era divertente, e era una specie di –Big Foot-.
Kylo Ren non mi piaceva, ma mi piaceva la spada.
Kylo Ren non mi piaceva perché aveva ucciso suo padre Ian Solo.
(…adesso mi distendo le dita, perché ho i crampi)
Mia mamma mangia pane, burro e marmellata, invece Francesca mangia pane, burro e marmellata e beve il latte.
Arriva Alice la bella, anzi la brutta addormentata nel bosco.
La zia Roberta è diventata vecchia, compie 48 anni. Zia è nata alle cinque meno venti, nel pomeriggio.
Io sono nato insieme a mia sorella Emma, che dice: “Sono nata prima io”.
Francesca assomiglia a… Boh!
Alice assomiglia a mamma.
Emma assomiglia ad Annalisa.
La zia Roberta è diventata vecchia, compie 48 anni. Zia è nata alle cinque meno venti, nel pomeriggio.
Io sono nato insieme a mia sorella Emma, che dice: “Sono nata prima io”.
Francesca assomiglia a… Boh!
Alice assomiglia a mamma.
Emma assomiglia ad Annalisa.
Gli animali che mi piacciono sono:
-l’Aquila Arpia,
-Il Condor,
-Il Falco.
L’animale che mi sta antipatico è la tracina.
L’animale buffo, che mi piace è il -pesce cappello-.
-l’Aquila Arpia,
-Il Condor,
-Il Falco.
L’animale che mi sta antipatico è la tracina.
L’animale buffo, che mi piace è il -pesce cappello-.
Pensiero su Anita:
Anita è una babbea, sembra un diavolo, è una bestia, fa pena, sembra un babbuino, non ha nessuno aspetto simpatico.
E’ cattiva, assomiglia all’animale “penoso”
Anita è una babbea, sembra un diavolo, è una bestia, fa pena, sembra un babbuino, non ha nessuno aspetto simpatico.
E’ cattiva, assomiglia all’animale “penoso”
Gli amici, che mi sono simpatici, sono:
-Matteo, perché siamo migliori amici;
-Riccardo, perché mi fido di lui;
-Andrea, perché mi è simpatico;
-Federico Maria, perché siamo migliori amici.
-Matteo, perché siamo migliori amici;
-Riccardo, perché mi fido di lui;
-Andrea, perché mi è simpatico;
-Federico Maria, perché siamo migliori amici.
La maestra Rita, che insegna geografia e scienze, mi piace perché da pochi compiti, e perché non sgrida quasi mai.
Io mi chiamo Gabriele S., sono nato a Velletri il 21 Luglio 2007.
Abito a Velletri in Via P., numero civico 3..
Frequento la III C nella Scuola C. P. di Velletri.
Abito a Velletri in Via P., numero civico 3..
Frequento la III C nella Scuola C. P. di Velletri.
Mi piace il purè
Non mi piace l’insalata
Mi piace il –Millenium Falcon- (astronave di Star Wars)
Non mi piace sporcarmi
Mi piace sentirmi felice
Non mi piace essere infelice
Mi piacciono i ragni (il ragno più grande che ho tenuto in mano, era grande come un numero della tombola)
Non mi piace l’insalata
Mi piace il –Millenium Falcon- (astronave di Star Wars)
Non mi piace sporcarmi
Mi piace sentirmi felice
Non mi piace essere infelice
Mi piacciono i ragni (il ragno più grande che ho tenuto in mano, era grande come un numero della tombola)
Le formiche sono: “Scoccolose”.
Io e Emma andavamo ad uccidere le formiche con lo spruzzino.
Io e Emma andavamo ad uccidere le formiche con lo spruzzino.
Parole inventate, oggi invento delle parole:
-Acreteo, significa amaro
-Tendulum, significa pendolo
-Argofo, significa gufo
-Bonire, significa bere
-Agliat, significa tagliare
-Acreteo, significa amaro
-Tendulum, significa pendolo
-Argofo, significa gufo
-Bonire, significa bere
-Agliat, significa tagliare
Zio Lucio dice: -Suffutufa!
Prova di descrizione.
Sul tavolo c’è un omino –Lego-
ha i guanti bianchi,
ha un “keep” bianco e nero,
ha una cintura,
ha dei pantaloni blu e neri,
ha un’armatura,
ha una camicia nera e una cravatta nera.
L’omino sta pensando di andare sul –Millenium Falcon-.
Sul tavolo c’è un omino –Lego-
ha i guanti bianchi,
ha un “keep” bianco e nero,
ha una cintura,
ha dei pantaloni blu e neri,
ha un’armatura,
ha una camicia nera e una cravatta nera.
L’omino sta pensando di andare sul –Millenium Falcon-.
Adesso sono stanco e smetto di scrivere.
Tanti saluti da Gabriele.
Tanti saluti da Gabriele.
luciopicca
Urlo!
Urlo
E poi la parola, ah, le
parole! Bisogna stare attenti con le parole, bisogna trovare sempre la parolina
giusta, quella in grado di dare la cifra esatta di quello che si vuole dire. Le
parole sono una cosa delicata, il percorso che va dal cervello alla lingua è la
distanza più lunga che si può percorrere. Ad esempio, io non capisco la parola
«malessere», la parola «disagio». Sono parole cave, vuoti lemmi anestetizzati
dall’uso. Malessere non vuol dire un cazzo, disagio non vuol dire un cazzo. Che
cazzo vogliono dire? «Cucchiaio» vuol dire qualcosa, e anche «casa» vuol dire
qualcosa. Tutti hanno un cucchiaio e sanno cosa vuol dire. Tutti hanno una casa
o ne desiderano il concetto. Tutti hanno anche un malessere, ma il mio
malessere è diverso dal tuo e pertanto non posso sapere come stai. Quindi
quando trovo scritto, nelle recensioni o nelle quarte, che qualcosa o qualcuno
«dà voce a un malessere» mi girano le palle. Se poi di questo malessere si dice
pure che è «generazionale» divento una bestia. I ghiacciai che si sciolgono
mentre parli non sono l’espressione di un disagio, sono un dolore di specie. E
sono oltretutto una cosa terribile e terribilmente vera, che ci sopraffarà
tutti (è di questi giorni la notizia che il Polo nord nel 2040 sarà un mare. Un
mare, qualcuno se ne sta rendendo conto?, un mare: non ci saranno i ghiacciai,
gli iceberg, gli animali di quelle terre. Non ci sarà un cazzo di niente, ci
sarà un mare, e noi se saremo vivi nuoteremo nella nostra merda artica e
penseremo che chi cazzo se ne frega degli orsi bianchi e dell’equilibro del
sistema naturale, e delle specie, e delle possibilità di un futuro per tutti:
«cosa racconteremo, ai figli che non avremo, di questi cazzo di anni zero»). Se
penso a quello che succede, a come vanno le cose, a come sta il mondo, a come
sto io.
(Tratto da: Andiamo
a vedere Le luci della centrale elettrica di Andrea Tarabbia)
Fa bene urlare, esagerare,
tingere di nero il grigio.
E’ una forma di reazione, si percepisce un disagio, non si sa come
risolverlo:
Urla! Urliamo!
Si esagera.
Il mondo cambia, diviene, non è sempre un male.
Non sappiamo spiegarlo.
Abbiamo paura.
L’Ottocento ci donò lo slancio per capire, sembrava che potessimo chiudere il cerchio.
Il Novecento ci donò la quantistica:
- Uomo sei piccolo, piccolino, credevi di poter dominare, sei stato dominato.
Il CAOS è un brivido
- corri, corri quel brivido non lo raggiungi-Posso iniziare la mia mattinataByeLucio
Risveglio
Lara Lucaccioni
Risveglio
Troppo calda l’acqua stamattina
mi svapora nei pensieri secchi
di domande all’amo che mi pasce.
Sto aggrappata e il labbro si rigonfia
spingo l’occhio a domandare tregue
dallo specchio che scartella albe di me.
Respiro e non controllo, chiudo rughe
a mastice rappreso. Chiedo al gatto
pareri sulle scarpe rosse. Ed esco.
Risveglio
Troppo calda l’acqua stamattina
mi svapora nei pensieri secchi
di domande all’amo che mi pasce.
Sto aggrappata e il labbro si rigonfia
spingo l’occhio a domandare tregue
dallo specchio che scartella albe di me.
Respiro e non controllo, chiudo rughe
a mastice rappreso. Chiedo al gatto
pareri sulle scarpe rosse. Ed esco.
Una Poesia
Azzurra D'Agostino
Non c’è una sola legge del mondo
che io conosca. Non saprei dire
cosa muove queste fronde perché la mela
cade come mai i colori cambiano
con che coraggio il ragno lancia
la sottile trama come fa a sapere
che da qualche parte quel suo bagliore
attraccherà. Il ragno chissà perché
più di me ha fiducia che il mondo esiste
e che sia un posto in cui può stare.
Non una sola legge al mondo invece
io conosco mi dispiace non mi è dato
di credere a nessuna spiegazione
perché così e così e questo e quello…
io non riesco io continuo istupidita a vacillare
a ogni primo vacillare della stella,
a ogni tremore del bosco, del sole nella sera,
della mano che piano piano tocca
il cavo del collo, della bocca.
Azzurra D’Agostino è nata a Porretta Terme, sull’Appennino Tosco-Emiliano. Ha scritto le raccolte D’in nci’un là (I Quaderni del battello ebbro, 2003) e Con ordine (Lietocolle, 2005). Ha pubblicato interventi, racconti, poesie, testi di drammaturgia su varie riviste e antologie (tra cui Best off 2006, minimum fax; Poesia e natura, Le Lettere; L’Almanacco dello specchio, Mondadori; Bloggirls, Mondadori).
Zaira
ZAIRA - Italo Calvino
Inutilmente,
magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni.
Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi
dei porticati, di quali lamine di zinco sono ricoperti i tetti; ma so già che
sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni
tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato: la distanza dal
suolo d'un lampione e i piedi penzolanti d'un usurpatore impiccato; il filo teso
dal lampione alla ringhiera di fronte e i festoni che impavesano il percorso del
corteo nuziale della regina; l'altezza di quella ringhiera e il salto
dell'adultero che la scavalca all'alba; l'inclinazione d'una grondaia e
l'incedervi d'un gatto che si infila nella stessa finestra; la linea di tiro
della nave cannoniera apparsa all'improvviso dietro il capo e la bomba che
distrugge la grondaia; gli strappi delle reti da pesca e i tre vecchi che seduti
sul molo a rammendare le reti si raccontano per la centesima volta la storia
della cannoniera dell'usurpatore, che si dice fosse un figlio adulterino della
regina, abbandonato in fasce lì sul molo.
Di
quest'onda che rifluisce dai ricordi la città s'imbeve come una spugna e si
dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il
passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee
d'una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli
scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle
bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli,
svirgole.
Italo
Calvino,
Le città invisibili
giovedì 22 dicembre 2016
Io è un altro
Arthur Rimbaud
« Car JE est un autre. Si le cuivre s'éveille clairon, il n'y a rien de sa faute. »
« Io è un altro. Se l'ottone si desta tromba, non è certo per colpa sua. »
« Il poeta si fa veggente mediante una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, egli esaurisce in lui tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura dove egli ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovraumana, dove egli diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, - e il supremo Sapiente! - Poiché egli arriva all'ignoto! dopo che ha coltivato la sua anima, già ricca, più di chiunque altro! Arriva all'ignoto, e seppure, impazzito, finirà per perdere l'intelligenza delle sue visioni, egli le ha viste! Che crepi nel suo salto verso le cose inaudite e innumerabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti dove l'altro s'è accasciato! »
bilico
bilico
omologazione culturale prodotta dalle modalità di funzionamento dei social networkfunzionamento finalizzato agli interessi delle grandi imprese che controllano
prima fase di sviluppo del sistema capitalistico, recintare i territori che in precedenza erano liberamente accessibili, stabilire la loro natura privata
mutare
lo sviluppo della monocultura si presenta, apparentemente, come il risultato di una libera scelta
oversight, suppression, supervisione, soppressione
sysop, amministratore
bureaucrat, steward, arbitration committee
ores, software
approdando alla contingenza, come la verità del mondo
la capacità dell’opera d’arte di elevare a unità il caos del reale, di dare a questo forma
totale assenza di ogni principio
l’impossibilità della forma di contenere in sé il dilagare della vita
dal consenso, dalla voce della maggioranza a cui il singolo individuo necessita di adattarsi mentre interpreta tale adattamento come sua libera scelta
proliferazione di punti di vista
proliferazione di opinioni non più riferentesi a modelli fissi
crisi del linguaggio e della capacità comunicativa
il pensiero è un gioco
il crollo dell’equazione fra forma e significato, fra segno e sostanza
mimesi della contingenza
c’è di più nell’immobile che nel mobile
la vita è una fluenza vittoriosa, senza dove, né come, né perché, e che va travolgendo le turate che noi tentiamo di farle con le nostre morali
gli altri uomini hanno sempre avuto bisogno, per vivere, di appoggiarsi a qualche cosa che fosse ferma e stabile, gli uni si sono appoggiati a dio, gli altri alla ragione che è un’altra sorta di dio, altri infine al dovere sociale, io do un calcio a tutte le basi, butto via tutti i puntelli e resto solo, in bilico su un filo di ragno, sopra un abisso buio, ed io sono felice, come l’essere e il non essere si risolvono nel divenire, in un flusso rapace di gioia, soffici
luciopicca
Isidora
Isidora - Colleen Corradi Brannigan
ISIDORA - Italo Calvino
All'uomo che cavalca lungamente
per terreni selvatici viene desiderio d'una città. Finalmente giunge a Isidora,
città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine,
dove si fabbricano a regola d'arte cannocchiali e violini, dove quando il
forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte
dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste
cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei
suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane; a
Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c'è il muretto dei vecchi che guardano
passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già
ricordi.
Diomira
Diomira - Isabella Angelantoni Geiger
DIOMIRA - Italo Calvino
Partendosi di là e andando
tre giornate verso levante, l'uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole
d'argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un
teatro di cristallo, un gallo d'oro che canta ogni mattina su una torre. Tutte
queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre
città. Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre,
quando le giornate s'accorciano e le lampade multicolori s'accendono tutte
insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna
grida: uh!, gli viene da invidiare quelli che ora pensano d'aver già vissuto una
sera uguale a questa e d'esser stati quella volta felici.
mercoledì 21 dicembre 2016
Miedo
Miedo
Inondato di colore!
Ho cliccato il sito, ho navigato, ho scelto d’istinto.
La mia pancia è migliore della mia testa, non amo le –sinapsi-.
Ho salvato sul mio computer: Tecnica-mista-(60X80)-Miedo.
Angoscia.
Amo Francis Bacon, la carne sanguinante, l’urlo del Papa Innocenzo X.
C’è più colore in –Miedo-.
Miedo mi ricorda Bacon.
Non a tutti si può dare la mano, a qualcuno si deva dare la zampa, dotata
di artigli.
Ho chiesto aiuto a Nietzsche, mi
piace il graffio, e la possibilità di sanguinare, proprio perchè non
sanguiniamo più.
Volo –jazzando-, seguendo il ritmo dei tasti
schiacciati dalle mie dita.
Qualcuno aveva immaginato una enorme tastiera da
computer, morbida come una coperta, distesa su tutta Milano. Le persone,
camminandoci sopra, avrebbero schiacciato i tasti delle lettere, si sarebbe
potuto comporre un testo, incompresibile!
Distruggete le etiche, senza crearne di
nuove.
Ho scelto poi la foto numero quattro:
C’è una barriera, in primo piamo, è di legno.
Ci sono delle sedie, una in plastica, l’altra in legno scrostato.
Non credo che oltrepasserò la barriera.
Fermo il mio sguardo sullo scrostato della sedia di legno.
Un mio scatto:
luciopicca
Ero un bambino
[…]
ero un bambino
con bocca grande e grandi occhi ***
che correvano
ovunque per comprendere il mondo
…
il bambino non
capisce perché deve soffrire
piange a gola
spiegata per gridare la sua sciagura
ma la minima
idiozia ugualmente lo fa sorridere
j'étais un gosse à
grosse bouche et grands yeux ***
qui se jetaient
partout pour comprendre le monde
…
l’enfant ne
comprend pas pourquoi il doit souffrir
il pleure à gorge déployée pour crier son malheur
mais la moindre
bêtise aussi le fait sourire
william cliff
appiccico e incollo, tendo al mio filo conduttore.
-il mio orologio va venti minuti indietro, si festeggia
l’arrivo del natale alzando i bicchieri, sono le ore ventiquattro del
ventiquattro dicembre duemilanove.
-il mio orologio è indietro, non arriverà alle
ventiquattro, rifiuta il natale.
navigo sulle onde sintetiche, trovo sabaudia e scrivo
volutamente minuscolo, senza maiuscole.
pier paolo sulle dune che videro me bambino, con mio
padre, sulla sabbia.
La
sera del 7 febbraio 1974 la Rai tv trasmise un nuovo, breve documentario della
serie “Io e…”, intitolato “Pasolini e … la forma della città”, a cura di Paolo
Brunatto. Nelle ultime immagini, mentre si chiudeva il documentario e dopo aver
camminato nervosamente tra le dune di Sabaudia, all’improvviso Pasolini si
fermò, esponendo alla telecamera il pallore di un volto sofferto e scavato, e
denunciando con assoluta sincerità e asciutta drammaticità, decisamente
inabituali per i telespettatori di allora (e di oggi) l’appiattimento
culturale, la devastazione estetica e l’imbarbarimento civile a cui ci avrebbe
inevitabilmente portato la società dei consumi concepita dalla repubblica
post-fascista e in generale da tutti i “regimi democratici” contemporanei.
ascolto, senza vedere:
-sento il mare
-la voce parlante, in qualche modo il 7 febbraio 1974 è
presente,
il processo, moderno, di archiviazione ci proietta,
saltando lo spazio-tempo, il momento sepolto e riascoltabile più volte –
presenza puntuale e sintetica.
-regime
-architettura
-metafisico-realistico
-esseri viventi completi, interi, pieni, nella loro umiltà
-città
-criminali
-gruppo
-ordinata
-radici
-provinciale, rustica, palaindustriale
-regime democratico
-acculturazione
-omologazione
-il potere della civiltà dei consumi riesce ad ottenere
perfettamente
-distruggendo le varie realtà particolari
-togliendo realtà ai vari modi di essere uomini
-talmente rapidamente
-incubo
-risvegliandosi, forse
-non c’ è più niente da fare!
guardo, senza ascoltare:
-scorrono le parole, piccole, non riesco a leggerle
-sulle dune in soprabito
-primo piano, volto scavato
-laguna
-grigio
-cittadina
-pianura
-il maglione è colorato sotto il soprabito scuro
-piazza
-orologio
-campanile
-movimento
-scatole
-solitudine
-persiane chiuse
mare,mare,mare…
-afono
-scapigliato
-zigomi sporgenti
-sofferente
-vento
il mio orologio è magico, per fortuna si rifiuta,
talvolta, di segnare il tempo.
lucio
Iscriviti a:
Post (Atom)