Zelig
(Zelig - 1983)
(Zelig - 1983)
Woody Allen
Leonard Zelig è un insicuro cronico. Ha talmente bisogno di essere
accettato dagli altri da diventare un vero e proprio camaleonte umano. A
seconda della situazione in cui si trova e di chi gli sta attorno, Zelig cambia
il proprio comportamento, il proprio modo di parlare e persino il proprio
aspetto. Una psichiatra, Eudora Fletcher, lo intervista a lungo per capire cosa
sta alla base di tanta insicurezza.
La trama non nasconde la riflessione del suo
autore sulle difficoltà di integrazione che ha il singolo appartenente ad una
minoranza all’interno della società moderna, non nasconde la critica al
conformismo e ancor di più alla malsana abitudine di innalzare a livello di
idolo chiunque riesca a brillare anche solo per un momento, per poi rigettarlo
nella polvere appena ci si rende conto che la sua grande capacità tale non era.
L’inevitabile conformismo,
l’adeguarsi, la comodità poco gratificante di far parte.
Incontriamo tutti i
giorni il nostro “Zelig”, fa parte di noi, si appropria del nostro corpo e lo
usa, lo strausa distruggendolo.
Non diciamo nulla,
forse poco, e gli lasciamo campo libero, decide per noi, intraprende, lavora,
ci mangia e ci svuota! Si! Ci svuota quasi completamente!
Non è facile
difendersi, è una morsa terrificante e straziante, ci consuma e quasi non ce ne
accorgiamo, o meglio abbiamo bisogno di strumenti esterni per combatterlo. Procediamo,
cerchiamo di analizzare e accettare che fa parte di noi, è in noi ed è un
elemento da controllare, impossibile sradicarlo.
Il controllo costa, ha
bisogno di sofisticati strumenti per governarlo, sempre in continua evoluzione:
la cultura, la curiosità e la voglia di conoscersi sono degli ottimi strumenti
difensivi...
Lasciando il gioco, e
la metafora, tutti noi tendiamo a “conformarci”, ad accetare il normale
utilizzo della nostra identità, lo scorrere contingente, qualunque esso sia
(proviamo a pensare solo ai nazisti, ai fascisti e le persone che ne facevano
parte).
Se cambiamo la
prospettiva, la distanza, riusciamo a vederci ridicoli come in una foto da
cerimonia di venti anni fa. Lo specchio continuo di noi stessi è il primario
antitodo; l’aiuto degli altri, opportunamente stimolati, è fondamentale.
Tutto questo è
difficile, stressante, costoso e da la continua sensazione di camminare su un
terreno altamente instabile. Poi ci sono le cadute, pesanti , dolorose, che ti
piegano nella carne e nella mente, tendendo allo scoraggiamento facendoti abbracciare quella enorme bugia che
è:
IL COMUNE SENSO
DELL”ACCETTATO.
luciopicca
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