OLIVIA
Nessuno
sa meglio di te, saggio Kublai, che non si deve mai confondere la città col
discorso che la descrive. Eppure tra l'una e l'altro c'è un rapporto.
Se
ti descrivo Olivia, città ricca di prodotti e guadagni, per significare la sua
prosperità non ho altro mezzo che parlare di palazzi di filigrana con cuscini frangiati ai
davanzali delle bifore; oltre la grata d'un patio una girandola di zampilli
innaffia un prato dove un pavone bianco fa la ruota. Ma da questo discorso tu
subito comprendi come Olivia è avvolta in una nuvola di fuliggine e d'unto che
s'attacca alle pareti delle case; che nella ressa delle vie i rimorchi in
manovra schiacciano i pedoni contro i muri.
Se
devo dirti dell'operosità degli abitanti, parlo delle botteghe dei sellai
odorose di cuoio, delle donne che ci calano intrecciando tappeti di rafia, dei
canali pensili le cui cascate muovono le pale dei mulini: ma l'immagine che
queste parole evocano nella tua coscienza illuminata è il gesto che accompagna
il mandrino contro i denti della fresa ripetuto da migliaia di mani per migliaia
di volte al tempo fissato per i turni di squadra.
Se
devo spiegarti come lo spirito di Olivia tenda a una vita libera e a una civiltà
sopraffina, ti parlerò di dame che navigano cantando la notte su canoe
illuminate tra le rive d'un verde estuario; ma è soltanto per ricordarti che nei
sobborghi dove sbarcano ogni sera uomini e donne come file di sonnambuli, c'è
sempre chi nel buio scoppia a ridere, dà la stura agli scherzi ed ai sarcasmi.
Questo
forse non sai: che per dire d'Olivia non potrei tenere altro discorso. Se ci
fosse un'Olivia davvero di bifore e pavoni, di sellai e tessitori di tappeti e
canoe e estuari, sarebbe un misero buco nero di mosche, e per descrivertelo
dovrei fare ricorso alle metafore della fuliggine, dello stridere di ruote, dei
gesti ripetuti, dei sarcasmi. La menzogna non è nel discorso, è nelle
cose.
Italo
Calvino, Le città
invisibili
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