martedì 31 gennaio 2017

Zelig



Zelig
(Zelig - 1983)

Woody Allen


Leonard Zelig è un insicuro cronico. Ha talmente bisogno di essere accettato dagli altri da diventare un vero e proprio camaleonte umano. A seconda della situazione in cui si trova e di chi gli sta attorno, Zelig cambia il proprio comportamento, il proprio modo di parlare e persino il proprio aspetto. Una psichiatra, Eudora Fletcher, lo intervista a lungo per capire cosa sta alla base di tanta insicurezza.

La trama non nasconde la riflessione del suo autore sulle difficoltà di integrazione che ha il singolo appartenente ad una minoranza all’interno della società moderna, non nasconde la critica al conformismo e ancor di più alla malsana abitudine di innalzare a livello di idolo chiunque riesca a brillare anche solo per un momento, per poi rigettarlo nella polvere appena ci si rende conto che la sua grande capacità tale non era.

 

L’inevitabile conformismo, l’adeguarsi, la comodità poco gratificante di far parte.

Incontriamo tutti i giorni il nostro “Zelig”, fa parte di noi, si appropria del nostro corpo e lo usa, lo strausa distruggendolo.

Non diciamo nulla, forse poco, e gli lasciamo campo libero, decide per noi, intraprende, lavora, ci mangia e ci svuota! Si! Ci svuota quasi completamente!

Non è facile difendersi, è una morsa terrificante e straziante, ci consuma e quasi non ce ne accorgiamo, o meglio abbiamo bisogno di strumenti esterni per combatterlo. Procediamo, cerchiamo di analizzare e accettare che fa parte di noi, è in noi ed è un elemento da controllare, impossibile sradicarlo.

Il controllo costa, ha bisogno di sofisticati strumenti per governarlo, sempre in continua evoluzione: la cultura, la curiosità e la voglia di conoscersi sono degli ottimi strumenti difensivi...

Lasciando il gioco, e la metafora, tutti noi tendiamo a “conformarci”, ad accetare il normale utilizzo della nostra identità, lo scorrere contingente, qualunque esso sia (proviamo a pensare solo ai nazisti, ai fascisti e le persone che ne facevano parte).

Se cambiamo la prospettiva, la distanza, riusciamo a vederci ridicoli come in una foto da cerimonia di venti anni fa. Lo specchio continuo di noi stessi è il primario antitodo; l’aiuto degli altri, opportunamente stimolati,  è fondamentale.

Tutto questo è difficile, stressante, costoso e da la continua sensazione di camminare su un terreno altamente instabile. Poi ci sono le cadute, pesanti , dolorose, che ti piegano nella carne e nella mente, tendendo allo scoraggiamento  facendoti abbracciare quella enorme bugia che è:

IL COMUNE SENSO DELL”ACCETTATO.

luciopicca


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